Il canto del cigno del vignaiolo ex velista. L’ultimo ballo di una intera classe dirigente
Un'analisi spietata dell’ultimo giro di ballo di una classe dirigente impersonata da D’Alema. L’esilarante e propagandistica intervista su Repubblica dell’uomo che ha fatto saltare Natta, Occhetto, Prodi, Veltroni e che ora ci prova con Renzi. I 4 milioni di voti in meno del 2013 rispetto al 2008 ed i 3 milioni di voti in più alle Europee. Le responsabilità della polveriera italiana. La subalternità al rigorismo liberista che ha avuto l’apice sotto il governo Monti. L’infame tentativo di caricare su Renzi i fallimenti di una vecchia generazione estremo killeraggio propagandistico
Ho letto con divertimento (misto a rabbia) l’intervista di D’Alema sulla Repubblica ricavandone l’impressione di un uomo politico ormai disperato e che ha chiaro che ormai è al suo canto del cigno.
Fa impressione leggere una così sfacciata sequela di bugie e di analisi raffazzonate e propagandistiche.
Ed è esilarante l’affermazione di essere, (lui, baffino) tra i fondatori dell’Ulivo. Esilarante perché è noto a tutti noi che il vignaiolo fu a suo tempo un acerrimo nemico dell’Ulivo.
Non credo di rivelarvi un segreto se vi dico (i miei compagni di Roma lo sanno da tempo) che io sono stato sin da ragazzo un seguace del D’Alema pensiero e la ragione principale che ci teneva insieme era l’avversione politica verso l’Ulivo, Prodi e Veltroni. Di questo si parlava nelle nostre riunioni. Questo ci insegnava Massimo D’Alema.
Così come non mi pare una grande novità il principale obiettivo che il cosiddetto migliore si pone e cioè cambiare la guida del centrosinistra cacciando Renzi (per il bene del paese e del Partito naturalmente), dice infatti: “l'obiettivo resta la discontinuità con la stagione renziana. Serve un cambio di contenuti e di guida".
Non è una novità perché mandare a casa i leaders del centrosinistra è la cosa che più nella sua vita gli è riuscita bene, da Natta ad Occhetto, da Prodi a Veltroni. Ed ora ci prova con Renzi. Solo che Renzi è un tipo coriaceo, ha un grande seguito e soprattutto ha 42 anni e quando io e D’Alema saremo morti (accadrà prima o poi anche a noi che ci consideriamo immortali) Renzi ancora, se lo vorrà, potrà essere un protagonista della Politica italiana.
Altro elemento che smaschera la propaganda dalemiana è quando tenta di sminuire il 41% delle Europee. E qui fa la cosa che più gli riesce bene e cioè fare il gioco delle 3 carte ignorando che nel 2014 il PD prese 11 milioni 172 mila 860 voti, cioè ben 3 milioni di più di quanto aveva preso il suo allievo di Bettola nel 2013.
Ed è propaganda senza alcuna base quando parla di milioni di elettori che ci hanno lasciati o quando parla del voto giovanile.
Anche qui fa il gioco delle 3 carte e dimentica che milioni di elettori ci lasciarono nel 2013 consentendo a Grillo di diventare sul territorio nazionale il primo partito.
Quell’anno il PD di Bersani scese a 8 milioni e 399 mila voti contro i 12.092.000 voti presi del PD di Veltroni (che D’Alema insieme a Bersani contribuì a decapitare). Quasi 4 milioni di voti in meno.
Nel 2013 il voto giovanile era completamente evaporato riversandosi soprattutto su Grillo o nella astensione.
O vogliamo parlare dei Ds che erano arrivati a contare il 16% alle ultime elezioni dove si presentarono con il loro simbolo? Un risultato che dobbiamo alla egemonia dalemiana su quel Partito. E fu il partito solido dalemiano che perse la connessione sentimentale con il popolo, senza il voto giovanile e senza più il voto operaio. Perché operai, disoccupati e casalinghe allora votavano per Berlusconi e Bossi.
Quindi quando il vignaiolo parla dei disastri della sinistra si guardi allo specchio.
Non nego l’appannamento di Renzi dell’ultimo periodo (d’altronde dopo la sconfitta referendaria è più che giustificato) ma la situazione è certamente migliore e con più potenzialità di quanto era nell’epoca bersanian/dalemiana.
La smettesse Massimo D’Alema quindi di montare in cattedra come tutti i falliti e dare lezioni di buona politica ad altri.
Ci dica invece per quale motivo i suoi DS erano precipitati al 16%, perché Bersani perse quasi 4 milioni di voti, perché la sua leadership non è riuscita a sconfiggere Berlusconi definitivamente e perché quando ci siamo riusciti per il rotto della cuffia i nostri governi sono durati pochissimo (grazie spesso alla regia interna ed esterna di baffino).
In qualsiasi Ditta un amministratore delegato con performance così disastrose sarebbe stato cacciato da tempo a calci nel culo (da noi invece c’è qualche nostalgico che lo ritiene ancora il migliore e il più intelligente).
