In Italia l’inverno è arrivato. E sarà lungo. Cronaca di una sconfitta

I tanti perché di una sconfitta. L’evaporazione della sinistra, riformista o radicale che sia. Lo tsunami che doveva abbattere il corpo estraneo venuto da Firenze. Un tentativo di capire perché. Gli errori di Renzi. Ed ora prendiamo atto che l’inverno è arrivato e sarà lunghissimo. L’Italia è un paese di destra

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In Italia l’inverno è arrivato. E sarà lungo. Cronaca di una sconfitta

“Le tangenti Consip non sono state trovate, e probabilmente non ci sono. Gli appalti non sono stati vinti. Il sistema Consip viene descritto come non manipolabile. Eppure buona parte della stampa italiana ha proceduto dritta e sicura puntando il dito contro il clan Renzi, descrivendolo come una banda di Chicago, che si è impossessata del potere e che stava per fare chissà che cosa”.

Lo scriveva Beppe Turani in un articolo profetico di circa 1 anno fa. Un articolo in cui si chiedeva che cosa stesse capitando a tanti illustri commentatori che avevano abbandonato ogni prudenza parlando di banda di Rignano, di delinquenti che vanno spazzati via senza sé e senza ma.

E si meravigliava Turani di come “raffinati intellettuali non disdegnano di mischiarsi con questo demi-monde di rovistatori del fango. Anzi, aggiungono la loro raffinata prosa a quella dozzinale dei rovistatori, felici di essere tornati a avere un ruolo di frontiera”.

Perché tutto questo? Perché la campagna pazzesca e bugiarda sulle Banche, la “character assassination” sulla Boschi, l’amplificazione di ogni microindagine riguardante il PD (salvo poi nascondere nelle pagine interne le notizie sulle numerosissime archiviazioni, riguardanti Tempa Rossa o De Luca, la vicenda CPL di Ischia o il Presidente del PD Campano)?

E quando Turani scriveva questo articolo ancora non era emersa la vicenda Scafarto e cioè di quell’Ufficiale dei Carabinieri che insieme ad un suo superiore aveva fabbricato per intero le prove per incastrare Tiziano Renzi e quindi il di lui figlio (allora premier).

Prove false che avevano alimentato la campagna di stampa che descrivevano appunto Renzi ed i suoi amici toscani come la banda di Chicago.

Non c’è dubbio che Matteo Renzi abbia fatto degli errori. Ne parleremo più avanti, ma non sono certo gli errori che tutti gli addebitano.

Ma prima degli errori e prima di ogni esercizio critico ed autocritico, doveroso di fronte ad una sconfitta così clamorosa, domandiamoci perché tutto questo accanimento.

Facciamoci ancora aiutare in questo da Beppe Turani, il vecchio giornalista fondatore di Repubblica che pure non ha lesinato critiche garbate ma dure ad alcune scelte dei governi Renzi/Gentiloni e non può essere accusato (data anche la veneranda età) di servilismo verso il giovane fiorentino.

Il primo motivo, scrive Turani, sta nel fatto che Renzi, “forse sbagliando, aveva tentato di ridisegnare con il suo progetto di riforma costituzionale, una nuova Italia.

Questa nuova Italia aveva un difetto: faceva saltare molte vecchie consorterie, molte posizioni acquisite, metteva in pericolo tranquilli e decennali tran tran. E quindi contro quel progetto si è scatenata una guerra di tutti contro uno: Renzi. Alla fine hanno vinto.”

Non bastava però aver vinto il referendum anche perché, bene o male, il 40% dei cittadini si era dichiarato favorevole, una cifra ancora molto alta che bisognava evitare si trasformasse in consenso politico.

E visto che Renzi ed i suoi, dopo le primarie da lui stravinte, sembravano tenere duro si è passati alla liquidazione per via mediatica. E, scrive Turani, non è nemmeno un lavoro faticoso, si tratta di copia e incolla. Lo si può fare stando in vacanza, dalla terrazza dell’albergo, via wi-fi.

