Gigino il tagliatore
Di Maio e la fuffa su fisco e burocrazia
- Scritto da Fabio Lazzaroni
- Pubblicato in Politica
Masochisti a parte, alzi la mano chi non vuole norme fiscali e una burocrazia più eque, semplici e chiare e che pensi non sia utile snellire e omogeneizzare l’elevatissimo numero di leggi, leggine e regolamenti che fa dell’Italia una leader mondiale. Aspirazione legittima, necessità vitale. Sembrerà contraddittorio ma semplificare non è così semplice come accompagnare i vip alle loro poltroncine dello stadio S. Paolo.
Nel 2010 ci provò Calderoli con il suo falò. Così scriveva il Corriere della sera: “tagliati 189mila provvedimenti tra leggi e regolamenti ai quali si aggiungono le 40mila disposizioni già abrogate in precedenza sempre da Calderoli e 145mila atti privi di valore normativo. Si arriva così a quota 375mila. La normativa cancellata più vecchia è del 1864 e riguarda l'affrancamento dei canoni enfiteutici, livelli, censi decime ed altre prestazioni dovute a corpi morali. Ma ci sono anche una serie di norme varate durante il periodo fascista che si pensavano abrogate ma resistevano ancora, come la legge istitutiva dei fasci e delle corporazioni”.
Peccato che la furia incendiaria fece fuori anche altri provvedimenti, leggi collegate ad altre leggi, norme che incidevano su quelle regionali per via della riforma del Titolo V della Costituzione del 2001. Tra i vari enti e organismi cancellati senza considerare le conseguenze sul riordino delle competenze e il ricollocamento del personale, figurava persino la legge che istituiva la Corte dei conti. Finì che l’autore del “taglia leggi” corse subito ai ripari con il decreto “salva leggi”.
Otto anni dopo è il turno di Gigino Di Maio che di fronte ad una platea di imprenditori lombardi, certamente sensibili all’argomento, è sceso dall’altalena del dire e smentire per dichiarare con la sicumera che gli è propria che una volta al governo abolirà studi di settore, spesometro, redditometro e altre 400mila leggi. L’augurio è che imprenditori e non, prima di votare si ricordino della differenza tra chi a suon di mirabolanti promesse portò l’Italia a sfiorare la bancarotta e chi ha effettivamente avviato una riduzione del carico fiscale e la semplificazione della pubblica amministrazione.
Per semplificare e snellire davvero, senza far danni, serve la profonda conoscenza della materia a cui si vuole metter mano tenendo presente che le scelte continueranno a dover essere compiute all’interno di un sistema istituzionale (non su un blog) che il No al referendum dello scorso novembre ha confermato con tutte le sue regole, i suoi tempi e le sue radicate consuetudini.
Facili scorciatoie e furbastre strizzatine d’occhio non bastano. Come non basta cancellare senza indicare alternative non solo credibili ma fattibili. Occorrono invece competenza, determinazione e sincerità.
I tagli già tagliati.
Studi di settore.
In applicazione del decreto-legge 50/2017 (art. 9-bis, comma 2) l’Agenzia delle entrate, con la circolare del 22 settembre 2017 , ha disposto l’attuazione degli Indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA) che, come si legge nella presentazione, “hanno lo scopo di favorire l'assolvimento degli obblighi tributari e incentivare l’emersione spontanea di redditi imponibili. L’istituzione degli indici per gli esercenti di attività di impresa, arti o professioni, rappresenta un’ulteriore iniziativa che mira, utilizzando anche efficaci forme di assistenza (avvisi e comunicazioni in prossimità di scadenze fiscali) ad aumentare la collaborazione fra contribuenti e Amministrazione finanziaria. Gli indici sono indicatori che, misurando attraverso un metodo statistico- economico, dati e informazioni relativi a più periodi d'imposta, forniscono una sintesi di valori tramite la quale sarà possibile verificare la normalità e la coerenza della gestione professionale o aziendale dei contribuenti. Il riscontro trasparente della correttezza dei comportamenti fiscali consentirà di individuare i contribuenti che, risultando “affidabili”, avranno accesso a significativi benefici premiali.” Insomma, gli studi di settore così farraginosi, talvolta penalizzanti e anche costosi nella loro applicazione di fatto non ci sono più.
