Perché dopo 73 anni a Ferrara vince la destra?

Una lucidissima e ficcante analisi di Luigi Marattin. Le responsabilità dei gruppi dirigenti locali. Il Pd ferrarese non ha perso queste elezioni al ballottaggio, né al primo turno settimane fa. Le ha perse negli ultimi 5 anni quando ha completamente ignorato la domanda di cambiamento, discontinuità e innovazione che la città stava esprimendo in forme mai viste prima. Ed ha guardato con sospetto chi non aveva sempre fatto parte dei soliti giri, tra l’altro sempre più ristretti.

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Perché dopo 73 anni a Ferrara vince la destra?

QUALCHE (PACATA MA SCHIETTA) RIFLESSIONE SU FERRARA E EMILIA-ROMAGNA

Ero indeciso sul se commentare o meno la clamorosa - perché giunta dopo 73 anni di vita repubblicana - sconfitta del Pd a Ferrara.

Il motivo è semplice: per tutta la campagna elettorale (sia nella fase di preparazione che di gestione) la dirigenza del Pd locale ha fatto molta attenzione a tenermi assolutamente lontano (alle iniziative - penso a quella con Calenda - il segretario provinciale stava persino molto attento a non farmi fotografare).

Lo stesso atteggiamento che era stato tenuto per le elezioni politiche del 2018, quelle in cui Dario Franceschini perse con un distacco di oltre 10 punti il collegio uninominale. Non difetto di autostima, ma non sono certo così megalomane da credere che qualcosa sarebbe cambiato, figuriamoci. Semplicemente credo che il commento - e la relativa assunzione di responsabilità - spettasse in primo luogo a coloro che hanno voluto portare da soli le responsabilità delle scelte.

Tra ieri e oggi queste dichiarazioni sono arrivate. E mi hanno stimolato qualche riflessione. Eccole.

1). Un grazie a Tiziano Tagliani, sindaco uscente.

Sono sempre stato convinto che Tiziano sia stato il miglior sindaco che Ferrara abbia mai avuto, e non ho cambiato idea. Sotto il suo mandato Ferrara ha risanato il bilancio (su questo mi onoro di aver dato un contributo, e ancora lo ringrazio per avermi chiamato in giunta permettendomi di dare una mano), ha affrontato terremoti e nevicate storiche, ha risolto problemi ereditati dagli Anni Ottanta, ha affrontato la stagione dei tagli agli enti locali riuscendo ad aumentare i servizi (penso agli asili nido) e a mantenerne alta la qualità, ha riorganizzato le società partecipate, ha gestito la difficile fase del trasferimento dell’ospedale e l’esplodere dell’emergenza migranti. Il tutto, in mezzo alla più grave crisi economica (2008-2013) che questo paese abbia mai avuto in tempo di pace. Nel momento in cui lascia l’attività politica e torna al suo lavoro, gli sono dovuti i ringraziamenti.

Tiziano tuttavia, leggendo queste righe, penserà che qualcuno mi ha rubato il telefono se non dico anche l’altro pezzo del ragionamento: penso che egli abbia avuto delle responsabilità nel punto 3), il più importante di queste mie riflessioni. E non abbia saputo capire che lo schema di gioco era cambiato, e non si può giocare sempre con lo stesso modulo mentre intorno tutto cambia.

2). Un abbraccio ad Aldo Modonesi (il candidato sindaco sconfitto al ballottaggio, e mio collega in giunta dal 2010 al 2014) che ha combattuto come un leone senza mai risparmiarsi. Spero che Aldo trovi conforto nella consapevolezza di aver dato tutto quello che aveva e di aver fatto tutto quello che era possibile fare. Purtroppo - e ancora un rimando al punto 3) - c’erano difetti strutturali molto più importanti.

E un grazie a tutti quelli che si sono candidati nelle liste a suo sostegno, e che hanno fatto campagna elettorale credendoci fino in fondo. La colpa della sconfitta, di certo, non è la loro. Ed è solo da loro che si potrà ripartire.