Quale disegno politico c’è però dietro questa grandinata di attacchi mediatici costruita sulle chiacchere? E qui Turani si dimostra profetico, anticipando, un anno fa, lo scenario che si sta proponendo in queste ore. Infatti scriveva: “Quelli che oggi attaccano Renzi sulla base di foglietti trovati in mezzo alla monnezza hanno un progetto molto diverso: il perno del futuro governo deve essere Grillo, con un appoggio (in posizione subalterna) di un Pd liberato da Renzi e ubbidiente.

Meglio un ritorno all’Italia anni ’50

Insomma, meglio Di Maio o l’Appendino a palazzo Chigi (magari con un Bersani vice-presidente) invece di Renzi o di un suo amico. Meglio, sembra di capire, un ritorno all’Italia anni ’50 (poche auto in giro, poca energia, cibi vegani coltivati sul balcone) che il tentativo di costruire un paese moderno che guarda lontano, che cerca di riavere un suo ruolo importante in Europa e nel mondo. Questo può sembrare un disegno miserevole, ma è l’unico che sta sulla piazza. Meglio chiunque altro (anche Grillo e la Taverna) di Renzi.

Si può a questo punto recitare un de profundis per gli esponenti di un’area culturale che per anni sono sembrati impegnati a insegnarci la modernità e che invece si stanno rivelando come fior di reazionari: qualunque cosa purché non cambi nulla, stiamo affondando, ma sarà una cosa lunga e nemmeno noi siamo eterni”.

Renzi ha perso. E la sua colpa forse è non aver capito la forza dello tsunami che, da quando vinse le europee, è stato scagliato contro di lui.

Ma neanche Nembo Kid avrebbe resistito alle accuse false che gli sono state rivolte contro.

Una vera campagna di delegittimazione compiuta non solo dagli avversari politici con metodi da “haters” professionisti ma anche dalle elites dei media (senza eccezione alcuna) e da buona parte della classe dirigente effettiva di questo paese.

Solo contro Berlusconi in passato è stata fatta una campagna così potente ma Berlusconi è riuscito a resistere venti anni perché aveva i soldi, il potere mediatico in mano e un Partito dietro di lui fortemente compatto.

Renzi è stato odiato così tanto innanzitutto perché, scrive in un altro articolo Turani, uno come lui esiste, “se a 39 anni conquisti prima il vecchio Pd (che gli altri chiamavano “la ditta”) e subito dopo palazzo Chigi, puoi solo aspettarti montagne di invidia. La tua storia è di tale successo che rabbia e invidia dilagano come l’ortica in campi non coltivati”.

Ma la ragione di quest’odio profondo che si è diffuso giù per li rami sono anche e soprattutto politiche.

Guardate a cosa è stata l’Italia in questi settant’anni e soprattutto nella prima seconda Repubblica dai primi anni 90 in poi.

Un paese dove le scelte non si facevano mai.

Dove non si decideva.

Dove se non erano tutti d’accordo si rinviava la decisione.

Dove da anni la classe politica era sempre la stessa.

Dove dominava la lentezza.

E dove non ci si inimicava chi aveva interessi più o meno legittimi da difendere.

Dove si parlava tanto contro la corruzione ma si facevano solo chiacchere e mai si era pensato di costruire una agenzia indipendente dandogli pieni poteri e mettendoci a capo un magistrato serio sperimentatosi nella lotta alla camorra.

L’impatto di uno come Renzi, uno che va veloce e vuole decidere in tempi brevi, è stato devastante ed ha coagulato una marea di interessi.

Interessi che avevano l’obiettivo comune di cacciare al più presto il barbaro fiorentino perché dentro un quadro di politica debole, che non decide mai, che rinvia le scelte più difficili o le mette nelle mani della tecnocrazia burocratica, dentro questo quadro chi ha interessi da difendere può muoversi meglio e sfangarla ancora una volta.

Quando ragiono su questo penso a diverse cose anche minute.

Penso ai potentissimi caporali meridionali che con una politica debole potevano continuare a fare il bello ed il cattivo tempo magari in cambio (lo denunciò fortemente Teresa Bellanova che di caporali se ne intende) di un pacchetto consistente di preferenze (anche a sinistra).

Penso a tutti quegli imprenditori (medi e grandi) che con una politica debole facevano firmare alle donne nuove assunte la lettera di dimissione in bianco.

