La Repubblica vuole la fine politica di Renzi
La campagna giustizialista della Repubblica sul caso dei domiciliari dei genitori di Renzi. Non è la prima volta che accade. Repubblica è recidiva. Ricordiamo il caso Tempa Rossa, il caso Stefano Graziano, la campagna contro “l’impresentabile De Luca”. E ricordiamo le assoluzioni per tutti e 3 questi casi. Per non parlare del “golpe bianco” dei carabinieri di Scafarto. Come si fa allora a non dubitare di alcune decisioni di qualche singolo magistrato?
Repubblica, il giornale che con il suo antiberlusconismo giudiziario e forcaiolo ha permesso al Cavaliere di governare per 20 anni (a mandarlo via nel 2011 non sono stati i processi a suo carico che anzi lo hanno rafforzato ma la Politica e la cattiva gestione della crisi economica globale), dicevamo, Repubblica si è trasformato in questi giorni nel giornale più radicalmente antirenziano a prescindere.
I suoi editorialisti riportano ampi stralci dell’ordinanza dell’accusa ai genitori di Renzi senza prendere mai in considerazione le argomentazioni approfondite della difesa.
Repubblica ha già emesso la sentenza. Prima che i magistrati giudicanti si pronuncino nel processo.
Non è la prima volta che accade. Ed in passato lo svolgersi delle inchieste e dei processi ha portato a smentire i titoloni di Repubblica. Ed anche allora venivano pubblicate solo le carte dell’accusa, ipotesi poi fatte a pezzi dagli atti successivi.
E se qualcuno adombra errori e forse premeditazione nell’atteggiamento del Gip ecco allora le punte acuminate degli editorialisti debenedettiani che lanciano la fatwa contro Renzi stesso: si comporta come Berlusconi!!!
Invece nelle sue sacrosante esternazioni, condite da una profonda amarezza di figlio, Matteo Renzi dimostra un profondo rispetto della magistratura nel suo complesso e si dichiara fiducioso del corso della giustizia. Anche se naturalmente fa notare alcune incongruenze in ciò che sta accadendo e fa notare alcune strane coincidenze.
D’altra parte come non stare con le orecchie e tutti gli altri sensi all’erta dopo quello che è accaduto negli ultimi anni?
Ricordate l’inchiesta Tempa Rossa che ha azzoppato un importante ministro del Governo Renzi ed ha provato ad azzoppare Renzi e tutto il PD?
Ricordate Repubblica e gli altri giornali che pubblicavano, come fanno oggi, i documenti dell’inchiesta mettendo in piazza anche i fatti privati delle persone coinvolte?
Ricordate anche, però, che quell’inchiesta era una inchiesta farlocca e che è finita in un binario morto, ed è servita, prima di importanti elezioni, a consentire al circo mediatico/giudiziario di dare un duro colpo tra la gente alla immagine del PD e dell’allora Presidente del Consiglio.
E poiché, come dice Mark Twain, la bugia riesce a fare il giro del mondo nello stesso tempo in cui la verità si allaccia le scarpe, quel fango, lanciato da quella inchiesta farlocca e messo nel ventilatore da Repubblica ed altri giornali, ha inciso profondamente nell’opinione pubblica sulla considerazione del PD e di Renzi.
Ed è lo stesso meccanismo che fu messo in moto, prima di un'altra importante elezione, con l’arresto del Presidente del PD campano Stefano Graziano accusato addirittura di collusioni per voto di scambio con la Camorra, una delle accuse più infamanti che possono essere lanciate contro un politico.
Anche in quel caso per settimane e settimane i titoli di Repubblica avevano già emesso il verdetto senza aspettare il prosieguo delle indagini o il processo. Stefano Graziano e l’intero PD venivano indicati come una dependance della Camorra. E lo facevano pubblicando anche allora stralci a gogo degli atti di una inchiesta che poi è finita nel nulla di fatto, con Stefano Graziano ampiamente scagionato da tutto e con le scuse dei magistrati.
Ma anche in quel caso il fango condizionò le elezioni di quell’anno e quel marchio, malgrado l’assoluzione, restò indelebile indebolendo Renzi ed il PD (in una seria analisi del voto bisognerebbe valutare anche il peso che ebbero sull’indebolimento elettorale del PD queste campagne giustizialiste basate tutte su inchieste farlocche).