Redditometro e spesometro.
Intanto vediamo cosa sono. Attraverso il redditometro, istituito addirittura nel 1932 e via via modificato più volte, il fisco verifica se il reddito dichiarato dal contribuente corrisponde al suo tenore di vita.
Lo spesometro, nato nel 2010 con il decreto-legge 78/2010 e riformato due anni dopo dal decreto-legge 16/2012 consiste nel verificare e prevenire i comportamenti fraudolenti nelle operazioni di vendita tra più soggetti che vogliono eludere il pagamento dell’Iva. L’erario può monitorare le spese dei cittadini e procedere agli accertamenti sui potenziali evasori. Per farla breve, i controlli scattano quando gli acquisti risultano sproporzionati rispetto al reddito dichiarato.
La realtà è assai diversa da quanto afferma Di Maio. Il redditometro è stato abbandonato per gli scarsi risultati conseguiti (articolo Sole 24 ore) mentre lo spesometro sta invece dando i risultati sperati grazie alla fatturazione elettronica, partita prima verso la pubblica amministrazione e ora anche verso imprese e privati grazie ad un servizio che le Camere di commercio dedicano in particolare alle PMI.
Occorre ricordare che la fatturazione elettronica è stata introdotta nel 2008 a seguito delle sollecitazioni dell’Unione europea ma solo con la creazione dell’Agenzia digitale fatta dal governo Monti ha potuto cominciare a muovere i primi passi fino al definitivo impulso nel 2014 dato dal governo Renzi portando il recupero dell’evasione fiscale dagli 11 miliardi del 2014 ai 23 miliardi del 2017.
Tagliare le leggi.
Quando in modo generico si parla di “leggi” ci si riferisce, chi consapevolmente e chi no, ad una serie di atti di diversa natura, iter e denominazione. Alcuni con effettiva “forza di legge” e altri che ne derivano. Perciò abbiamo leggi costituzionali, ordinarie, di ratifica di accordi internazionali, di conversione in legge di decreti-legge. Le leggi delega e quelle che recepiscono norme europee diventano attuabili solo con l’emanazione di specifici decreti legislativi. E sempre per l’attuazione di determinate leggi il nostro ordinamento prevede il ricorso, a seconda dei casi, ai decreti del Presidente della Repubblica, del Presidente del Consiglio, del Consiglio dei ministri per finire con i decreti ministeriali e interministeriali fino ai provvedimenti delle varie Agenzie e Autority. E se poi vogliamo completare il quadro non si può certo trascurare la produzione legislativa delle regioni. Ho provato a sommare i soli atti normativi aventi forza di legge riportati anno per anno sul sito normativa.it: dal 1980 al 2017 sono 21.228.
E’ evidente, dunque, quanto sia enorme, complesso e delicato l’intreccio, quante siano le connessioni tra i vari provvedimenti che compongono la nostra legislazione. E allora come può Di Maio affermare che in una sola legislatura farà fuori 400.000 leggi? Ma soprattutto quali leggi oltre al bersaglio grosso delle riforme targate Renzi e Gentiloni? E se pure si concentrasse solo su alcune delle recenti riforme smentirebbe anche tutte le critiche mosse circa il ricorso alla decretazione d’urgenza e ai voti di fiducia? Perché questa sarebbe l’unica soluzione praticabile se volesse sbrigarsi. E con quali voti poi se l’esito del 4 marzo ci restituisse, come probabile, una situazione peggiore del 2013 passando da una non vittoria a più non vittorie? Scongiurerebbe la paralisi con un colpo al cerchio di Grasso e uno alla botte di Salvini?
Tra l’altro il signorino dovrebbe sapere, se proprio vuole sburocratizzare il Paese, che la riforma Madia della pubblica amministrazione ha cominciato a muovere i primi passi dopo poco più di due anni fatti di incontri, di pensamenti e ripensamenti, mediazioni, tavoli, di commissioni e sottocommissioni, con la partecipazione dei rappresentanti del governo, delle regioni, degli altri enti locali, delle parti sociali, tutti con i rispettivi seguiti di funzionari e tecnici. Alla faccia del decisionismo del governo Renzi.
Questa è la realtà. Il resto è fuffa tossica da spargere nei social.
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Fabio Lazzaroni
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Aggiornato al 31 marzo 2018
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