I due PD
La strada, speriamo non troppo lunga, per fondare una sinistra di governo
- Scritto da Giovanni Rosciglione
- Pubblicato in Politica
Quando parliamo di Partito Democratico, parliamo di due fasi completamente diverse.
Il Primo PD (Segretario Veltroni con la carta del Lingotto) risultò essere solo un frettoloso assemblaggio dei gruppi dirigenti dell’Ulivo ( Prodi , la Margherita di Rutelli, Bindi, Castagnetti e Lusi, i DS di D’Alema, Fassino, Bersani, Sposetti, la CGIL e le Coop).
Quello fu il Partito dei Notabili, che affidarono al più credibile Veltroni il compito di stilare un programma rinnovatore, moderno e riformista (la carta del Lingotto lo era), che avrebbe messo in soffitta le Alleanze turbinose che avevano distrutto il primo centrosinistra, per dichiararsi partito a vocazione maggioritaria.
Quel PD, non solo perse contro Berlusconi e un centrodestra già declinante, ma – a partire proprio da Veltroni – tradì se stesso con una campagna elettorale fatta solo di narrazioni suggestive e retorica movimentista (ricordo quando all’inizio venne a Palermo e incontrò solo Rita Borsellino, i magistrati della Procura e le organizzazioni del teatro dell’antimafia) e, soprattutto, smentì la vocazione maggioritaria alleandosi con Italia dei Valori di quel Di Pietro, a cui solo il buon gusto mi impedisce di aggiungere aggettivi.
Quel primo PD era il partito del notabilato; riconosciuto formalmente nella strutturazione in correnti spesso personali e in fondazioni risalenti in modo palese a un “porporato”. Anche le Sezioni/Circoli territoriali si trasformarono in dépendance di questo o quel capo corrente.
Un’organizzazione nella quale decidere una linea comune era impossibile (la carta del Lingotto fu archiviata insieme con Veltroni qualche secondo dopo l’esito elettorale) e, in definitiva, il gioco di potere stava in mano di chi, per sapienza bizantina e carisma tardo sovietico, riusciva ad impedire meglio degli altri notabili la realizzazione di un qualsiasi programma, di una qualsiasi azione politica positiva.
Il ciclo di questo PD si chiude con la NONVITTORIA di Bersani alle elezioni e la benefica, anche se eccentrica, moral suasion di Giorgio Napolitano che, forte della sua supremazia culturale, impone una svolta alla sinistra.
Il secondo PD, il PD2.0, nasce con le primarie vinte da Matteo Renzi.
Finisce (con un ritardo di almeno 15 anni) il modello del Notabilato e diventa il partito del Leader, quello in cui il comando è affidato a chi, con maggiore credibilità personale, propone un progetto, si assume direttamente la responsabilità di realizzarlo e scommette la sua carica sul successo. Il modello più diffuso nelle democrazie avanzate.
Questo secondo partito, bisogna riconoscerlo, è quello che con più coerenza ed efficacia riprende e realizza i presupposti apparentemente condivisi del primo PD veltroniano: la vocazione maggioritaria (fine delle coalizioni preelettorali e degli inciuci obbligati), programmi di riformismo pragmatico e la fine delle pseudoideologie usate come schermo pudico alla pigrizia culturale (il PCI era molto più moderno!).
Su queste basi si salva una legislatura paralizzata da un risultato che impediva qualsiasi maggioranza omogenea e inficiata dalla dichiarazione di incostituzionalità della legge elettorale vigente. Riuscendo ad impedire il salto nel buio di una devastante crisi politica parallela a quella economica.
Questo nuovo PD del leader Renzi vince le elezioni Europee con un risultato eccezionale e imprime una svolta culturale inedita per la boccheggiante sinistra storica italiana: un progetto moderno di riforme sociali, istituzionali e costituzionali che, rafforzando la democrazia decidente, si propone di rilanciare l’Italia.
Mette in soffitta le preistoriche alleanze sociali con i cosiddetti “corpi intermedi”, che il notabilato conservava per tattiche di potere personale, e rivela l’urgenza di un adeguamento, un aggiornamento della lettura della società moderna, che sino a quel momento si era evitato.
Non sorprende quindi che parallelamente ai suoi successi il nuovo PD subisca una reazione contraria da parte di un establishment italiano che – come la politica – era ed è rimasto fortemente conservatore e geloso custode dei propri privilegi immeritati. A destra, al centro e a sinistra.
