Ecco perché Prodi non è un politico di sinistra ed invece Matteo Renzi lo è
Una articolata risposta a Romano Prodi che ha ironizzato sull’essere di sinistra di Renzi. Destra e sinistra esistono ancora ma è bene intendersi sulle mappe concettuali che le definiscono. È stato Prodi e l’intera vecchia classe dirigente della sinistra (non solo italiana) ad essere subalterna ai paradigmi dominanti delle destre in Europa. L’apocalisse antropologica del post fordismo. I perché veri di una sconfitta epocale. E perché quella di Matteo Renzi era l’unica sinistra possibile e nessun errore può cancellare questa affermazione.
Romano Prodi, personaggio cattivo e vendicativo e sopravvalutato uomo di governo, in una iniziativa di “Repubblica delle idee” ha ironizzato su Renzi e sul suo essere o meno di sinistra.
Non capisco naturalmente a che titolo Prodi parli della sinistra di cui non ha mai fatto parte (semmai è stato un alleato della sinistra e considerato da D’Alema e dai suoi un utile idiota). E non capisco neanche questo continuo dibattito puramente topografico dove tutti, anche i personaggi più strampalati, parlano di sinistra e destra senza mai entrare nel merito.
Perché se è vero, ed è vero, che la distinzione tra destra e sinistra continua ad esserci e sempre ci sarà (ed i primi atti del governo Conte, dai migranti alle affermazioni sulla Flat tax stanno lì a dimostrarlo) è però pure vero che le mappe concettuali che definiscono il campo della sinistra oggi non sono più le stesse di quelle dentro cui si sono definiti i grandi Partiti di massa e dentro cui, nel secondo dopo guerra, è nata la Democrazia nel nostro paese.
Non la voglio buttare in teoria ma bastano pochi esempi per spiegare come è cambiata la mappa concettuale che definisce il campo della sinistra.
Guardiamo alla visione sospettosa che la sinistra (in occidente) aveva dello Stato e delle Istituzioni. Era il rimasuglio ideologico di un marxismo rimasticato che guardava alla prospettiva della estinzione dello Stato ma era anche la diffidenza, dopo il durissimo periodo fascista, verso uno Stato troppo invasivo e repressivo (quel complesso del tiranno che ancora ci accompagna a sinistra e ci impedisce di rinnovare completamente la nostra forma di Stato per adeguarla ai tempi). La sinistra estrema coniò anni fa addirittura lo slogan “lo stato si abbatte non si cambia” in polemica con il riformismo timido del PCI dentro cui il dibattito sulla questione Stato era certo più complesso.
Oggi, al contrario, è di sinistra rivendicare il ruolo dello Stato contro le forze del caos dell’economia finanziaria globale che paradossalmente (lo scrisse Mario Tronti qualche anno fa) hanno fatto proprio quello slogan estremista. I flussi finanziari che scorrazzano liberamente per il mondo vedono negli Stati un pericolo e per questo si danno da fare in tutti i modi (anche a mio avviso finanziando i populismi distruttivi) per impedire loro di mantenere il potere ordinatorio e soprattutto impedire che nascano Stati o Istituzioni sovranazionali politicamente forti che svolgano quella funzione di controllo degli spiriti selvaggi della economia che fu la funzione principale per cui (di fronte al capitalismo nascente ed allo sfarinarsi dell’ancien regime) nacquero nella prima modernità, qualche secolo fa, gli Stati Nazione.
Alla sinistra che ancora teme il rafforzamento dello Sato e dei suoi poteri di decisione (quella sinistra che si è alleata con la destra nell’accozzaglia per il NO al referendum costituzionale) bisogna contrapporre invece una sinistra con la consapevolezza che l’incapacità dello Stato e dei suoi organi di governo di decidere porta alla distruzione della democrazia e non viceversa.
Un secondo esempio riguarda il rapporto tra le politiche di sinistra e l’individuo.
La sinistra in passato è sempre stata, comunità, massa, classe, soggettività collettiva e dove l’individuo (e l’individualismo) era visto come un pericolo per le magnifiche sorti e progressive che venivano predicate.
Ma come ci insegna Touraine la vecchia talpa dell’individualismo (vero motore della modernità) ha scavato sempre di più ed oggi i vecchi soggetti collettivi (con la fine delle grandi narrazioni fordiste) sono stati frantumati così come frantumato è stato ogni vecchio legame sociale. Ed una sinistra oggi se non è in grado di “orchestrare le differenze” e tenere in conto (ma quanto è faticoso?) ogni singola individualità può essere paragonata al cacciatore di farfalle che usava una retina dai buchi troppo larghi.
