Primarie Aperte

L'elettorato del PD non è cambiato nella sua composizione

Letto 5419
Primarie Aperte

Il comitato Zingaretti si esprime in modo trionfalistico e parla di risultati oltre le aspettative. Se è comprensibile la soddisfazione per una percentuale che lo premia, risulta difficile credere che, per quanto prudenziali fossero le stime iniziali, il risultato possa essere stato considerato minimamente soddisfacente. Soprattutto se lo si mette in relazione al munitissimo arsenale di cui disponeva il governatore del Lazio. Se togliessimo la dote di famiglia rappresentata dalla sua regione, il candidato Zingaretti ed il suo composito aggregato, avrebbe incassato gli stessi voti ottenuti nel 2017 dal candidato Orlando, che pure non disponeva di un fronte altrettanto nutrito di altisonanti alleati, dentro e fuori il partito. Hanno concorso allo striminzito risultato finale, l'influente AreaDem di Dario Franceschini, il sostegno almeno annunciato di Michele Emiliano che alle scorse primarie correva come candidato, quello spedito in tempo utile per le votazioni calabresi di Marco Minniti e tanti altri. L'ex del Viminale è annoverabile nell'annunciata squadra dei ministri che doveva essere coordinata da un Gentiloni che forse anche in questa circostanza, come spesso gli accade, ha dimostrato di aver bisogno di sollecitazioni. A puntellare le operazioni di voto, la fitta rete di amministratori ed esponenti locali tessuta con grande impegno e perizia, in tempi finanche precoci. Forse qualche padre nobile che osservava dall'alto di qualche montagnetta come un generale ottocentesco.

La sensazione è che il candidato Zingaretti non abbia le qualità per offrire quel valore aggiunto che si dovrebbe richiedere ad un aspirante leader in un'epoca in cui perfino Prodi, che non è certamente un populista, ammonisce sul fatto che quella del noi contrapposto all'io è pura e superata retorica e il partito si ricostruisce partendo dal Chi. Questa considerazione che forse allude allo scarso appeal dei candidati, spiega verosimilmente una condizione che risulta provvidenziale per ottenere una buona percentuale con pochi voti in questo congresso povero di contenuti e di personalità e proposte politiche.

L'elettorato Zingarettiano, per cultura politica più disciplinato di quello degli antagonisti, ha interpretato con diligenza il suo ruolo, alcuni sostengono che i 3/4 dei potenziali elettori di Zingaretti neppure lo conoscano, se non in modo approssimativo, essendo un amministratore locale e questo, mentre gli altri dissertavano su come annullare le schede.

Mentre Andrea Orlando si dovette piegare al rullo compressore Renzi e le sue 175.000 preferenze nella prima fase, Zingaretti con soli 80.000 voti (di cui 12.000 nel Lazio) riesce ad avvicinarsi alla maggioranza grazie alla desertificazione motivazionale del campo avversario. Ma in tutte le altre regioni i dati dei due candidati sono sovrapponibili e non mancano importanti realtà in cui Zingaretti non arriva a raccogliere i consensi dell'ex ministro della giustizia.

È evidente che per effetto di una semplice equazione matematica, la percentuale che consegna la convenzione nei circoli al sopravvalutato esercito Zingarettiano precipiterebbe verso il basso con una diversa affluenza e non reggerebbe l'urto di primarie partecipate in modo massivo dall'elettorato riformista. Tra candidature diverse e la forte connotazione astensionista è apparso chiaro che Matteo Renzi, qualora si fosse candidato, avrebbe rivinto per la terza volta il congresso a mani basse.

Le primarie del 3 marzo vedono Zingaretti favorito ma con questa incognita legata al comportamento degli elettori Renziani. Tutto dipende da quale sentimento prevarrà. Se uno dei due candidati che con diverse argomentazioni se li contendono saprà toccare le giuste corde, quella che è ancora maggioranza del partito, è ampiamente in grado di designare il prossimo segretario. Solo due anni fa l'ex premier raccolse Un milione e 267.000 voti, mentre nell'inner circle Zingarettiano pare ci si auguri di superare almeno i 500.000. Basterebbe l'appello al voto di Matteo Renzi e di Maria Elena Boschi senza indicazione del candidato e al riparo di qualsiasi polemica, perché dalle primarie aperte possa uscire una competizione completamente diversa da quella che si è svolta nei circoli.

Letto 5419

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