La Unità di tutta la sinistra contro la destra è un feticcio che non è certo porti alla vittoria

Le parole ormai svuotate di significato tipiche della sinistra. L’unità della sinistra può far vincere ma anche no. Gli elettori non gradiscono le ammucchiate forzate. Non ci si può unire per vincere e poi fallire come con l’ultimo Prodi alla prova del governo. Prendere coscienza che la rottura riformistica con il massimalismo travalica ormai la stessa figura di Renzi, è irreversibile. Più che fare ampie alleanze è necessario sconfiggere la macchina della paura e della insicurezza.

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La Unità di tutta la sinistra contro la destra è un feticcio che non è certo porti alla vittoria

È mia opinione personale che l’unità della sinistra non sia un valore in sé.

Così’ come viene predicata da molti, a cominciare da Veltroni, mi sembra un feticcio che tra l’altro non risponde alle caratteristiche palingenetiche che gli vengono attribuite, un'altra delle tante parole vuote della sinistra che un tempo avevano un valore ma che oggi ne hanno certamente un altro.

Non è che io non capisca che ”più siamo meglio stiamo” (scusatemi questa reductio di un tema così nobile, per alcuni). Ma capisco anche il contrario.

Capisco che moltissimi potenziali elettori di centrosinistra invece non gradiscono le alleanze ammucchiate tra persone che fino a qualche giorno prima si sparavano a pallettoni non a salve. E non gradiscono perché sono rimasti scioccati da ciò che è accaduto con l’Unione dell’ultimo Prodi, una larga alleanza per vincere che dal giorno dopo ha miseramente fallito alla prova del governo, fallimento che ancora paghiamo amaramente.

Le alleanze fatte per vincere e che mettono sotto il tappeto le profonde divergenze di analisi della società italiana e dei suoi bisogni e soprattutto mettono sotto il tappeto la divergenza sugli strumenti che una sinistra di governo deve mettere in campo per cambiare le cose, alleanze fatte così sono destinate al fallimento e a non produrre trasformazioni ma solo accanite discussioni e conseguenti rinvii finché, cioè mai, non si trova la quadra.

Bisogna invece prendere atto, come ha scritto un vecchio compagno che come me viene dal PCI, che dalla rottura riformista operata da Renzi non è possibile ormai tornare indietro e che questo strappo salutare con il massimalismo di ogni tipo travalica ormai la esistenza di Renzi che è stato solo il primo dei suoi interpreti.

Io non credo nella autosufficienza del PD. La vocazione maggioritaria non è mai stata concepita come autosufficienza. È evidente che il Partito Democratico deve aprirsi e lo deve fare con due movimenti paralleli.

Il primo aprendo le nostre liste alla società civile, mettendo da parte i burocrati ed i polli allevati in batteria e consentendo ai talenti migliori espressi dalla nostra società di fare qualcosa per il proprio paese.

Il secondo cercando alleanze a sinistra ed al centro con forze di governo anch’esse espressione di pezzi della società civile che non si identifica con il PD (ed il mio pensiero va a Pisapia, a Zedda, alla Bonino ed alla pattuglia dei radicali, ai verdi, ai socialisti  oppure a tutto quello che al centro potrebbe nascere attorno alla figura del ministro Calenda e tentando di soffiare personalità a Berlusconi, personalità che non si ritrovano nella alleanza a destra con i populisti farabutti della Lega).

Cosa farà MdP dipende da MdP e dal gruppo di rancorosi settantenni che lo guida.

Finora è chiaro dove vogliono andare a parare, lo hanno dimostrato anche in Sicilia, vogliono avere la testa di Renzi prima di mettersi seduti a trattare e vogliono che siano smontate tutte le riforme fatte nei 1000 giorni.

Il PD, per bocca di Renzi e di tutti i suoi massimi dirigenti, non pone veti personali neanche verso chi passa gran parte del suo tempo ad insultare il PD e soprattutto Matteo Renzi.

Infine  credo che il tema per poter vincere non sia la pur importante questione delle alleanze ma, come ho scritto con un certo accenno pessimistico  QUI (Perché il PD, malgrado le tante cose buone fatte, può perdere le elezioni nazionali), come fermare la potentissima macchina della paura che da tempo si è messa in moto e che ha condizionato tutte le elezioni locali svolte e condizioneranno ancor di più le elezioni politiche.

Le conseguenze della effervescente ripresa economica del nostro paese, frutto della politica dei 1000 giorni, non sono ancora visibili nel vissuto quotidiano di tante persone. La crisi del 2008 ha seminato impoverimenti e disuguaglianze non ancora del tutto sanate e sulla rabbia sociale puntano i proprietari della macchina della paura per spostare a destra (come accade in tutta Europa) l’asse della politica.

Il tema migranti è il principale combustibile di cui si nutre questa macchina.

Fu sperimentata per la prima volta in tutta la sua potenza nelle elezioni comunali di Roma nel 2008 quando Alemanno vinse sull’onda di una fortissima esigenza securitaria indotta (mentre il governo Prodi non riusciva a far approvare dal Parlamento neanche uno sbiadito decreto legge sui temi della sicurezza proposto da Giuliano Amato).

Ed oggi è ormai collaudata e pronta su tutto il territorio nazionale.

E se il centrosinistra (ampio o ristretto che sia) non troverà le parole giuste e le proposte giuste da un lato per accogliere ed integrare e dall’altro per rassicurare gli impauriti, potrebbe non servire alcun genere di alleanza.

Negli USA, malgrado i successi di Obama in economia, Trump ha vinto azionando a manovella la macchina della paura e della insicurezza. Io tutto questo ce l’ho chiaro. Non so voi.

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Enzo Puro

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Aggiornato al 31 marzo 2018

 

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