Pulire Roma e metterci al servizio della città

L'iniziativa del PD non è una trovata estemporanea di Renzi. Ci sono già dei precedenti nella storia della sinistra romana. Ora ci vogliono un ripensamento di quanto è avvenuto negli ultimi quarant'anni nella capitale e un impegno comune a risolvere un problema molto serio della città

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Pulire Roma e metterci al servizio della città

Caro Professore, è capitato a me quel che probabilmente capita a molti altri romani, forse anche a Lei, di non tornar per anni in luoghi bellissimi ed amati della città.

Dopo molto tempo sono ritornato sul piazzale del Gianicolo, in uno stupendo pomeriggio di fine maggio con la vista sulla città e sui colli albani, particolarmente chiara e bella.

Sarei rimasto a lungo, ma ho preferito andarmene subito. Non per la folla, numerosa, ma sempre gradevole quando è varia e lieta, come era lassù, ma per essere la piattaforma del belvedere occupata, sino ad impedire il movimento e la vista, da cinque o sei bancarelle di orribili, falsi ricordi di Roma e di cassette musicali. Sono, tuttavia, andato via principalmente per la incredibile sporcizia chiaramente non casuale, ma di lunga data, ovviamente dovuta all’assenza di qualsiasi sorveglianza e di qualsiasi servizio di nettezza urbana.

Se ha tempo, vada e veda. Tutto il piazzale è un mondezzaio, cosparso di carte, barattoli vuoti, stracci. Si ha l’impressione che la principale colpa non sia dei frequentatori, dato che i cestini dei rifiuti sono stracolmi e non vuotati.

La sporcizia salta particolarmente agli occhi ed offende proprio laddove sarebbe necessaria la più accurata pulizia, sulla piattaforma del belvedere, nel praticello / chiamiamolo così / dietro il monumento, che si affaccia, dall’alto delle mura aureliane, su Villa Pamphili e sul pendio che degrada su Roma. La piattaforma del cannone è un cumulo di barattoli di aranciata, birra e coca-cola; la scalinatella in mattoni, che scende sul sottostante Viale del Parco di Villa Corsini, è tutta una lordura. Ma son certo che – ad una visita più accurata – ogni altro angolo della zona a viali o a verde rivelerebbe lo stesso quadro. Che dire, poi, dell’enorme serbatoio di immondizie in putrefazione a metà circa del bellissimo Viale delle Mura Aureliane, che da San Pietro porta all’entrata del Gianicolo?

Penso che ogni giorno, nel pieno della stagione primaverile-estiva, passino e sostino sul Piazzale Garibaldi, tra italiani e stranieri, molte decine di migliaia di persone. Per ognuno, quella vista stupenda dovrebbe restare – come è sempre restata per tutti - ricorda Stendhal seduto sui gradini di san Pietro in Montorio - -uno dei più bei ricordi di Roma. Resterà, invece, indissolubilmente legato a un senso di sporcizia, di disordine, di malgoverno. E non è giusto che sia così.

Una lettera così l’avrebbe potuta scrivere chiunque in questi giorni ma è del 29 maggio 1979, redatta da Manlio Rossi-Doria e indirizzata a Giulio Carlo Argan, all’epoca Sindaco di Roma. Sono grato al Professor Emanuele Bernardi che mi ha messo a disposizione il file in cui è riprodotta la missiva. La quale significativamente così si chiude: “Mi scusi se mi sono permesso di scriverLe questa lettera. Ovviamente l’ho fatto per un dovere verso di Lei, che altamente stimo per il suo valore, il suo impegno e la sensibilità per queste cose”.

Dunque, da questa lettera veniamo a sapere una serie di fatti: 1) l’emergenza rifiuti a Roma già c’era trentotto anni fa; 2) il fenomeno era talmente esteso da ledere l’immagine della città a livello internazionale; 3) un professore universitario avverte il dovere di scrivere ad un suo collega che in quel momento ricopre la carica di Sindaco della città per avvertirlo di quanto sta avvenendo e si appella alla sua sensibilità “per queste cose”.