La pianto qua con la teoria ma spero sia chiaro attraverso questi due semplici esempi cosa voglia dire ridefinire la mappa concettuale della sinistra. Un vero ribaltamento che fa apparire molto lontana l’idea di quello che la sinistra era un tempo.
Per questo motivo sobbalzo e quasi quasi mi vien da ridere quando sento i padri nobili parlare di sinistra e soprattutto quando sento che ne parla Romano Prodi.
Come si fa a parlare di destra e sinistra se non si scava dentro quella apocalisse antropologica che negli ultimi 30 anni, insieme ai rapporti spazio temporali, ha modificato i desideri, le sensazioni, le richieste, gli obiettivi, gli stili di vita, le passioni, le modalità dello stare insieme, di quelle che un tempo erano chiamate le masse popolari?
Quella apocalisse antropologica per cui l’anelito alla libertà di tante lotte della sinistra si è trasformato nel più grande motore biopolitico e bioeconomico del capitalismo globale.
Ed è partendo da queste premesse che ritengo il PD di Matteo Renzi un Partito di questa sinistra nuova come ritengo i governi del PD quanto più di sinistra ci sia mai stato dal dopoguerra ad oggi. Con buona pace di Romano Prodi.
Abbiamo chiaro però che questa nostra sinistra ha perso, ad oggi, la battaglia e non in favore di una sinistra più radicale ma in favore di una destra aggressiva e simil fascista.
Ed ha perso quindi non perché non di sinistra ma perché non ha avuto il tempo di ribaltare quella crisi di fiducia nel futuro che è stata l’eredità più pesante e più pericolosa (senza fiducia tutto muore) della crisi del 2008, una crisi non certo secondaria, per potenza devastante, di quella del 1929.
E la straordinaria azione di governo, che ha ottenuto i risultati che si evincono dai dati macroeconomici tutti con il segno più, non è stata accompagnata dalla comprensione del fatto che quei dati (indicatori della fine del tunnel della crisi) ancora non si erano traferiti nel miglioramento effettivo del vissuto quotidiano.
Ed è qui che vanno scavati e cercati i motivi della sconfitta elettorale cioè in quelle ferite ancora aperte della crisi economica, rispetto alle quali, come scrive Tommaso Nannicini, noi del Pd, avremmo dovuto mostrare più empatia, facendo capire che per cicatrizzarle occorrono tempo e scelte coraggiose, come quelle che avevamo iniziato a fare.
Ed a Romano Prodi che si permette di irridere pubblicamente Matteo Renzi mettendo in dubbio il suo essere di sinistra io dico che, al contrario, la storia degli ultimi 25 anni dimostra inequivocabilmente che la sinistra che ha fatto la destra è stata quella di Prodi e della ditta dei Bersani e dei D’Alema.
Sono stati loro per anni ad essere subalterni al neoliberismo europeo, ad accettare la folle linea della austerità voluta dai tedeschi, a reagire alla grande crisi scoppiata nel 2008 accettando il mantra dei soli equilibri di bilancio (contrariamente a quanto fatto dai Democratici americani).
E sono stati loro per anni, in tema di diritti civili, ad essere subalterni alla gerarchia cattolica e a non essere capaci di uno scatto autonomo della Politica se non con quel pasticcio indigeribile che erano i DICO o i PACS (che tra l’altro non sono neanche riusciti a far approvare).
E furono loro che ci portarono, ai tempi di Monti, alla grande coalizione con Berlusconi senza una linea autonoma e forte accettando misure sbagliate sotto la dettatura della troyka ordoliberista europea. Accettandole e facendole votare ai gruppi Parlamentari senza discussione alcuna e senza alcun passaggio negli organismi democratici di direzione nazionale (e queste decisioni furono prese in quegli organismi informali chiamati caminetti e composti dai soliti big autoproclamatosi tali).
E fu per questo caro Romano Prodi che gli elettori del centrosinistra, che probabilmente ne avevano piene le palle di voi e del vostro bofonchiare, li hanno spazzati via facendo vincere Matteo Renzi, un giovane provinciale di Rignano a Firenze, con oltre il 67% dei voti.
Ed io non ho dubbi che questo giovanotto fiorentino un po’ sbruffone e con la faccia tosta, insieme a molti altri giovani trenta/quarantenni, ha fatto più cose di sinistra di quante ne abbiano fatte quelli che erano gli eredi del vecchio PCI o gli eredi della vecchia sinistra democristiana.
Come dobbiamo giudicare una azione di governo che ha combattuto l’austerità europea seguendo i convincimenti di Barak Obama e la scuola di pensiero di economisti liberal (e non certo marxisti) tipo Fitoussi o Amartya Sen? Che ha creato (contrariamente ad ogni ipotesi di scuola liberista che ha come motto l’affamare la bestia tagliando selvaggiamente il welfare) una rete welfaristica potente per accompagnare ed assistere attivamente una fascia molto più ampia di soggetti, ben oltre i confini stabiliti dall’ormai consunto Statuto dei lavoratori, approvato verso la fine dell’epoca fordista?
