Il punto dopo il referendum del 4 dicembre 2016
A quattro mesi dalla consultazione referendaria, che ha bocciato il testo di riforma costituzionale licenziato dal parlamento, è opportuna una valutazione dell’impatto che questa ha avuto sul Paese
- Scritto da Francesco Coraggio
- Pubblicato in Politica
E’ utile ripetere sinteticamente una parte dei quesiti oggetto del referendum:
- - Eliminazione del regime paritario fra Camera e Senato; trasformazione del Senato (ridotto nei suoi componenti da 315 a 100) in un Senato delle autonomie.
- - Eliminazione del CNEL.
- - Eliminazione delle province.
Inoltre, era stata approvata dal Parlamento una nuova legge elettorale, l’Italicum, valida solo per la Camera (in quanto la funzione del Senato era ancora in attesa di conferma referendaria), che mirava ad assicurare una chiara maggioranza attraverso un ballottaggio ed un premio di maggioranza. Avrebbe assicurato la governabilità.
Ecco, i quesiti sono stati bocciati dal referendum; mentre la legge elettorale è stata bocciata nella parte specifica del ballottaggio dalla Corte Costituzionale. In realtà la Corte salva tutta la parte dell’Italicum nella prima fase elettorale, compreso il premio di maggioranza a chi raggiunge il 40%, ma boccia la seconda fase, quella del ballottaggio.
I sostenitori della riforma sostenevano che dare prevalenza ad una Camera per quanto riguarda l’attività legislativa avrebbe snellito lo stesso processo ed avrebbe ridotto i tempi e la qualità dell’attività parlamentare. Ma soprattutto avrebbe garantito maggiore stabilità dell’esecutivo, in quanto avrebbe escluso l’inconveniente di avere maggioranze diverse nei due rami del parlamento.
I sostenitori del NO, naturalmente avevano argomenti diametralmente opposti, e soprattutto mettevano in discussione la qualità della stessa riforma. Adduceva qualcuno che una riforma che raggiungeva gli stessi obiettivi potesse essere fatta velocemente, con un consenso più ampio, in soli 6 mesi.
A distanza di 4 mesi possiamo notare, che ciò non sta avvenendo, e che ci sono stati effetti sia esterni che interni al nostro Paese.
ESTERNI: dall’estero si è avuta la percezione che con la bocciatura del referendum ci sia stato un arresto del processo riformatore italiano.
Un processo cominciato con il governo Monti (riforma delle pensioni, e del lavoro) e proseguito con il governo Renzi (Jobs Act, riforma della P.A., riforma della scuola, riduzione del cuneo fiscale, alcune riforme attenenti i diritti civili (unioni civili e dopo di noi) e la modernizzazione del Paese (la banda larga ed il riassetto del territorio).
Le conseguenze non si sono fatte attendere, lo spread dei titoli pubblici italiani è salito a 200 punti base, qualche mese prima del referendum era vicino a 100 (110 dopo aver toccato anche i 90 punti base). Un esempio che più rende l’idea: lo spread è peggiorato anche verso gli altri Paesi, oggi l’Italia paga 70 p.b. più della Spagna, mentre prima del referendum pagava 10 p.b. in meno. Ciò significa che l’Italia dovrà pagare una diecina di miliardi in più di interessi per finanziarsi, questo è un effetto concreto, anzi concretissimo, 10 mld sono una manovra economica è quasi 1% del PIL.
La credibilità del Bel Paese si è deteriorata, la Commissione Europea è stata più rigida sulla flessibilità che avrebbe potuto concederci. E tanti altri segnali a livello internazionale.
INTERNI: non essendo passata la riforma, Senato e Camera continueranno a fare le stesse cose, pertanto c’è bisogno di una legge elettorale che garantisca la stessa maggioranza alle due camere.
Nella campagna referendaria, ripeto, c’erano molti che dicevano che bastavano 6 mesi per fare una nuova riforma costituzionale; queste stesse persone ora non solo non hanno in programma nessuna riforma costituzionale (mi sarei aspettato fosse doveroso) ma non si stanno neanche prodigando per fare una legge elettorale.
In pratica se, per avventura, si dovesse andare ad elezioni, questo Paese avrebbe una legge elettorale incompiuta per la Camera ed una legge diversa al Senato. Tra l’altro essendo l’Italicum mutilato della parte del ballottaggio, di esso rimane solo la parte proporzionale.
Questo fatto è stato determinante nello scenario politico nazionale, in quanto il proporzionale favorisce, a differenza del maggioritario o del ballottaggio, la frammentazione dei partiti e questo sta accadendo. Un decadimento democratico. Ogni leader si sta facendo il suo partitino; siamo tornati alla prima repubblica, agli interessi particolari, agli inciuci, all’ingovernabilità.
Lo scenario che si sta prefigurando non è certo dei migliori.
In questo contesto non sarà agevole, probabilmente sarà impossibile, trovare una maggioranza coesa in Parlamento che possa sostenere un governo che faccia le riforme necessarie a questo Paese. Per cui, ho paura, che se non si riesce a fare una buona legge elettorale, ed i presupposti non ci sono, si tornerà ai governicchi (governi deboli che gestiscono semplicemente l’ordinario), o ai governi balneari. Non è un caso che proprio in questi giorni qualche commentatore politico che ha sostenuto il NO ammetta che si è fatto qualche errore di valutazione.
Insomma torneremo alla repubblica delle banane, proprio quando la situazione internazionale richiederebbe, invece, un Paese moderno attrezzato per le sfide sempre più difficili.
I sostenitori della riforma costituzionale questo lo avevano ben chiaro, ho l’impressione che invece i sostenitori del No alla riforma avessero altri obiettivi: abbattere l’avversario politico, difendere i privilegi, gli interessi di bottega, le poltrone, e del Paese “chi se ne frega”.
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Francesco Coraggio
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Aggiornato al 31 marzo 2018
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