Piazza dell'Unità
I manifestanti indicano la strada per stare insieme, ma a molti non piace
- Scritto da Marco Proietti
- Pubblicato in Politica
In fondo cosa volevano quegli elettori che 4 anni fa hanno indicato la direzione di marcia al PD e in cosa sono stati traditi? I sondaggi dell'epoca indicavano un 70% di votanti che voleva chiudere radicalmente con la nomenclatura del passato. I dati da allora sono stabili.
Io non so se l'assenza del leader naturale e scaltre mimetizzazioni possano, come sembra, portare a compimento quella vendetta covata nel tempo, so che si rivelerebbero un inganno col respiro corto.
Il sogno originario è ampiamente fallito, Renzi non sarà legato al palo della tortura nel centro del villaggio, vittima della nemesi collettiva in risposta alla ubris dell'usurpatore, con la natura che si ribella alla presunzione dell'individuo. Di più, la strategia di far apparire come degli acerbi statisti Di Maio e Casalino e degli esuberanti scavezzacollo i componenti della loro banda parlamentare diventa ogni giorno più risibile di fronte ai loro tratti eversivi che appaiono sempre più nitidi.
So anche che c'è una gran differenza di entusiasmo tra questi due congressi. L'Unità del partito stavolta è stata brandita contro il nemico invece che evocata. Resta poco dell'idea illusoria di contare oltre che di contarsi.
La partecipazione come metodo e come strumento per sacralizzare la scelta. Certo, tutti predicano l'Unità, ma quanti sono disposti a farsi indicare il percorso dagli elettori?
La grande manifestazione del 30 settembre ha dato risposte nette: L'Unità si costruisce per mezzo di un'opposizione senza sconti, senza distinguo e senza ambiguità ai due partiti di governo. Senza distinzioni tra chi usa gli slogan della destra tradizionale, della retorica patriottica e la versione rabberciata dei 5stelle, una formula imparaticcia, un sovranismo d'accatto che altro non è che la ricetta regressiva di quel vecchio armamentario ideologico.
Per i democratici, l'alterità non è uno slogan ma un'affermazione identitaria e spontanea. Perché essere altro nel modo di concepire un partito produce un'insanabile distanza culturale e posizioni non negoziabili su come si gestisce la cosa pubblica.
Bisognerebbe parlare di come gli stigmi del fascismo siano evidenti ai più accorti nel "non partito" che crede di essere stato (e una prima indicazione ve l'ho data), ma elencarli tutti merita un discorso a parte. Sarebbe necessario interrogarci su come tutto questo sia parte integrante della visione di Europa, ma anche questo va argomentato come il rilievo della questione impone.
Allora torniamo a quella piazza. Ha dato risposte a chi le cercava sul serio. L'Unità si costruisce intorno all'identità e non infierendo sulla generosità e la lealtà di chi non ha tradito. Chi persegue obiettivi diversi dovrebbe fare un passo indietro da incarichi o candidature, fosse anche un incompreso portatore del verbo, altrimenti quella ritrovata #unità sarà il sogno di una bella giornata autunnale e verrà vanificata da pervicaci forzature o utilità personali.
Restare sordi alla voce della base non porterebbe solo ad una sicura divisione ma ad una più realistica estinzione. Se i dirigenti del partito avranno una molecola di sintonia con quei manifestanti e un briciolo del loro amore per questo partito, si potrà aspirare a un futuro.
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