3). il Pd ferrarese non ha perso queste elezioni al ballottaggio, né al primo turno settimane fa. Le ha perse negli ultimi 5 anni, quando ha sistematicamente ignorato la domanda di cambiamento, discontinuità e innovazione che la città stava esprimendo in forme mai viste prima; quando l’ha derubricata a “disagio passeggero”, da affrontare sempre con gli stessi metodi; quando ha emarginato e trattato come appestati coloro che, al suo interno, spronavano ad un vero cambiamento, ad una netta discontinuità nei confronti dell’arroccamento delle classi dirigenti e di certi gruppi al loro interno.

Le ha perse, in particolare, nell’autunno scorso. Quando poteva scegliere una candidatura diversa, innovativa, capace di aggregare consenso anche in quella (ormai larghissima) parte di società civile che non avrebbe più votato il vecchio Pd ma non era sicuramente pronta a gettarsi tra le braccia leghiste. Poteva cogliere l’occasione per aprire davvero i propri luoghi decisionali all’esterno e non - invece - guardare con sospetto chi non aveva sempre fatto parte dei soliti giri, tra l’altro sempre più ristretti.

Ha scelto invece di giocare con lo schema classico, tipico degli Anni 90: candidato “tradizionale” (in giunta ininterrottamente da 20 anni), e due liste (anch’esse capeggiate da chi era in amministrazione da anni) apparentemente concorrenti al primo turno, ma che poi si sarebbero riunite nella “grande larga alleanza”. Il non aver capito per tempo - e da tempo - che questo schema non avrebbe più funzionato è la vera ragione della sconfitta.

E lascia onestamente perplessi vedere la totale assenza di analisi come questa nelle dichiarazioni del giorno dopo.

Il sindaco uscente parla di “vento nazionale”, portando la meteorologia verso nuove frontiere: siamo di fronte ad un vento, cioè, che arriva dal nord ma evidentemente dribbla Rovigo, Modena e Reggio Emilia e, scendendo, evita pure Cesena e molte città della Toscana. Sarà il cambiamento climatico, che ne so.

Il segretario regionale dice che “spiace per Ferrara” ma in fondo non c’è problema perché in Emilia Romagna abbiamo vinto.

Il segretario provinciale - lungi dal prendersi la responsabilità di 5 anni di ininterrotte sconfitte anche personali (per la seconda volta di fila non è riuscito a entrare neanche in consiglio comunale), ci comunica semplicemente che il suo mandato è scaduto ad aprile (cioè?!!! Ha fatto la campagna elettorale da segretario abusivo?!) e quindi siamo a posto così, grazie.

Non credo sia il tempo della disperazione. Ferrara è solo l’ultima delle cosiddette “roccaforti” a crollare: negli anni e nei decenni scorsi sono, una ad una, crollate tutte (Parma, Piacenza, Sesto San Giovanni, Bologna, Siena, Massa, Pisa, Livorno). A dimostrare, se qualcuno non l’avesse ancora capito, che ogni elezione è contendibile. E l’alternanza, in fondo, è il sale della democrazia.

È il tempo della riflessione, certo, e poi dell’azione. Alcune delle “storiche roccaforti” cadute sono state riconquistate, anche subito (si veda Livorno). Ma questo non è accaduto facendo finta di niente e andando avanti, ma azzerando tutto quello che - così palesemente - non ha funzionato e ripartendo su basi completamente nuove.

Il Pd di Ferrara, e quelle energie che ancora non ne fanno parte, ha tutte le potenzialità per iniziare da subito un cammino nuovo. A patto di smetterla di considerare “rompiscatole” chiunque voglia mettere in discussione vecchi assetti e vecchi modi di far politica.

Ps. Faccio sommessamente notare una cosa: il Pd regionale non elegge un segretario con le primarie da 10 anni. Il primo (e unico) fu Stefano Bonaccini nel 2009. Io credo che Stefano sia il miglior candidato possibile per le regionali di autunno, perché sotto la sua guida l’Emilia Romagna ha raggiunto la vetta dei risultati economici in Italia (e non solo). Ma il modo migliore per sostenere, tutti insieme, la sua candidatura è rinnovare profondamente il Pd regionale, accantonando le mezze leadership e trovando nuova linfa in un congresso aperto all’esterno e rigeneratore di nuove energie e nuovo pensiero. Ne abbiamo tutti bisogno. 

Letto 5200

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