Distruggerlo con il fuoco come i morti nel trono di spade. Cancellare Renzi come si fa con la gramigna nei campi.
Non basta averlo sconfitto elettoralmente. Deve essere annichilito ed umiliato. Renzi deve essere estirpato come la gramigna nei campi affinché non ricresca più. La cattiveria delle elites italiche contro il giovane fiorentino. Qual è la radice dell’impressionante attacco mediatico contro Renzi del dopo voto? Quali interessi e poteri aveva provato a colpire? Merita o no l’onore delle armi ed una disamina oggettiva dei suoi errori ma anche dei suoi grandi meriti?
Il popolo sarà pure giustamente e legittimamente incazzato e pieno di rancore ma perché l’intera élite italica, l’establishment immarcescibile di un paese che non ha mai amato le rivoluzioni (nel sud poi hanno semmai amato le controrivoluzioni, appoggiando i sanfedisti nell’800 e poi votando per la monarchia nel dopoguerra e bocciando divorzio e aborto nei due referendum che cambiarono i costumi italiani), perché oggi quelle elites e quell’establishment punta a distruggere per sempre Matteo Renzi, rinverdendo il gesto vile di Fabrizio Maramaldo che a Gavinana, il 3 agosto del 1530, uccise Francesco Ferrucci, fiorentino anch’esso, responsabile della difesa esterna di Firenze?
Fa impressione in queste ore il bombardamento mediatico che continua, anche dopo il voto, contro Matteo Renzi.
Capofila di questo bombardamento è la7 con i suoi talk show ma si distinguono anche la bildenberghiana Lucia Annunziata e la sinistra Bianca Berlinguer.
È il primo caso di un leader sconfitto che deve essere umiliato fino alla sua cancellazione totale, come si fa con la gramigna nei campi per evitare il rischio che cresca di nuovo.
Perché avviene questo? Perché non si rende l’onore delle armi ad un avversario che ha combattuto ed è stato sconfitto. Quali interessi nei suoi anni di governo il giovanotto di Rignano ha colpito o ha iniziato a colpire?
A questa domande rispose con estrema semplicità Beppe Turani in un articolo scritto immediatamente dopo le elezioni, articolo in cui descriveva l’effetto devastante che aveva avuto sul nostro paese (abituato da sempre ad una politica debole, attendista che rinviava le cose sine die se non c’era l’accordo di tutti) l’attivismo esasperante di Matteo Renzi, uno che voleva andare veloce e puntava a fare le cose e che aveva operato una vera sostituzione di classi dirigenti (piacciano o non piacciano molti dei suoi ministri, dice Turani, non si erano mai visti prima).
Renzi, sostiene ancora Turani, anche facendo molti errori ha provato a ridare un ruolo alla politica puntando a farla diventare forte ed è questo che è stato scambiato per arroganza da parte di tutte le lobbies italiche abituate da decenni a rapportarsi con una politica debole.
Un pericolo mortale per chi, nel consociativismo imperante, si era ricavato i suoi spazi di potere dentro la società civile (perdonatemi l’ardire ma uno degli esempi massimi di questo andazzo su cui nessuno ha mai detto nulla sono i cambi continui dei Presidenti della Corte Costituzionale, non dettati da ragioni procedurali o di giusto ricambio ma solo dal fatto che un Presidente ottiene una pensione più alta di un semplice membro della Corte).
Quel che è accaduto negli ultimi 5 anni in Italia non è stato uno scontro tra destra e sinistra o all’interno della stessa sinistra tra visioni diverse, nel nostro paese lo scontro è stato tra una vecchia Italia ed una nuova Italia (con i populismi che paradossalmente venivano cavalcati da chi aveva interesse affinché nulla cambiasse).
La intensità della campagna “hater” e delegittimante contro il PD di Matteo Renzi ha questa radice.
E la violenza mediatica che continua ha l’obiettivo, come dicevamo, di fare in modo che non si possa più tornare indietro.
