Dossier sui “mantra” scagliati contro il PD. (6/13) Il Jobs act ha reso più precario il lavoro.

“Mantra” numero 6. Pubblichiamo il sesto di una serie di 13 articoli in cui Enzo Puro prova, al fine di affrontare una seria analisi della sconfitta democratica, a sgomberare il campo dai falsi argomenti, dalle caricature giornalistiche, dalle prese diposizione ideologiche. 
E questo non per togliere a Matteo Renzi le sue responsabilità o per provare a scaricare le responsabilità della sconfitta sugli avversari o peggio sugli elettori. Ma per potersi dedicare con serietà all’opera di ricostruzione.

Letto 7040
Dossier sui “mantra” scagliati contro il PD. (6/13) Il Jobs act ha reso più precario il lavoro.

Abbiamo chiaro che quando si perde non può essere colpa degli avversari o peggio degli elettori.
Ma per dedicarsi con pazienza a ricostruire o, se volete, a rigenerare è necessario sgomberare il campo dai falsi argomenti, dalle caricature giornalistiche, dalle prese di posizione ideologiche.
Il dossier che pubblichiamo su Manrico.social, composto da 13 articoli, vuole assolvere a questo compito senza voler essere una assoluzione del giovane leader fiorentino.

Link agli articoli:
Renzi e il voto degli operai e dei disoccupati
Il PD non è più un Partito di sinistra
Il PD non ha fatto autocritica
Il peggiore risultato della sinistra
Lontananza dalle sofferenze sociali ed aumento della povertà
Il Jobs act ha reso più precario il lavoro
Partito dei ricchi (banche, imprese proprietari di case)
Renzi ha ucciso la scuola pubblica
Promossi solo quelli del giglio magico
10 Renzi ha voluto il rosatellum
11 Il cattivo carattere e gli errori di Renzi
12 Moltissimi elettori del PD hanno votato 5 stelle
13 Renzi non è stato chiaro sull’Europa

MANTRA N° 6:

IL JOBS ACT HA RESO PIU’ PRECARIO IL LAVORO?

La sinistra ama da sempre vivere di simboli che a lungo andare diventano dei totem. Oggi tra i tanti uno di questi simboli in positivo sarebbe l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori mentre in negativo sarebbe il Jobs act.

A niente serve ricordare che fino alla vigenza piena dell’articolo 18 questo strumento non è servito a bloccare la chiusura di aziende ed i relativi licenziamenti di massa.

E non ha impedito che, prima del 2014, i licenziamenti fossero superiori alle assunzioni come non ha impedito che l’80% delle poche nuove assunzioni fossero assunzioni precarie ed a tempo (il contrario di quello accaduto dopo il 2014 quando le nuove assunzioni erano superiori ai licenziamenti e complessivamente oltre la metà, circa 500.000 erano a tempo indeterminato).

È evidente che l’articolo 18 è solo un simbolo, di quelli inutili che spesso piacciono a certa sinistra.

E questo concentrarsi su un simbolo inutile ha impedito di vedere quanto il Jobs act ha rivoluzionato il mercato del lavoro dal lato della protezione del lavoratore mettendo però fine a quel finanziamento a fondo perduto di aziende decotte attraverso l’uso improprio di uno strumento come la cassa integrazione che toglieva risorse all’ampliamento della protezione sociale in caso di perdita del posto di lavoro.

Come ci ricordano in un esauriente articolo Tommaso Nannicini e Stefano Sacchi “Il Jobs Act ha introdotto la Naspi (con 2,5 miliardi di euro aggiuntivi all'anno): un sussidio che copre il 97% dei lavoratori dipendenti se perdono il lavoro. Questa copertura se la sognano nella maggior parte dei paesi europei. Il sussidio arriva fino a 1.300 euro al mese e dura fino a due anni: un anno in più di prima e i giovani non sono più penalizzati rispetto agli anziani. C'è la Discoll per i collaboratori e i giovani ricercatori. Anche gli apprendisti possono ottenere la cassa integrazione. Un milione e mezzo di lavoratori delle piccole imprese, che prima ne erano esclusi, adesso possono ottenere integrazioni salariali con i fondi di solidarietà.

Ed è stato introdotto il Reddito di inclusione (Rei) per combattere la povertà. Platea e importi del Rei sono bassi, lo sappiamo, e vanno aumentati. Ma c'è per la prima volta nella storia d'Italia.

Cosa a che vedere questo impianto con il liberismo, la Tatcher e Blair?

Ed è evidente, concludono Nannicini e Sacchi chedetto questo, non c’è dubbio che servano interventi forti per rendere le politiche attive e della formazione una speranza concreta e non un tema da convegno. Una formazione vera che anticipi il cambiamento e aiuti i lavoratori a trovare lavoro nelle imprese più produttive. E che si debbano trovare ulteriori risorse per allargare gli ammortizzatori sociali. Ma proseguendo lungo le linee aperte dal Jobs act, non tornando indietro”.

Con questo ragionamento non si mette in dubbio che negli ultimi 30 anni le condizioni in cui si svolge il lavoro siano notevolmente peggiorate.

Questo peggioramento è certamente precedente alla crisi del 2008 ed è figlio di una modernizzazione a metà, di una globalizzazione solo economica a cui non è seguita anche una globalizzazione dei poteri politici.

E le condizioni di lavoro in Italia (ma è un fenomeno mondiale) sono peggiorate malgrado l’esistenza di una tutela (integrale ma inefficace) come l’articolo 18.

