Lavoro di cittadinanza: puntiamo sullo scambio tra generazioni
Si parla spesso di lavoro di cittadinanza ma ancora non ne sono chiari i contenuti e i contorni. Una proposta potrebbe essere quella di legare tale lavoro allo scambio intergenerazionale
- Scritto da Alfonso Pascale
- Pubblicato in Politica
Il grande pediatra e psicanalista britannico, Donald Winnicott, era convinto, già alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, che una società si potesse reggere a condizione che i giovani e gli anziani interagissero, in forme progettate di dialogo, inteso come empatia, ascolto e accompagnamento reciproco, fare insieme, partecipazione.
Lavoro di cittadinanza e dialogo intergenerazionale
Una società come quella di oggi, che sconta un’erosione continua di beni relazionali, deve necessariamente porsi il problema di invertire la tendenza progettando un lavoro di cittadinanza, fondato sul dialogo intergenerazionale e costruito in ambiti di interesse generale: agricoltura sociale, manutenzione del territorio, valorizzazione del patrimonio culturale, ecc.
Questa proposta non ha nulla a che vedere coi lavori socialmente utili o con il servizio civile. È avulsa da logiche assistenzialistiche.
Essa pone al centro la reinvenzione, in forme moderne, dell’affiancamento tra “apprendista” e “maestro” per imparare insieme il “mestiere” di affrontare i momenti nodali della vita. Un’esperienza che le comunità umane tradizionali coltivavano con cura e che nella modernità si è dispersa. Ma essa è essenziale per tornare a produrre beni relazionali e creare le condizioni per l’innovazione.
Rapporto Istat sul Benessere Equo sostenibile
L’innovazione in Italia è molto debole perché le relazioni sociali, la fiducia negli altri, le reti di persone su cui poter contare si sono fortemente erose negli ultimi anni. Basta leggere il Rapporto Istat 2016 sul Benessere Equo Sostenibile (BES) per rendersi conto come tutti gli indicatori riguardanti i beni relazionali siano in discesa libera un po’ dappertutto. Ma nel Mezzogiorno in misura ancor più grave. E non a caso nelle regioni meridionali, il numero di imprese innovative è molto più contenuto rispetto a quello del Centro-Nord.
Formazione di capacità e competenze
Insomma, se il BES non cresce, non si creano nemmeno le condizioni per l’innovazione. E per aumentare i beni relazionali ci vogliono progetti che abbiano questa specifica finalità. Perché allora non sperimentare un sostegno al lavoro di cittadinanza che produca una crescita delle capacità relazionali?
Un lavoro che sia anche formazione di capacità, abilità e competenze nella comprensione dei contesti socio-economici locali in cui innescare processi di sviluppo. Un lavoro svolto da giovani che abbiano concluso gli impegni scolastici, da affiancare a persone che stiano per andare in pensione e decidano di dedicare la parte conclusiva della propria carriera in un’attività di cittadinanza attiva.
Uno scambio di saperi
Un lavoro costruito sullo scambio intergenerazionale, in cui i giovani apprendono da chi ha alle spalle una lunga esperienza di vita come muoversi concretamente per creare lavoro produttivo. E chi sta per andare in pensione apprende, a sua volta, da chi esce dall’adolescenza e dall’età scolastica quanto è necessario per affrontare nel modo migliore la terza e quarta età, per certi versi simili ai primi stadi della vita delle persone. Un apprendistato e un Ape (anticipo pensionistico) a forte valenza civile.
La globalizzazione e la rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo producono una parcellizzazione di culture e specificità da far prevalere sul conflitto tra interessi quello derivante dalle differenze identitarie, che si sono accentuate e moltiplicate.
Le differenze che interagiscono
E solo la creazione di istanze dinamiche di confronto tra diverse sfere pubbliche diasporiche potrà condurre ad una radicale riconversione della logica del conflitto identitario. Non si tratta, dunque, di accompagnare direttamente un giovane ad un impiego, ma di creare spazi simbolici entro cui le differenze si riconoscono e interagiscono per generare impegno lavorativo e vivificare lo “spirito dello sviluppo”, di cui parlava Albert Hirschman.
Chi dovrebbe predisporre e realizzare progetti per il lavoro di cittadinanza? Sicuramente le organizzazioni del terzo settore, di cui è in atto il processo di riforma, ma anche quelle piccole e medie imprese profit che intendono farsi carico di tale enorme problema sociale. Il tutto da organizzare come una grande operazione di incivilimento, mobilitando le risorse migliori del paese.
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Alfonso Pascale
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Aggiornato al 31 marzo 2018
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