Di questa assurda violenza mediatica se ne è accorto anche un intellettuale come Claudio Magris per nulla sospettabile in questi anni di simpatie per il renzismo (anzi) ma che pochi giorni fa ha scritto: “Quello che colpisce, soprattutto in certe trasmissioni televisive, è l’accanimento non solo e non tanto politico, come è giusto e legittimo, ma vischiosamente personale nei confronti di Renzi. Politologi e giornalisti si improvvisano psicologi e psicoanalisti, vogliono penetrare l’inconscio e le interiora del leader oggi sconfitto, ne diagnosticano complessi e nevrosi, quasi appropriandosi del mestiere e del potere del medico — specie quello dell’analista dell’anima, qualsiasi cosa si intenda con tale termine — ben più inquietante del potere del politico vittorioso per 10 o 15 punti alle elezioni.
Alla tv, mentre belle presentatrici sorridono compiaciute come le spettatrici alla corrida quando il toro viene infilzato, sulle facce di alcuni commentatori si vede non la fredda e pacata espressione del giudizio dell’interesse politico, come sarebbe ovvio. Si vedono piuttosto sorrisetti e smorfiette di piacere, quasi un piccino e furbetto godimento sessuale”.
Naturalmente tutto questo non significa non approfondire gli errori fatti, sottovalutare il messaggio forte che dal Sud al Nord (in maniera politicamente diversa) gli italiani hanno inviato.
E questi errori li sintetizza bene il ministro per la coesione territoriale e per il Mezzogiorno Claudio de Vincenti quando dice in una intervista al Corriere del Mezzogiorno: “Non abbiamo tenuto conto del fatto che la profondità della crisi che siamo riusciti a superare implicava che la ripresa non avrebbe sanato subito le ferite sociali prodotte dalla crisi. Abbiamo creato oltre 900.000 posti di lavoro (300.000 nel Mezzogiorno) ma ci sono ancora (soprattutto al Sud) tanti disoccupati o persone che hanno rinunciato a trovare lavoro. Perciò le misure che hanno rimesso in moto l’economia e che stanno consolidando la ripresa sono state paradossalmente percepite come misure per chi è in grado di farcela e non, come invece erano e sono, misure per aprire sempre più le porte del mondo del lavoro a tutti. È come se le nostre misure si fossero fermate in “alto”, non fossero arrivate alle persone in carne e ossa. Ecco, non siamo apparsi in sintonia con quelle sofferenze e quelle ansie alle quali pure volevamo rispondere, siamo apparsi estranei ai tanti che ancora stentano a ritrovare la fiducia nel futuro”
Certo è ancora difficile mantenere, a sinistra, una certa freddezza nell’analisi. Siamo emotivamente molto coinvolti da una sconfitta che ci sembra (e forse lo è) epocale.
Permettetemi allora di aiutarmi con le parole scritte da due giornalisti (un giovane ed uno anziano) che nell’ultima fase, pur stando da questa parte della barricata, non hanno lesinato critiche e giudizi severi all’operato del giovane leader fiorentino (non sono insomma come me dei tifosi).
Parlo di Francesco Cancellato e di Beppe Turani.
In due articoli quasi gemelli entrambi chiedono per Renzi un giusto processo e non un processo mediatico di piazza, criticando quello che va criticato e rimosso ma avendo l’onestà di ammettere le novità introdotte nella politica italiana da quando Renzi, dopo la sconfitta del 2013, vinse le primarie del PD.
Cancellato dice giustamente che di Renzi tutto si può dire tranne che sia stato un segretario normale e che “ forse oggi, nella sconfitta, appare doveroso rendergli l’onore delle armi e ricordare quel che tra qualche anno si avrà l’onestà intellettuale di ammettere”.
Ammettere cioè “che il turbo-riformismo del suo governo non ha prodotto solamente pasticci e rovinose sconfitte come quella del referendum del 4 dicembre, ma anche tante leggi che hanno reso l’Italia un po’ più moderna, efficiente e giusta - unioni civili, responsabilità civile dei magistrati, riforma del processo civile, industria 4.0, ognuno scelga le sue”.
Ammettere “che il trionfo grillino e leghista non è lo specchio di un Paese a pezzi, in macerie, ma il sussulto di rabbia repressa di un Paese che è stato rimesso in moto e che, da almeno un anno e mezzo mostra di godere di discreta salute, con indicatori positivi in quasi ogni ambito e previsioni riviste costantemente al rialzo”.