Essere di sinistra, progressisti e democratici, caro Prodi, vuol dire contrastare in Europa la linea della austerità ordoliberista finora egemone e significa avere il coraggio, sempre in Europa, di battersi per una linea di accoglienza e di solidarietà verso il dramma epocale dei profughi che scappano sempre più dalle sofferenze provocate dalle troppe guerre ai nostri confini meridionali.
E contrariamente alla vostra vecchia sinistra (chiamatela come vi pare, Ulivo, Unione, Ditta) Matteo Renzi su entrambe queste questioni ha avuto una linea chiara e netta non tirandosi indietro, da europeista ultra convinto, dal fare polemiche anche aspre con la politica e la tecnocrazia europea (dovendosi sorbire anche i rimproveri della minoranza dem e di voi padri nobili che lo avete perfino accusato di alzare troppo i toni contro una Europa senza più anima, roba da matti!).
E bisognerà prima o poi riconoscere che senza la vittoria del 2014 e senza la sua forza dentro il Parlamento europeo non sarebbe stato possibile per Mario Draghi strappare maggiore autonomia dalla Banca centrale tedesca rispetto al periodo di Barroso in cui i conservatori dominavano in Parlamento ed in Commissione.
E mentre tu, caro Professor Prodi ti sei limitato a chiamare stupidi i vincoli di Maastricht ma da commissario europeo non hai fatto nulla per rimuoverli, in questi anni in Europa la battaglia per l’allentamento selettivo dei vincoli del fiscal compact e per una politica economica che rilanci la crescita e gli investimenti è stata fatta fino in fondo da Renzi e Padoan ottenendo i primi risultati e trascinando su questa posizione un PSE fino ad allora balbettante ed incerto e subalterno anch’esso alla egemonia culturale liberista.
E senza questa battaglia le trappole sull’IVA disseminate dai governo Monti e Letta (sotto dettatura di Barroso e della Troika) avrebbero comportato un salasso nelle tasche degli italiani di oltre 30 miliardi.
È o non è stata questa una battaglia di sinistra che ci doveva rendere tutti orgogliosi di appartenere a questo Partito?
E non doveva renderci orgogliosi anche il fatto di far parte di un Partito che, sfidando l’opinione comune aizzata dai razzismi e dai populismi di vario genere, ha tenuto la barra ferma sui temi dei profughi non rinunciando a salvare vite umane e spingendo in Europa affinché tutti facciano la loro parte fino a presentare un “Migration act” apprezzato da moltissimi ma che non è decollato per le solite timidezze ed incrostazioni burocratiche tipiche di questa UE ma soprattutto per l’opposizione dei paesi di Visegrad oggi alleati della destra similfascista di Matteo Salvini..
E dove erano i padri nobili, in quale accampamento dimorava Romano Prodi quando le destre razziste protestavano perché Renzi spendeva soldi pubblici per estrarre dal mare i corpi di 700 profughi al largo della Sicilia in modo di dare loro dignitosa sepoltura?
Basterebbe solo questo per definire Renzi e l’attuale PD un Partito di sinistra (una sinistra contemporanea definita da una mappa concettuale completamente diversa dalla mappa concettuale con cui si definiva la sinistra quarant’anni fa).
Ma poi ci sono tante scelte concrete di governo.
Scelte inoppugnabilmente di sinistra e che fanno parte di una linea strategica chiara.
Porto ad esempio simbolico tre provvedimenti legislativi che nessun governo di centrosinistra del passato era riuscito a far approvare.
Parlo della legge sulle Unioni civili che Renzi ha fortemente voluto e che ha difeso rispetto alle proteste della gerarchia cattolica, lui cattolico e scout, dicendo una cosa che mai nessun esponente della vecchia sinistra si sarebbe permesso di dire e cioè che un Presidente del Consiglio ha giurato sulla Costituzione e non sul Vangelo.
E parlo della legge che combatte il caporalato, nuova forma di schiavismo, legge che mai era stata considerata come prioritaria da quelli che oggi chiedono a Renzi di essere più di sinistra (erano però bravissimi a farci sopra tanti convegni e contestualmente ad usare la rete di consenso dei caporali per le preferenze elettorali, come ha denunciato più volte Teresa Bellanova, in prima linea già a 15 anni contro i caporali come giovanissima capolega CGIL nel Salento).
E parlo della legge sul biotestamento che nessuna forza di sinistra era mai riuscita a far approvare.