Penso ai tanti che, con una politica debole, non pagavano il canone Rai evadendo una tassa.

Penso a quelle gerarchie cattoliche retrive che con una politica debole potevano mettere il veto a diritti di civiltà come le Unioni civili o il Biotestamento e che non si erano mai sentite rispondere a brutto muso da un politico, per giunta cattolico, che lui aveva giurato sulla Costituzione e non sul Vangelo.

Penso a quei dirigenti pubblici che con una politica debole avrebbero potuto conservare la loro inamovibilità ed intoccabilità e che erano l’altra faccia (direi i complici) di quei furbetti del cartellino che una politica debole faceva finta di non vedere.

Mi fermo qui. L’elenco di quelli che sguazzano con una politica debole e che non decide potrebbe essere lunghissimo.

“Se invece – e qui riprendiamo le parole di Turani -  cerchi di ridare un ruolo alla politica, facendola ridiventare forte (ecco l’arroganza di Renzi) allora cerchi guai. Tutte le piccole lobbies del paese, da anni abituate a dialogare con la vecchia politica, si allarmano e scendono in guerra. In sostanza, questo è un paese che è sempre stato abituato a una politica debole, senza un vero progetto e aperta a ogni compromesso. Renzi è detestato a priori perché punta a una politica forte, che decide. E questo, per mezzo paese, è una tragedia: vuoi vedere che arriva davvero Uber e che la pubblica amministrazione scopre i computer e diventa più rapida?”

Non dimentichiamoci poi che il nostro è il paese che ha inventato il consociativismo dove chi governa, prima di una decisione fondamentale, si sente il giorno prima con la opposizione e si trova un accordo, al di là di quelle che sono le posizioni ufficiali.

“L’importante è che i cambiamenti siano dolci, quasi inavvertiti e che risparmino antiche isole di privilegio (dalle quali arrivano soldi e voti, per tutti). Renzi sconvolge questo schema, non va nei salotti, litiga con gli stessi boss del suo partito. Ogni tanto per gli incarichi più importanti guarda fuori dal partito (Calenda, ad esempio) e provoca terremoti. Come si fa a non detestare uno così?

Di suo poi, oltre a essere giovane, è brillante, ha sempre la battuta pronta, e decide in tre minuti invece che in tre anni. Doveva essere detestato. E lo è stato.

E il cambiamento si è fermato.”

Insieme alla netta sconfitta del PD e di Matteo Renzi c’è da sottolineare anche la inessenzialità delle forze alla sinistra del PD, anche quelle capitanate da gente di lungo corso come Bersani e D’alema, forze che hanno superato a malapena il 3%.

E questo significa una cosa sola.

Significa che la sinistra in Italia (sia quella riformista liberaldemocratica che quella radicale) è una minoranza estrema e che oltre il 70% del paese non ha scelto la sinistra (neanche quella che più nettamente si opponeva al PD) ma la destra.

Scrive sul suo blog Enrico Sola che “si è affermata chiaramente una volontà popolare indiscutibile e netta: il popolo italiano, nella sua stragrande maggioranza, vuole più destra. E la vuole populista, rabbiosa, xenofoba, antiscientifica, bigotta e vogliosa di menare le mani”.

Non ci sono praterie a sinistra e, come dice con estrema chiarezza sempre Enrico Sola, “credo che il problema alla base di questa enorme sconfitta politica della sinistra non sia una questione di offerta politica. Anzi, in queste elezioni non mancavano le opzioni. Si passava dal centrosinistra moscio e in certi casi venato di destra del PD fino ai filo-venezuelani di Potere al Popolo, attraverso una gamma piuttosto ampia di posizioni intermedie, ciascuna con la propria lista, i propri leader, i propri programmi. Ce n’era per tutti i gusti, davvero.

Eppure né i renziani, né gli anti-renziani in diverse gradazioni, né i rivoluzionari, né i comunisti duri e puri hanno ottenuto voti dignitosi. Sono andati tutti male. Tutti.

Quindi evitiamo polemiche su Renzi vs D’Alema e altre polemiche illusorie da abitanti della bolla di quelli di sinistra.