Giornali, Televisioni, Sindacati, Magistratura, Ordini Professionali, Circoli Intellettuali e corporazioni varie che, per 60 anni, hanno prosperato nell’equilibrio statico di un consociativismo storico, che si è protratto troppo ben al di là delle sue motivazioni geopolitiche (è del 1989 la fine del comunismo!), dopo un breve periodo di osservazione, si schierano ferocemente contro qualsiasi cambiamento concreto del paese.
Alcuni hashtag rendono palese il livore: #DEMOCRATURA, #RENZUSCONI, #GOLPEBIANCO.
Siamo alle scomuniche che una casta sacerdotale, decaduta e decadente, commina nella presunzione di essere detentore dell’idea stessa di SINISTRA e custode delle libertà democratiche. Si distingue in questa quotidiana opera di demolizione il network Scalfari - Santoro – Travaglio e una schiera foltissima di rappresentanti di una nuova figura accademica: “il Costituzionalista Indignato”.
Basta un pizzico di obiettività intellettuale per accorgersi che nel nuovo PD non si nasconde alcuna volontà reazionaria e antidemocratica. Come del resto non c’era alcuna astuzia leniniana nel primo PD. La nuova legge elettorale di tipo maggioritario e la modifica delle competenze del Senato, sono da decenni nel libro dei programmi di quasi tutti i partiti.
Dovrebbe infatti essere acquisito già dai programmi scolastici che la sinistra storica italiana già con Berlinguer aveva fatto una scelta di campo irreversibile – culturale e politica – di adesione al modello di democrazia liberale predominante in tutto l’occidente.
Il nuovo PD, che non è di Renzi ma che ha in Renzi un naturale leader democratico, rappresenta finalmente in modo credibile l’occasione della maturazione anche in Italia di una sinistra moderna e responsabile.
Quanto sostengo non implica certo l’assenza di errori nell’azione di governo; o la pretesa della infallibilità messianica del #CAROLEADER.
Basterebbe citare solo due delle preoccupanti falle del Partito, sulle quali sarebbe opportuno investire molte forze, distogliendole da polemiche e gelosie interne assolutamente irrazionali:
• Assenza di presa d’atto della nuova Questione Meridionale, che è centrale per le prossime politiche di crescita e sviluppo dell’intero paese e per la coesione sociale del territorio nazionale.
• Ritardo nella definizione della Forma Partito, che deve rendere esplicito il codice fondativo della democrazia, e della sua organizzazione territoriale. Ritardo nella definizione di criteri per la selezione della classe dirigente e per la costruzione di programmi. A questo fine, interventi di approfondimento formativo mi sembrano assolutamente urgenti e necessari.
Diciamo che il PD2.0 ha dovuto venire alla luce in fretta: un parto anticipato. E, quindi, molte sono ancora le cose che serviranno a completare il progetto.
Possiamo dire che si tratta del classico WORKINGINPROGRESS: uno spazio aperto di ricerca e lavoro. Da occupare in contemporanea con il grande sforzo da compiere per il successo del Governo, delle sue riforme e per il superamento della crisi.
Insomma un campo di battaglia democratica. Non epico e fascinoso come la resistenza e il dopoguerra della Ricostruzione di una nazione sconfitta. Ma certamente interessante, stimolante. Potenzialmente fecondo per la creazione di una classe dirigente della nuova sinistra, per la crescita di nuovi quadri, per l’individuazione di nuovi percorsi culturali. Uno spazio che non esclude nessuno ma, anzi, porta ad una sintesi positiva le diversità.
Almeno io così lo giudico!
Il nuovo PD, ancora con un profilo incompleto, sarà dunque come saranno i suoi militanti. Come saremo noi. Come faremo crescere una nuova generazione (non solo in termini anagrafici) interprete credibile di un vero rinnovamento riconosciuto dai cittadini.
Perché non è più possibile rinviare il momento dell’addio definitivo alle nostalgie ideologiche e ai rancorosi personalismi, ed è invece il tempo, una volta e per tutte, che la sinistra italiana trovi il gusto di governare veramente!
Dati social all'8 febbraio 2016
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Giovanni Rosciglione
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Aggiornato al 31 marzo 2018
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