La crisi del politico. La crisi epocale della sinistra di fronte ai cambiamenti. Capitolo 4 di 4

La crisi della sinistra è forte perché a franare è la politica come l’avevamo conosciuta fino a ieri, non solo con i propri soggetti e con i propri valori, ma con le sue forme, le sue istituzioni, i suoi principi costitutivi, i suoi codici di legittimazione, i suoi modelli di relazione, insomma con tutto ciò che costituisce il moderno concetto di politico.

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La crisi del politico. La crisi epocale della sinistra di fronte ai cambiamenti. Capitolo 4 di 4

Nei primi tre capitoli, per tentare di inquadrare la crisi epocale della sinistra che stiamo vivendo, abbiamo dapprima esaminato l’evoluzione della formazione economico sociale dal fordismo, al post fordismo alla società della informazione (capitolo 1), ci siamo posti poi una serie di domande fondamentali (capitolo 2), ed abbiamo provato ad illustrare il nuovo rapporto tra spazio fisico, spazio sociale e spazio pubblico che ridisegna nella contemporaneità il panorama sociale (capitolo 3).

In questo quarto capitolo spieghiamo che la crisi epocale della sinistra ha la sua base nella più complessiva crisi del Politico che perde il suo carattere ordinatore.

Nella esplosione della sfera pubblica descritta in precedenza i tradizionali criteri di orientamento spaziale (tra cui come abbiamo già detto la stessa distinzione tra destra e sinistra), criteri validi nello spazio piano e continuo, non frammentato, del moderno, non cessano di operare, ma perdono appunto il proprio carattere ordinatore del discorso Politico.

I criteri tradizionali riproducono sempre più spesso deformazioni o illusioni ottiche, depistaggi e disorientamenti.

Continuano a fornire nomi e qualificazioni alle forme di un politico sempre più informe, ma ad essi sempre meno corrisponde un oggetto identificabile o meglio una identità (ed è per questo che certi vecchi linguaggi novecenteschi a cui molti di noi sono affezionati non mobilitano più alcunché).

E d’altra parte in un mondo nel quale le domande, fino a ieri semplicissime, (chi sei? e dove stai?) sono diventate improponibili, come pensare che la dimensione identitaria possa continuare a dare ordini al discorso collettivo?

In un contesto in cui nessuno sa più dove è (e dunque cosa è) in quanto persona, come sperare che lo sappiano i soggetti politici in quanto identità collettive?

Domande dure ma dalle quali non si sfugge.

A franare è la politica come l’avevamo conosciuta fino a ieri, non solo con i propri soggetti e con i propri valori, ma con le sue forme, le sue istituzioni, i suoi principi costitutivi, i suoi codici di legittimazione, i suoi modelli di relazione, insomma con tutto ciò che costituisce il moderno concetto di politico.

E la frana rischia di tirarsi dietro anche le più recenti conquiste che hanno caratterizzato la modernità compiuta: la democrazia rappresentativa, l’universalità dei diritti e la sua efficacia, il principio di legalità come condizione di legittimazione del potere.

La crisi odierna della politica, la sua difficoltà ad essere vista per quella che da sempre essa è, e cioè lo strumento che gli esseri umani hanno per regolare e rendere positiva la loro convivenza (senza la politica si hanno le guerre tribali), il suo non appassionare più soprattutto le giovani generazioni ha molto a che vedere con l’incapacità della Politica di vedere i nuovi paradigmi e le nuove realtà.

In sostanza e semplificando al massimo, fino ad un certo periodo della storia dell'Occidente la "storia" veniva fatta dentro i confini degli stati nazionali sia dal punto di vista economico che dal punto di vista politico. Globale era semmai la difesa anche se divisa in 2 grandi blocchi.

Questo in pratica significava che il cittadino italiano, francese, inglese o americano si poteva rivolgere ai poteri nazionali, ai politici o agli imprenditori, e questi avevano al tempo tutti gli strumenti per risolvere i problemi che venivano loro posti.

La Politica era perciò avvertita come una cosa utile, che sapeva e, soprattutto, poteva affrontare i problemi. E così, di fronte alle richieste dei sindacati, gli imprenditori avevano ancora l'autonomia di dire sì o no.

E quando la politica o gli imprenditori dicevano no, ci si organizzava, si lottava, si provava a cambiare i rapporti di forza e si sapeva che in quel Palazzo della Politica o in quella palazzina della Direzione aziendale c'erano tutti gli strumenti per decidere.