Oggi è troppo semplice dentro il PD e tra i media, cancellare tutto ciò e seppellire il tutto sotto le “montagne di caratteraccio, di gigli magici, di errori tattici da pokerista compulsivo”.
Non che questo non sia vero, dice Cancellato, ma va tutto relativizzato, “perché puoi avere pure il carattere più bello del mondo - Renzi non ce l’ha - ma se tra te e mezza nomenclatura del partito è guerra all’ultimo sangue, tocca combattere con tutte le armi possibili.
E puoi pure essere la persona più aperta dell’universo - Renzi non lo è -, ma se da Presidente del Consiglio ti ritrovi coinvolto in un’indagine nella quale un carabiniere falsifica le intercettazioni telefoniche per incastrare tuo padre, è possibile che finisci per fidarti solo dei tuoi amici più stretti.
E puoi pure essere il politico più talentuoso della Storia - Renzi non è nemmeno questo - ma se ti chiedono di governare con Berlusconi, cambiando gli assetti istituzionali del Paese, la legge elettorale e il mercato del lavoro, mentre sette banche vanno a puttane e una crisi migratoria cambia la scala di gestione dei richiedenti asilo, è probabile che qualche errore lo commetti”.
Nessuno vuole nascondere gli errori, i limiti soggettivi ed oggettivi, per cui Matteo Renzi alla fine non ha funzionato, scrive Cancellato, intendiamo solo “riequilibrare i giudizi in tempo utile, prima che la realtà mostri quanto dei guai del Pd e della sinistra in generale sono stati artatamente nascosti sotto il fallimento di Renzi, quanto dietro l’accusa dei vecchi leader di essere divisivo, di essere arrogante, di non essere di sinistra si celasse in realtà il loro personalissimo istinto di sopravvivenza politica, di fronte alla loro nemesi naturale: un ragazzo che li ha sfidati a viso aperto, come nessuno dai tempi di Nanni Moretti in Piazza Navona aveva mai osato fare. Se qualcuno, più avveduto e saggio, saprà trarne la giusta ispirazione, non saranno stati cinque anni buttati”.
Se Cancellato chiede l’onore delle armi Beppe Turani chiede invece, nell’ora del processo a Renzi, un processo giusto evitando le “travagliate” un tanto al chilo.
Perché “prima o poi, esauriti gli stanchi riti venezuelani dei due premier di cartone (che già ora, comunque, ogni giorno tagliano un pezzo dei loro assurdi programmi), bisognerà ripartire dal “primo Renzi”, da quello delle riforme e della povertà combattuta senza combattere la ricchezza.
Non è un auspicio. È inevitabile. Senza quel Renzi, senza quelle cose che ci ha fatto vedere, questo paese non si sblocca, non va avanti, resta la cosa povera che è. E qui se volete, c’è un altro errore renziano: farci immaginare diversi da quello che siamo, cioè non un grandissimo paese, ma un paese in bilico, sospeso fra il bene e il male, fra l’ottimo e il peggio.
A questo punto il grande processo a Renzi può considerarsi finito. Ha commesso errori anche gravi. Ma ci ha mostrato, un po’ da prepotente, quello che era giusto.
Gli altri ci volevano, e ci vogliono, solo riportare indietro, al nostro non essere un paese civile.
Gli altri vogliono che noi non si creda nella ricerca, nella scienza, nel futuro: tante piccole vite chiuse dentro le cinte daziarie delle città, con le strade infestate da buche, i pronti soccorsi infestati come stadi, malattie scomparse nel mondo che ricompaiono come d’incanto nelle scuole italiane, milioni di disoccupati stipendiati dai debiti dello Stato.
Se tutto questo non ci interessa, e non ci interessa, Renzi alla fine va, se non assolto con formula piena, perdonato e lasciato libero. Più che libero. Con una mozione del tribunale: signor Renzi, guardi che le idee giuste le aveva lei, mica gli altri, vada avanti. Può solo vincere perché insieme a lei vinceremo tutti noi”.
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Enzo Puro
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Aggiornato al 31 marzo 2018
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