Come detto prima accusare oggi il Jobs act di aver peggiorato le condizioni dei lavoratori rispetto a quelle esistenti fino alla fine degli anni 70 è una falsità ideologica conseguente ad una incapacità di leggere quel che è accaduto negli ultimi 30 anni.

Difendere migliori condizioni di lavoro ai tempi della potenza degli Stati nazionali e di una economia legata a i territori statali era più semplice. Le Istituzioni, lo Stato, i Partiti, i Sindacati e l’economia giocavano nello stesso campo da gioco e con le stesse regole.

Il turbo capitalismo globalizzato ha sradicato tutto questo.

La velocità dei flussi finanziari, dei flussi informativi, dello scambio di cose e anche della mobilità delle persone ha divelto ogni possibilità di resistenza dei lavoratori delle società occidentali.

La globalizzazione ha risvegliato interi continenti.

Paradossalmente la povertà globale è diminuita ed è cresciuta quella dell’Occidente.

Le popolazioni giovani del mondo, giovani e piene di vita, desiderose di migliorare le loro condizioni di vita, hanno imparato a produrre come noi e lo fanno a costi più bassi dei nostri.

Quelli che per noi occidentali sono salari da fame e condizioni di lavoro supersfruttate sono invece per quei miliardi di persone l’essere usciti dalla soglia della povertà assoluta dove vivevano con pochi euro al giorno.

Questa situazione ha prodotto la difficoltà di mantenere i livelli di dignità del lavoro conquistati in Occidente nel secondo dopoguerra.

Quindi quando sento accusare il Jobs act di aver peggiorato le condizioni di lavoro rimango basito per l’ignoranza di chi lo afferma.

Ed a farlo per lo più sono appartenenti di quelle classi dirigenti della sinistra che negli ultimi 30 anni non si sono accorti di quello che stava accadendo ed anzi hanno inseguito, scimmiottandole, le mode neoliberiste.

Dove erano ad esempio Orlando e Cuperlo in quegli anni? Erano giovani certo ma erano acquattati dietro quella classe dirigente più adulta che esaltava la “modernizzazione” senza studiare le contromisure necessarie a prevenire quello che poi è accaduto.

Non si trattava allora né di esaltare ma neanche di combattere (sarebbe stato inutile) la globalizzazione. Si trattava solo di capire che il punto numero uno di ogni iniziativa politica doveva essere la battaglia per “cosmopolitizzare” la Politica, renderla transnazionale, in grado di competere pari a pari con le nuove forze selvagge della economia finanziaria (e tutto questo mentre noi ci baloccavamo con gli ulivi e le unioni e i girotondi contro le peripezie giudiziarie di Berlusconi).

Invece si è rimasti acquattati dietro le vecchie certezze degli Stati nazionali, certezze che ad una ad una venivano frantumate.

Il Jobs act è intervenuto quando tutto questo era già accaduto. Quando la crisi aveva distrutto milioni di forze lavoro e quando le nuove assunzioni (inferiori all’epoca ai licenziamenti individuali o collettive) erano soltanto precarissime bypassando le tutele dell’articolo 18 che ormai difendeva soltanto chi aveva già un posto di lavoro stabile e non certo i giovani neoassunti.

Per questo io sostengo che il contratto a tutele crescenti ma anche i nuovi diritti per i contratti a tempo determinato sono un passo avanti e non certo indietro.

Quello che è mancato in questi anni di Jobs act semmai è stata la piena attivazione delle nuove agenzie per il lavoro che dovrebbero garantire (nell’impalcatura complessiva del Jobs act) il passaggio da lavoro a lavoro in caso di licenziamento (e tale ritardo è dovuto anche al fallimento del referendum costituzionale che unificava e centralizzava la gestione dei vecchi centri per l’impiego rimasti invece frantumati nella gestione di ogni singola regione).

Ed è mancata, non c’è stato il tempo, la misura per far costare strutturalmente di meno il tempo indeterminato.

Il Jobs act non c’entra nulla con l’aumento dello sfruttamento sul lavoro che è frutto di un ricatto globale dovuto alla concorrenza di altri popoli appena entrati nell’arena mondiale del mercato del lavoro.

E non ho il coraggio di pensare a cosa potrà accadere alle nostre economie se l’Africa si risveglia ed invece di inondare di sbarchi le nostre coste comincia a farci concorrenza economica (e sarà un periodo in cui rimpiangeremo quelle poche centinaia di migliaia di africani che a bordo dei gommoni sembra abbiano invaso il nostro paese).

Ecco a me piacerebbe che si discutesse di questo. Si approfondissero queste questioni. E non ci si rinfacciasse ogni giorno di aver tradito qualcosa o qualcuno.

 

Programma di pubblicazione

Nei prossimi articoli ci domanderemo se è vero che il PD di Renzi è stato il Partito dei banchieri, che Renzi ha sprecato risorse per aiutare le imprese, che ha tolto l’IMU ai ricchi, che ha ucciso la scuola pubblica, che ha promosso solo quelli del giglio magico, se è vero che Renzi ha voluto il rosatellum, se è vero che ha un pessimo carattere, chiuso verso gli altri, che moltissimi elettori PD hanno votato 5 stelle, se è vero che Renzi non ha avuto una linea chiara sulla Europa.

 

Letto 7040

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Enzo Puro

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Aggiornato al 31 marzo 2018

 

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