Spread di destra? Spread di sinistra? C’è anche chi si pone simili interrogativi e vi sproloquia.
Altro che gli errori del biennio 2014-16!
- Scritto da Vincenzo Marini Recchia
- Pubblicato in Politica
Lo spread è semplicemente la misura di una reputazione. Coloro che devono prestarti i soldi giudicano competenza, serietà, trasparenza della squadra che deve realizzare un programma tenendo in ordine i conti e facendo progredire un progetto. Una buona reputazione sull’arena internazionale non la si inventa dall’oggi al domani.
Storicamente non abbiamo mai goduto di una fama di serietà e lealtà. Maramaldo è il tipo che negli affari internazionali più ci rappresenta. Ci sarà una ragione se le parole di Gramsci per definire i demagoghi del 1921 siano di una incontestabile attualità quasi un secolo dopo.
Saccheggiatori del pubblico denaro, spostati senza arte né parte, autoreferenziali possessori di strampalate ideologie edonistiche, criminalità organizzata in bande più o meno territoriali, sono la maggioranza del paese sin dalla spedizione dei Mille. Un complesso di reiterate prove di inaffidabilità dilettantesca e di comportamenti furbescamente imbroglioni che non aiuta mai e che fa pagare un prezzo in più anche a quanti, sull’orlo del baratro, sono chiamati al rigore.
I più disonesti - intellettualmente ma anche sul piano dell’etica della comunità nazionale - sono i vecchi appartenenti agli apici della burocrazia alta, statale e parastatale, e alle oligarchie sindacali e partitiche che hanno consociativamente governato l’Italia postfascista ininterrottamente per oltre settanta anni. Dando mance a tutte le clientele elettorali di destra e sinistra.
Il bello è che pretendono, nell’Europa del 2018 di fregiarsi del titolo di esponenti della grande politica. Ditelo a Marshall, quello del piano - ma anche a Allen Dulles e a Kissinger - cosa è costato in dollari agli americani mantenere la Grecia e l’Italia dentro l’orbita della democrazia e non farle deragliare verso i populismi totalitari.
Sì. Il prof. Prodi è un acuminato politico dell’era delle vacche grasse, delle Partecipazioni statali con la filosofia “un po’ a Maria e un po’ a Gesù”, del confronto est-ovest, ma, quando ci racconta la realtà di oggi dimentica un particolare piccolo piccolo: l’Europa ha regole che vanno rispettate e richiedono a paesi che hanno costruito - come la Grecia e l’Italia appunto- la più barocca e ridondante bardatura parassitaria sopra la struttura produttiva di rinnovarsi o emarginarsi definitivamente. Le grandi ammucchiate dell’ancient regime hanno prodotto le due orde populiste. Come negli anni venti è l’Italia, con i suoi “reduci” a cui qualcuno promette sempre di andare all’incasso, che anticipa le ventate reazionarie nel mondo. Vecchio paese educato ad arrangiarsi. Franza o Spagna purché se magna.
Altro che gli errori del biennio 2014-16.
In quel biennio un ragazzo coraggioso e un po’ guascone ha proposto con la Riforma istituzionale l’unica via d’uscita nazionale verso l’Europa moderna e la solita ammucchiata ha lavorato giorno e notte per farlo deragliare.
Ora ci tocca sentire i sermoncini sugli errori. Non volete riformare la macchina statal regionale degli sprechi, delle duplicazioni, della confusione nelle decisioni, delle corporazioni a guardia dei loro privilegi? Allora cari professori abbiate il coraggio di dire che la sinistra dura e pura deve invocare una patrimoniale da fare impallidire i soviet oppure acconciarsi, come stanno facendo i complici del successo sovranista - non contrastando in nulla l’epifania dei bugiardi e degli incompetenti - a uscire dall’Europa e mettersi a stampare lire alla velocità della zecca venezuelana, perché il futuro che Salvini e Di Maio preparano è questo.
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