Ma il massimo della improntitudine il vignarolo ex velista la dimostra quando parla dei problemi dell’Italia e dice: “I dati sullo spread dimostrano che ogni incertezza internazionale ha un effetto immediato sull'Italia. In Europa siamo ultimi per crescita, quartultimi tra i 30 Paesi più industrializzati. Sono cresciute gravemente povertà e diseguaglianze. Drammatica è la frattura tra Nord e Sud. Il meccanismo di crescita dell'occupazione, sostenuto dagli incentivi, si è inceppato. La priorità del governo oggi dovrebbe essere dare risposte alla crisi".
Cioè tutto questo viene caricato sulle spalle del governo Renzi.
Ha davvero la faccia come il culo.
Quei problemi sono problemi storici dell’Italia, problemi creati in decenni di malgoverno durante i quali né la sinistra né la destra sono riusciti (né hanno voluto per non intaccare i loro serbatoi elettorali) a fare quelle riforme strutturali che mettessero le ali al paese.
Non solo le pur importanti riforme istituzionali ma le riforme in ogni campo della articolazione del nostro Stato (dalla giustizia civile, riforma avviata dal governo Renzi), alla riforma della Pubblica Amministrazione (altra riforma avviata), alla riforma del sistema bancario, alla riforma di un mercato del lavoro che negli ultimi 30 anni aveva prodotto solo occupazione precaria. E, naturalmente, riforme di tanti altri aspetti del sistema Italia. Sistema che non è stato costruito per sostenere l’economia e quindi il benessere ma per proteggere caste e privilegi.
Caricare sul governo Renzi la responsabilità di tutto questo è veramente da infami, una vera azione di killeraggio propagandistico.
Se le Riforme che Renzi ha provato a fare tra mille difficoltà (fino al formarsi di una alleanza/accozzaglia che ha bocciato una riforma semplificatrice e innovatrice) fossero state fatte 20 o 30 anni fa dalle classi dirigenti che D’Alema riassume in se oggi il nostro paese avrebbe performances economiche superiori e diverse.
La difficoltà sta nello spingere per la crescita con il freno a mano tirato a causa di un appesantimento del sistema Italia complessivo. Ed io giudico un miracolo, in questa situazione, aver invertito la tendenza ed aver portato tutti gli indicatori macroeconomici sul segno più (ed è disonesto da un lato frenare di nascosto, vedi referendum e guerriglia continua, e dall’altro attaccare perché i risultati potevano essere migliori).
D’altra parte il messaggio lanciato ai mercati internazionali ed all’Europa dagli elettori italiani (gli elettori si dice hanno sempre ragione, basta dirlo sempre però, anche quando votano per venti anni per Berlusconi!!) è stato chiaro e negativo: noi non vogliamo cambiare.
Ed a proposito dell’aumento dello spread mi spiegate perché gli investitori dovrebbero prestarci dei soldi a tassi bassi quando non siamo stati capaci come popolo neanche di ridurre ad una la Camera legislativa (come è in tutte le grandi democrazie occidentali!).
Ma l’infamia maggiore di quella intervista la si trova laddove si accusa Renzi di mance e regalie e di aver fatto aumentare il debito costringendo l’Europa a chiederci una manovra correttiva.
Con questa affermazione Massimo D’Alema sposa per intero la tesi del liberismo europeo e del rigorismo dei paesi del Nord Europa e dei Partiti Conservatori (dei Kataineen, dei Dombrovskis degli Schauble, dei Weidman e dei Weber).
E una scelta precisa di politica economica fatta dalle leggi di stabilità di questi anni e cioè la scelta di contestare nei fatti, rispettando le regole, la politica di austerity e di puntare alla crescita ed alla espansione (si può discutere degli strumenti usati ma questo era l’obiettivo), una scelta di queste tenore che insigni economisti come Jean Paul Fitoussi e Amartya Sen hanno lodato e giudicato come l’unica da perseguire viene ridotta da Massimo D’Alema ad una frase propagandistica sul debito e sulle mance.
Dicendo anche il falso, perché come ha dimostrato esaurientemente Pier Carlo Padoan (un tempo ascoltato economista aderente alla fondazione Italiani Europei) il debito italiano non è cresciuto ed il rapporto debito/PIL è calato. E che semmai per scelta politica e per evitare macellerie sociali quel debito è diminuito meno di quanto avevano indicato i rigoristi europei e così per il rapporto debito/PIL.
Queste prediche poi vengono da un gruppo dirigente che è stato per anni subalterno al pensiero unico rigorista, un gruppo dirigente che supinamente nel 2011 ha accettato le amarissime ricette di Monti, i suoi tagli ai servizi pubblici essenziali ed alla macelleria sociale di tante leggi prese sotto il ricatto della troyka. Ed ha fatto questo senza mai riunire gli organismi dirigenti del PD semmai soltanto dei caminetti tra potentati e signori delle tessere.
E fu per questo che Bersani, pur avendo davanti a se una porta vuota, andò a bagno e perse i circa 4 milioni di voti di cui sopra.
In conclusione D’Alema non si rassegna. La sua è una vera astinenza dal potere. Io non so se Renzi ha la capacità di tenuta rispetto ad una situazione ingarbugliata ed oggettivamente difficile, so però di sicuro che quale che sia il destino di Renzi, nell’immediato quello di D’Alema è ormai segnato, è all’ultimo giro di ballo, è il suo canto del cigno, suo e di una certa antropolitica che ha dominato finora il centrosinistra.
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Enzo Puro
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Aggiornato al 31 marzo 2018
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