Ma in questi anni altre leggi sono state approvate e sono leggi che solo una forza di sinistra poteva approvare come ad esempio: l’estensione della Cassa integrazione alle imprese sotto i 15 dipendenti e l’approvazione di uno Statuto dei lavoratori autonomi con un occhio particolare al mondo delle Partita IVA cui vengono riconosciuti per la prima volta diritti esigibili, o la decontribuzione volta a far costare di meno il lavoro a tempo indeterminato, o la legge per il contrasto alla povertà con una serie di misure a sostegno di chi, per vari motivi, si trova oggi in difficoltà e soprattutto per le famiglie con minori, o la legge sul “dopo di noi” per assicurare un futuro alle persone con disabilità aumentando contemporaneamente il budget del fondo per la non autosufficienza.
Ed è di sinistra, con un occhio attento al lavoro, l’impegno pancia a terra, con una task force di altissimo livello, per risolvere le tante crisi aziendali conseguendo risultati importantissimi
Trascuro tantissimi provvedimenti ma io ritengo di sinistra anche i due provvedimenti più discussi e contestati dalla minoranza dem e cioè il jobs act e la buona scuola.
Solo a chi aveva del mercato del lavoro prima del jobs act una visione idilliaca dove tutti indifferentemente godevano dei diritti previsti dallo Statuto possono considerare questa legge sul mercato del lavoro una legge che comprime i diritti.
Erano decenni invece che sul mercato del lavoro italiano trionfava la precarietà selvaggia ed i contratti a tempo indeterminato non venivano più stipulati.
È evidente che non basta una legge di regolazione del mercato del lavoro per recuperare tutti quei posti di lavoro che la crisi globale dal 2008 in poi ha bruciato e per fare questo serve certamente che la battaglia in Europa del governo italiano contro l’austerità e per la crescita vinca e si affermi come nuovo pensiero dominante. E se non avverrà ogni sforzo sarà vano.
Ma è un dato che in Italia sono aumentati i contratti a tempo indeterminato, quasi 600.000 in più, ed è la prima volta che avviene da tanti anni e significa non meno diritti ma diritti in più (ad accendere un mutuo, ai contributi pensionistici, alle ferie, alla malattia, alla maternità o paternità) per centinaia di migliaia di persone in carne ed ossa.
Poco? Certo che è ancora poco ma non siamo più con il segno meno.
Sulla buona scuola poi è possibile che qualche errore sia stato fatto (anche se io credo fortemente che le reazioni incomprensibili di parte della classe insegnante siano dovute essenzialmente ad un corporativismo egoistico e ad un non volersi mai mettere in discussione, figuriamo ad essere valutati oggettivamente).
Ma non c’è dubbio che dopo i tagli selvaggi della Gelmini ed i non interventi riparatori dei governi di centrosinistra con il governo Renzi è la prima volta che c’è una forte espansione della spesa per la scuola pubblica.
Si può certo discutere di alcuni punti della riforma ma l’assunzione, in meno di due anni, di oltre un centinaio di migliaia di insegnati a tempo indeterminato, l’assunzione di 10.000 ATA, gli addetti alle segreterie scolastiche, l’aumento dei fondi per la formazione degli insegnanti, quelli per l’edilizia scolastica, sono misure che invertono drasticamente un trend che tendeva ad impoverire la scuola pubblica. Ed una sinistra seria fa questo.
Si può fare di più? Si può sempre fare di più!!!!
Non può chiederlo però quella classe dirigente (si chiami Prodi o si chiami D’Alema) che negli ultimi 25 anni, oltre a regalarci l’egemonia berlusconiana, non è riuscita a fare granché quando è stata al governo (il risanamento dei conti di cui spesso ci vantiamo è stata certo una cosa positiva ma solo con il risanamento dei conti e senza riforme siamo stati dentro un orizzonte subalterno al pensiero dominante).
E se dobbiamo seriamente affrontare le cause della sonora sconfitta del 4 marzo sono fermamente convinto, l’ho spiegato in precedenza, che esse non possono essere individuate nelle scarse politiche di sinistra del PD.
Ed anzi mi spingo a dire che l’avere Renzi attutito negli ultimi anni il suo profilo riformista per inseguire la sinistra recalcitrante del partito ed evitare rotture eclatanti, da un lato non ha evitato la scissione (che era già stata decisa a priori da un vecchio apparato che era stato messo da parte) e dall’altro ha fatto svanire l’appeal iniziale che aveva portato Renzi alla vittoria delle Europee.
E sono altresì convinto che invece di fermarsi ad aspettare bisognava da un lato accelerare il tasso di innovazione e dall’altro illuminare a giorno i territori devastati di quella apocalisse antropologica per trovare quei nuovi paradigmi in grado di sostenere l’azione di una sinistra del terzo millennio.
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Enzo Puro
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Aggiornato al 31 marzo 2018
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