Forse il problema non è l’offerta politica della sinistra. Il problema – ed è una brutta notizia – è la domanda.

In Italia nel 2018, insomma, è drammaticamente in minoranza chi ritiene di avere bisogno della sinistra e di ciò che promette: giustizia sociale, solidarietà, equità, tolleranza, laicità, diritti.

Attenzione: non ci sono partiti non di sinistra che promettono meglio della sinistra di fare propri questi valori e realizzarli. È proprio successo che quei valori sono passati di moda in Italia, sono diventati non necessari e visti anche come un ostacolo alle magnifiche sorti (regressive) del paese.

Nessuno ci ha portato via i voti promettendo meglio le nostre cose. Semplicemente la gente ha sposato valori diversi, si è proprio spostata eticamente e sentimentalmente verso altri lidi. Sembra quasi che in Italia sia venuta meno la necessità storica di certi valori.

Questa cosa qui ha un nome: crisi di senso. La sinistra, piaccia o no, non ha più senso per il paese, per il momento storico che attraversa, per la psicologia e la narrazione collettiva dominante, che tende alla distruzione e all’accusa più che alla soluzione.”

Ed è evidente che non ha nessun senso l’accusa al PD di aver perso perché ha cavalcato politiche di destra.

Come mai allora se il PD non si è battuto contro le disuguaglianze, contro le ingiustizie, per i diritti come mai a vincere sono stati i Partiti che fanno proposte politiche che incentiveranno le ingiustizie sociali (vedi flat tax) e che vogliono cancellare diritti civili appena conquistati.

E vogliamo parlare della immigrazione? Ricordate le accuse al PD sullo Ius soli? Bene, LeU e PAP avrebbero dovuto fregare al PD tanti voti. Invece hanno stravinto i partiti xenofobi o quelli che fanno finta di nulla ignorando il problema come i grillini (e fanno finta di nulla per non inimicarsi l’ampia base razzista dei propri voti).

Ed ha ragione Sola quando ci dice che “nemmeno le divisioni a sinistra sono una spiegazione sufficiente. Non c’era nessuna azione unitaria che sarebbe diventata vincente, visti i miseri risultati delle singole liste della sinistra tutta.” E sulla emorragia di voti “sicuri che sia gente che è andata via dal PD perché era troppo poco di sinistra? Pensateci.”

Ed è ridicolo continuare a pensare che “la sinistra perde voti a sinistra” quando quei voti “finiscono a politiche apertamente di destra.

Poi ci sono gli errori del PD e di Matteo Renzi.

Che non sono certo gli errori che una certa sinistra nostalgica gli rimprovera né tantomeno errori dovuti al suo carattere spigoloso che lo avrebbero reso antipatico ai più.

A mio avviso gli errori sono altri.

Un errore da parte di Matteo Renzi è di aver sottovalutato (e per un politico è un errore grave) la forza d’urto contraria che è stata messa in moto nella società civile italiana e soprattutto da parte di tutti coloro che, a torto o a ragione, hanno viste le loro certezze (privilegi?) in pericolo e messe in discussione. E non ha invertito la tendenza, in atto già prima di lui, di svuotamento del Partito e di sua trasformazione (soprattutto al Sud ma non solo) in una struttura di sostegno a questo o a quel candidato.

E nel momento in cui aveva bisogno di una contraerea amica il Partito non c’era e a volte dove c’era era in mano alle minoranze interne che nei territori mettevano il freno a mano.

Naturalmente dico questo sapendo che il vecchio modo di vivere dei partiti è un modo completamente inutile ed inefficace a capire la società in cui oggi si vive, una società frantumata, individualizzata, connessa e disconnessa insieme. E l’errore di affidarsi a vecchie liturgie è stato letale. Non c’è stato nessun salto nell’innovazione organizzativa un salto che fosse al livello della innovazione programmatica che invece c’è stata.

Ma ci sono stati errori anche politici.