E spesso si trovavano compromessi dignitosi.

Oggi quel quadro è completamente sottosopra.

Ci sono la Politica, lo Stato, gli Imprenditori, i Partiti, ma i cittadini in Italia, in Francia, in Inghilterra, negli Usa avvertono che quei soggetti non hanno più la possibilità di decidere della loro vita e hanno perso gli strumenti per risolvere i loro problemi.

E questo perché 30 anni di globalizzazione (cosa in se positiva) e 30 anni di liberismo (cosa negativa) hanno trasferito i poteri economici in territori transnazionali, i poteri sono diventati extraterritoriali e la vecchia politica si trova spiazzata e disarmata.

La politica quindi appare sempre più lontana dalla gente, non perché ci sono i politici corrotti (in altre epoche, quando la politica poteva risolvere i problemi, i corrotti sarebbero stati solo un problema di codice penale), non perché c'è una casta insaziabile (che sicuramente c'è anche se io non generalizzerei), la politica appare lontana perché non decide più nulla ed a decidere sono i "mercati", entità indistinte che decidendo di comprare o meno i titoli emessi da questo o quello Stato possono mettere in ginocchio un paese intero (e un atteggiamento gladiatorio contro i mercati, tipico di una certa sinistra archeologica o di un populismo sovranista, non risolve alcunché perché i mercati, in un mondo globale e dove basta un click per spostare i soldi, non sono ricattabili da ogni singolo Stato, solo la cosmopolitizzazione della Politica consentirebbe di guardare la forza dei mercati da pari a pari, come fu fatto centinaia e centinaia di anni fa con la nascita degli Stati moderni contraltare degli spiriti selvaggi che un capitalismo in nuce stava per liberare).

I cambiamenti di cui parliamo sempre hanno investito anche quel moloch istituzionale costruito in centinaia di anni e cioè lo Stato nazione.

Esso ormai è enormemente indebolito ed è solo un simulacro della potenza di un tempo.

La globalizzazione finanziaria, la transnazionalità dei poteri economici, l’extraterritorialità dell’élites hanno tolto agli Stati nazione ogni possibilità di decidere sui propri destini.

E spesso la Politica è rimasta ai tempi della potenza dello Stato nazione e rischia di fare la guardia ad un bidone vuoto.

Ormai tornare indietro dall’aver trasformato l’intero globo in un unico mercato con sempre meno barriere alla circolazione di capitali, merci e persone è impossibile e forse non sarebbe nemmeno giusto.

La politica dovrebbe portarsi a questo nuovo livello, sostituendo gli Stati deboli territoriali con qualche autorità globale, legislativa e di polizia. E questa sarebbe l’unica scelta che potrebbe mitigare e ricondurre nei giusti alvei democratici gli istinti selvaggi dei mercati finanziari.

Come ci spiega ad ogni piè sospinto Zygmunt Bauman la frammentazione politica e i mercati finanziari senza regole sono strettamente intrecciati, la prima serve ai secondi.

Come siano cambiati i modi di divedere le cose della Politica lo capiamo meglio con un paradosso (a cui ci ha richiamato più volte Mario Tronti).

Nella sua storia la sinistra ha sempre guardato con ostilità allo Stato, agli albori della sua teoria si parlò addirittura di abolizione dello Stato e certa gruppettistica aveva addirittura coniato lo slogan “lo Stato si abbatte e non si cambia”.

Oggi, e qui sta il paradosso, a cavalcare la parola d’ordine dell’abbattimento dello Stato sono i poteri finanziari globali, quelli che in estrema sintesi chiamiamo i mercati e che vedono nella forza dello Stato un intralcio alla loro libertà assoluta di movimento.

E quello che a sinistra non si è capito (facendo scattare un ancestrale complesso del tiranno) è che il rafforzamento dei poteri decidenti (penso alle riforme Costituzionali italiane ed alla stessa legge elettorale) fa parte della strategia della Politica per riconquistare la sua legittimità e porsi almeno allo stesso livello dei mercati globali.

Fine

1 - Fordismo, post fordismo, società della informazione

2 - Le domande fondamentali da farsi

3- Spazio sociale, spazio fisico, spazio pubblico

4 - La crisi del politico

Letto 2725

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Enzo Puro

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Aggiornato al 31 marzo 2018

 

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