Se così stanno le cose, la domanda che mi viene spontanea è la seguente: “Perché a distanza di quasi quarant’anni il problema non è stato mai risolto?”

A questa domanda devono rispondere i gruppi dirigenti romani nel loro insieme senza distinzioni politiche, sociali ed economiche. Naturalmente ciascuno assumendosi le proprie responsabilità ma con l’intento di giungere ad una lettura condivisa di quanto è avvenuto in questi decenni. Lo dobbiamo a noi stessi e ai cittadini romani.

Mi ha colpito la franchezza e il nitore con cui Roberto Morassut, in un post su facebook, ha dato la sua risposta:

“I problemi che oggi vive Roma sul tema dei rifiuti derivano in larga parte dalla ideologica e furente opposizione che da sempre le componenti radicali di sinistra e populiste di destra hanno svolto a Roma e nel Lazio sulla realizzazione di impianti di trattamento dei rifiuti che consentissero progressivamente di uscire dal regime dello sversamento in discarica.

La pervicace distorsione degli elementi di informazione sulla pericolosità degli impianti, la confusione anche tecnica sulla realizzazione degli stessi ha condotto ad una impossibilità di decidere o comunque ad una difficoltà di assumere decisioni innovative importanti da parte delle Amministrazioni pubbliche.

Questo ha impedito all’Ama di assumere una dimensione industriale (capace di creare ricchezza da reinvestire nel servizio) e di abbandonare quella di una azienda “operaia” di spazzamento (tendenzialmente indebitata e con costi altissimi) ed ha lasciato campo aperto ai privati (monopolisti) nella politica degli impianti industriali”.

In questa dichiarazione di Morassut – in parte anche autocritica perché il parlamentare è stato anche assessore nelle giunte Veltroni – ci sono tutti gli elementi per aprire un dibattito pubblico al fine di comprendere le ragioni remote della crisi che attraversa Roma sul versante rifiuti.

Ma è necessario anche fare una discussione pacata su come affrontare nell’immediato l’emergenza. Alla città servono nuovi impianti e l’Amministrazione capitolina, guidata da Virginia Raggi, deve indicare dove e come vanno realizzati. Al tempo stesso, deve proporre le soluzioni temporanee per chiudere il ciclo dei rifiuti nello spazio temporale necessario alla loro realizzazione. Serve localizzare, progettare e autorizzare un invaso per rifiuti trattati e innocui; serve progettare e autorizzare una riconversione degli impianti di trattamento meccanico biologico; serve localizzare i siti in cui costruire linee di compostaggio necessarie a trasformare in energia e terriccio la grande massa di rifiuti organici raccolti.

L’iniziativa del PD di pulire Roma non è una trovata estemporanea di Matteo Renzi. C’è un precedente nella storia della sinistra romana, ricordato da Giovanni Carapella e che andrebbe ripreso: nel 1975, il Pci di Petroselli, ancora all’opposizione, organizzò gruppi di militanti per pulire le strade piene di immondizia a causa di uno sciopero del personale comunale indetto dalla Cisnal. Numerosi autocarri Fiat 615, con bandiere rosse e volontari, si misero al servizio dei cittadini per attenuare il disagio.

Con analogo spirito di servizio da parte dei partecipanti, l’iniziativa di ieri dovrebbe avere un duplice significato: 1) ripensare a quanto è avvenuto nei decenni scorsi nella città per pervenire ad una lettura – possibilmente condivisa in modo largo – delle responsabilità e degli errori fatti in passato; 2) dichiarare pubblicamente la disponibilità, a tutti i livelli istituzionali, a fornire il proprio contributo ad uscire dall’emergenza, con proposte e con iniziative concrete.

Si tratta, in sostanza, di pulire Roma dalla retorica sterile che fa arrabbiare giustamente i cittadini romani, e rimboccarci tutti le maniche per agire in modo costruttivo al fine di risolvere i problemi della città.

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Alfonso Pascale

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Aggiornato al 31 marzo 2018

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