E vogliamo parlare delle vicende giudiziarie di Vincenzo De Luca, quelle che addirittura gli valsero, con la complicità della “Rancorosy” Bindi, la qualifica di “impresentabile”?
Anche in quel caso Repubblica e gli altri giornali pomparono contro De Luca e tutto il PD di Renzi decine e decine di articoli in cui le sentenze furono emesse senza aspettare l’esito dei processi e descrivendo l’attuale governatore della Campania come un vero gangster.
Ma tutti quei processi finirono con l’assoluzione di De Luca senza che Repubblica mettesse la stessa enfasi che aveva messo nello sparare fango a palate.
Ed in ultimo vogliamo parlare dell’episodio più clamoroso, quello del caso Consip e del coinvolgimento anche in quel caso di babbo Renzi?
La sceneggiatura è la stessa, c’è una inchiesta e ci sono le carte dell’inchiesta che vengono pubblicate sui giornali a piene mani. Anche in quel caso Repubblica ci monta su uno spettacolo indecoroso con titoli ed editoriali infami tesi ad infangare Renzi attraverso suo padre, per settimane e settimane.
Ma in questo caso l’epilogo è clamoroso. Grazie alla procura di Roma, cui è demandata una parte dell’inchiesta, diretta dal giudice Pignatone (non certo sospetto di favoritismi nei confronti del PD, è il giudice che mise su l’inchiesta su Mafia capitale) si scopre che le prove su cui si basava l’accusa a Tiziano Renzi erano state contraffatte dal capitano dei carabinieri Scafarto, un capitano del NOE della squadra di Ultimo, al servizio del magistrato Woodcock.
E fu all’epoca rivoluzionaria (come scrisse Piero Sansonetti sul Dubbio) la decisione del procuratore Pignatone di togliere al nucleo dei carabinieri che si chiama “Noe” la titolarità delle indagini sul caso Consip e affidarla al nucleo investigativo dei carabinieri di Roma. Motivando la sua scelta in modo esplicito con la necessità di fermare la fuga di notizie e di far rispettare il codice penale costantemente violato da investigatori, Pm e giornalisti.
E questa rivoluzionaria decisione dimostra ancora di più che si trattò di una specie di tentato golpe bianco mirato a defenestrare quello che all’epoca dei fatti era il premier italiano.
Ma voi pensate che Repubblica si sia lanciata nella denuncia di un fatto così grave con la stessa foga con cui per settimane aveva picchiato duro sui Renzi? Ma quando mai? Silenzio e niente scuse.
Ecco di fronte a questa serie di fatti giudiziari (non di aleatorie opinioni o peggio di discutibili tesi complottiste) come si fa a non dubitare di una inchiesta che, a pochi mesi da importanti elezioni europee, manda ai domiciliari i due genitori settantenni dell’ex premier per un reato che se venisse confermato dai processi non prevede il carcere? Come si fa a non dubitare di una ordinanza di arresto emessa dopo che sono passati mesi e mesi dalla richiesta di rinvio a giudizio da parte del Gip? Se c’era pericolo di inquinamento delle prove, per un reato vecchio, se commesso, una decina di anni fa, perché aspettare tutti questi mesi? Il sospetto di spettacolarizzazione in vista delle prossime elezioni è più che legittimo. Come è legittimo il pensare che l’attivazione della ordinanza coincida con la decisione della piattaforma Rousseau di evitare il processo a Salvini.
Cosa c’entra Berlusconi con questi legittimi dubbi? Secondo gli esimi editorialisti di Repubblica bisogna stare fermi a prendere le sberle senza reagire minimamente? Dove sta il riconoscimento del diritto alla difesa davanti a tutto ciò?
Le sentenze, soprattutto se definitive, si rispettano. Gli atti inquirenti messi su dall’accusa invece sono contestabili e criticabili.
Invece come scrisse a suo tempo in maniera magistrale il direttore del Dubbio Piero Sansonetti “Il moderno giornalismo di inchiesta funziona così. Non fa inchieste, non cerca notizie. Riceve informazioni dagli apparati o da qualche altra figura istituzionale e decide non di informare ma di eseguire la pena. Se la degenerazione del giornalismo italiano si dovesse trovare senza più ossigeno, magari anche dentro la nostra categoria si muove qualcosa. E a qualcuno viene in mente che lo Stato di diritto non necessariamente è il nemico dell’informazione”.
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Enzo Puro
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Aggiornato al 31 marzo 2018
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