La dittatura dell'aggettivo
È tempo dei riformisti. E i riformisti sono quelli che le riforme (possibili) le fanno. E non le risolvono in vuoti aggettivi, "radicali" a parole
- Scritto da Umberto Minopoli
- Pubblicato in Politica
È questo che non è più accettabile, credibile e sopportabile: la dittatura dell'aggettivo.
Il modesto Pisapia, per qualificare la sua manifestazione e per descrivere ciò' che lo distingue dal Pd ha parlato di un "centrosinistra radicalmente innovativo". Che distinguerebbe lui, Grasso, Speranza e altri da Renzi e il Pd. Che, sembra di capire, il centrosinistra lo vorrebbero "non radicale" o " poco innovativo".
Ma basta! Letteralmente non se ne può più.
La sinistra, ai miei occhi di riformista liberale, ha questo vezzo che la rende antipatica: crede di avere il monopolio del cambiamento. Ma non perché' fa, effettivamente, innovazioni o riforme. No. Solo perché' le aggettiva: forti, radicali, straordinarie ecc.
Poi quali siano queste riforme che propone, quali siano i contenuti, i programmi che avanza, che cosa realmente abbiano di innovativo e in che cosa rappresentino un cambiamento reale, non è dato saperlo.
In che cosa i programmi della sinistra radicale (che non ha fatto mai alcuna riforma) siano "radicalmente innovativi" rispetto alle riforme realizzate da Renzi e che hanno portato l'Italia fuori dalla crisi? Lo sapete voi? Io no.
Pisapia sarà un buon sindaco o un moderno avvocato ma deve capire, insieme a tutta la sinistra, una cosa: in Europa e in Italia bisogna smetterla con gli aggettivi per qualificare i propri programmi. Bisogna smetterla con questo vezzo di sinistra di sostituire alle proposte concrete gli aggettivi altisonanti per distinguersi dai riformisti liberali.
È pericoloso. Se ci fermiamo agli aggettivi il populismo, anch'esso radicale a parole, vi strabatte. Nella situazione europea di oggi serve il contrario: dimostrare che sono possibili cambiamenti "tranquilli" e che vale molto di più' la competenza di governo che il radicalismo (a parole).
È il populismo il nemico da battere. E il populismo, quanto alla retorica degli aggettivi, batte chiunque. Io sono diventato sostenitore di Renzi solo quando ha realizzato il jobs act. E perché, finalmente, c'era al governo una sinistra che le riforme le faceva e non le aggettivava soltanto.
Ora Pisapia e l'Mdp la smettano con la pretesa di distinguersi con gli aggettivi, astratti e altisonanti. Dicano, finalmente, quali sono concretamente le riforme che farebbero, in che cosa sono più "radicali" di quelle che Renzi ha fatto o propone di fare, e che cosa abbiano di così innovativo.
Io, per ora, ho capito soltanto che gli piacerebbe "ripristinare" l'articolo 18. Non proprio un'innovazione e tanto meno "radicale". Io della sinistra presuntuosa e parolaia che fa le rivoluzioni con gli aggettivi non ne posso più'.
È tempo dei riformisti. E i riformisti sono quelli che le riforme (possibili) le fanno. E non le risolvono in vuoti aggettivi, "radicali" a parole.
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Umberto Minopoli
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Aggiornato al 31 marzo 2018
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