Il padre di tutti gli errori è stato a mio avviso quello di rompere il patto del Nazareno sulle Riforme Costituzionali imponendo l’elezione di Mattarella inviso a Berlusconi. Se Renzi avesse accettato di eleggere Amato (che a me sta molto antipatico ma la politica non si fa con le simpatie o le antipatie) Forza Italia non avrebbe votato No ed il referendum sarebbe andato diversamente. Quell’errore lo ha pagato comunque anche Berlusconi, alla luce dei risultati elettorali. Avesse vinto il SI, nei rispettivi campi, sarebbero stati invincibili. E Renzi oggi sarebbe stato osannato come padre della patria (ma è proprio questo che hanno voluto impedire)

Un altro errore è stato quello di non essersi imposto, dopo la sconfitta referendaria, per andare subito al voto politico. Si è fatto immobilizzare dalla gelatina democratica interna e dalle spinte esterne ed ha accettato la palude di un anno e mezzo di governo Gentiloni senza infamia e senza lode, di semplice completamento di roba già avviata negli anni precedenti e senza nessun volo pindarico che desse un senso al governo quotidiano (come piace alle elites italiche, mai una parola fuori tono mai uno scatto, doroteismo autentico).

Ed in questo anno e mezzo mentre il governo vivacchiava e viveva delle grandi riforme approvate nel triennio precedente, gli avversari politici e quelli mediatici gettavano le ombre di cui abbiamo parlato all’inizio sulla sua credibilità. Con l’aggiunta nell’ultima fase della accentuazione al funzionamento della macchina della paura che ha rilanciato tra la gente l’istinto securitario, cavalcato dalla destra tra il silenzio ambiguo dei 5 stelle. Ed è simbolo di tutto questo quel che è accaduto a Macerata, amplificato dai media. Ed il risultato è stato che a Macerata (metafora della nostra Italia di oggi) la lega cui era iscritto Traini passa dallo 0,6% al 20%, insomma il pistolero ha vinto.

Non è stato certo un errore aver rivendicato di essere stato uno dei governi più riformisti della storia repubblicana, governo che ha prodotto enormi risultati e fatto approvare una quantità stratosferica di leggi buone.

L’errore semmai è stato quello di non avvertire che ancora i cittadini non sentivano sulla loro pelle, nel loro vissuto quotidiano i risultati di questo grande buon governo e che l’elenco dei risultati ottenuti veniva forse vissuto come una vanteria fasulla e propagandistica.

L’errore è stato non essere riusciti a far scattare l’emozione limitandosi ad elencare freddamente i risultati raggiunti.

Dico la parolaccia: l’errore è stato quello di sbagliare i toni della comunicazione (e poiché come ci insegnano i maestri comunicazione è potere. sbagliando comunicazione si è perso il potere). Con lo tsunami in corso e con l’offensiva mediatica che puntava alla pancia degli elettori la scelta di una comunicazione tranquilla si è rivelata sbagliata.

Non si trattava certo di scendere sul piano indegno degli avversari, si trattava però di trovare le parole giuste per emozionare la gente. Trovare le parole giuste, appunto. Non ne siamo stati capaci.

Che fare oggi?

Non lo so.

Credo che abbia ragione Enrico Sola che sul suo blog chiude così amaramente:

“Bisognerà avere il tempo e la pazienza per aspettare che questa “cosa” populista e orribile si abolisca da sola. Non la aboliamo noi di sicuro.

Di sicuro, parlo per me, non farò nessun tentativo per contribuire a migliorare questo paese.

No, non sto facendo l’offeso.

È che l’Italia in larghissima maggioranza non vuole quello che voglio io, minoranza marginale.

E non ci sono punti di contatto o convergenza. È proprio un altro mondo incompatibile.

Non posso vivere da cittadino partecipe e leale in un paese che sta per diventare una versione alla vaccinara dell’Ungheria di Orban o della Polonia.

L’Italia non si cura da una malattia che gli italiani credono essere un superpotere.

Mettiamoci al sicuro, difendiamoci, difendiamo i nostri cari e le cose che abbiamo a cuore.

Prepariamoci a vedere cose orribili, ingiustizie sui più deboli, violenza di Stato e una riduzione enorme dei diritti. E più povertà, più confini, meno libertà.

Pensiamo ad altro, almeno per un po’, e pazientiamo. In Italia è arrivato l’inverno. Sarà lungo.”

Letto 77205

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Enzo Puro

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Aggiornato al 31 marzo 2018

 

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