Anche Hillary è nata a Bettola?
La “ditta” di Hillary non riesce a spegnere le “stelle” di Donald. Artefice di una vittoria che smentisce analisti, previsioni e sondaggi, nonché un discreto numero di errori personali
- Scritto da Emiliano Liberati
- Pubblicato in Politica
Lo schema è quello di italica memoria. Perché quando al populismo contrapponi la conservazione, va a finire che spiani la strada al successo del primo. Un po’ come accadde da noi nel 2013, in una contesa che resuscitava il passato senza accorgersi del futuro, cavalcato, seppur apparentemente, solo da altri.
Il risultato è quello di una possibile “deriva” a stelle e strisce che in un attimo rimette in discussione gli otto anni di Obama. Caratterizzati da riforme e ripresa epocali ma da una successione figlia più dell’ostinazione clintoniana che non dà un’oggettiva adeguatezza della scelta.
Sullo sfondo uno scenario internazionale che può tornare al clima di altri tempi, con la variabile Putin a fare da regista (nemmeno troppo occulto) di un nuovo ordine mondiale. In attesa di un risveglio europeo che – Renzi a parte – è di là da venire.
Nel frattempo Orban, Le Pen, Grillo e Salvini si intestano un “successo” che ha il sapore di una sconfitta visti gli attori. Pregustando ripercussioni nei rispettivi assetti interni, a partire da un referendum costituzionale che potrebbe persino avvalersi (dalla parte del SI’) di questa esplosione populista. Perché a volte la paura fa miracoli.
Non sappiamo, per ora, come si muoverà il neo-presidente degli Stati Uniti. Di cui riecheggiano i propositi elettorali di facile effetto, in attesa di misurarsi con una realtà in cui risalta una logica dell’alternanza che premia il candidato repubblicano sconfessato (politicamente) anche dai suoi. Un’alternanza non più sintomo di una visione laica della politica, ma di un’esasperazione costruita ad arte da chi traduce il concetto di democrazia come un’espressione oratoria di abile presa.
L’unica certezza è che l’Europa dovrà dirsi finalmente tale. Nel segno di una comunità che non sia solo una sintesi teorica, ben sapendo che alcuni degli stati membri si muoveranno (lo stanno già facendo) per assumere la rappresentanza dei voleri statunitensi. In un rapporto consociativo che rilanci le chiusure del vecchio continente delle austerità che giustificano uscite ed immobilismi. Il male peggiore per chi intende cambiare un sistema che non si sofferma solo sulle sovranità nazionali.
Staremo perciò a vedere. Sperando che non si sciupi l’eredità di Obama, un delitto per chiunque e per l’Europa delle inconsistenze.
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Emiliano Liberati
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Aggiornato al 31 marzo 2018
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