Chi comanda nel mondo? La sinistra sta giocando con il fuoco.

Il libro di Michele Mezza “Algoritmi e Libertà”. Proviamo ad allargare lo sguardo. Le ultime riflessioni di Bauman sulle profilazioni. Gli algoritmi social che lavorano sull’ecosistema evolutivo della nostra personalità. L’esempio di Spotify che puo’ essere esteso anche ai gusti politici. L’analogia con il curling. Chi condiziona cosa? L’asimmetria di poteri che minaccia la Democrazia. L’utilizzo dei dark post di Facebook nelle campagne elettorali. Il ruolo dei BOT. Alaine Touraine e Manuel Castells. L’arretratrezza della sinistra.

Letto 6620
Chi comanda nel mondo? La sinistra sta giocando con il fuoco.

Proviamo per un attimo ad allontanarci dalla politica politicante quotidiana del Truce padano o di Giggino o bibitaro, proviamo ad allargare lo sguardo a tutto il campo da gioco globale, quel campo da gioco dove giocano i flussi globali, flussi di merci, di capitali, di persone ed anche, io direi soprattutto, di simboli (la creazione di simboli, dai miti degli antichi agli slogan pubblicitari di oggi, è una attività esclusiva del genere umano).

E proviamo a farlo insieme a Michele Mezza ed al suo straordinario ed intenso e colto libro “Algoritmi di libertà. La potenza del calcolo tra dominio e conflitto” con il quale l’autore, ex giornalista Rai ed oggi docente presso l’Università Federico II di Napoli, dimostra che la creazione di simboli, e quindi l’attività egemonica all’interno di un contesto che oggi è il mondo intero, è in mano non più direttamente all’uomo ma a macchine calcolanti ed ai loro algoritmi di cui nessuno sa nulla tranne chi li ha creati e cioè gli Over the Top signori di internet, Google, Amazon, Facebook etc. etc.

E prenderemo come base il capitolo IV del libro di Mezza, che inizia con una agghiacciante dichiarazione di Putin, il despota russo, che disse “chi sviluppa la migliore intelligenza artificiale governa il mondo”.

Il capitolo inizia con una descrizione di come funziona Spotify, una app che organizza i gusti musicali di circa 200 milioni di utenti e che, secondo Mezza, gioca a Curling con ognuno di noi (il Curling è quel gioco in cui “il concorrente, dopo averla lanciata, facilita e guida l’itinerario della boccia lungo la corsia ghiacciata, spazzando la pista in modo che non vi siano ostacoli o attrito a deviare la traiettoria”.

Ma prima di cominciare a seguire più da vicino il ragionamento di Michele Mezza che ci condurrà molto lontano da ciò che abitualmente pensiamo, fatemi citare un passo di un saggio di Zygmunt Bauman tratto da un libro scritto a quattro mani nel 2013 con David Lyon, un libro che si intitola “Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida” e con il quale si dimostra che l’attività di sorveglianza dentro le società umane è passata dalla solidità del panopticon di Bentham, dalle torrette con i carcerieri, dai controlli orwelliani ad un controllo diffuso ed autoprodotto in cui la sorveglianza si svolge sulla base di ciò che noi stessi desideriamo, desideri che gli algoritmi classificano profilandoci.

Baumann aggiorna il cogito cartesiano in “vengo visto, osservato, notato, registrato, dunque sono” ed è questo che sta alla base della “collaborazione dei sorvegliati, tacita o fragorosa, consapevole o inavvertita, intenzionale o automatica ma sicuramente massiccia, nel business della sorveglianza intenta a profilarli.”

Per il grande sociologo europeo “l’arrivo di Internet ha reso accessibile a qualsiasi tizio o caio ciò che un tempo costringeva i più abili e avventurosi grafitisti a scorribande notturne. Internet ha rimpiazzato il lavoro che un tempo era necessario per uscire dall’invisibilità e dall’oblio e rivendicare la propria presenza in un mondo manifestamente estraneo e inospitale rompendo bottiglie o teste.

In questo quadro usare Facebook per conquistare l’essere nel mondo anziché scarabocchiare graffiti ha il vantaggio di non richiedere abilità difficili da acquisire e di essere privo di rischi, legale ed ampiamente accettato, riconosciuto e rispettato. “

Su questa base Bauman delinea i cambiamenti che via via ci sono stati nelle strategie di marketing, passando dalla fase in cui si puntava a soddisfare i bisogni dove la produzione era calibrata sulla domanda esistente alla fase in cui i bisogni venivano creati (fase fordista) e quindi era la domanda che si calibrava sulla produzione esistente. Oggi stiamo vivendo una terza fase in cui le offerte vengono mirate su persone o categorie di persone già preparate ad accettarle con entusiasmo. Nella fase precedente il suscitare i desideri costava troppo per le aziende ed allora oggi, grazie ad internet quella “attività viene addossata agli stessi consumatori potenziali. Come la sorveglianza anche il marketing diventa sempre più una attività fai da te ed il risultato è che la servitù è sempre più volontaria. Ormai ogni volta che entro nel sito di Amazon vengo accolto da una serie di titoli selezionati appositamente per te Zygmunt. Grazie alla mia inavvertita ma ubbidiente collaborazione i server di Amazon conoscono ormai meglio di me le mie preferenze.”

Queste considerazioni di Bauman inquadrano in modo generale quanto Mezza ci dice nel brano che vogliamo sottoporre alla vostra attenzione.

L’autore di “Algoritmi di libertà” parte dall’esempio di Spotify, come abbiamo detto all’inizio, una app usata in prevalenza da giovani per ascoltare e scaricare musica. Spotify profila ogni singolo utente e gli propone compilation musicali che vanno incontro a quei profili. Siamo a quel marketing fai da te di cui parlava Bauman, al sogno di “far coincidere, dice Mezza, domanda ed offerta.”

La profilazione è ormai il “motore di ogni strategia di conquista delle preferenze della community di riferimento, non è più solo il gusto, la sensibilità, la personalità del destinatario della compilation culturale. ”Si va ben oltre fino alla “prefigurazione della evoluzione” del gusto, della personalità della sensibilità cioè dice Mezza, “dell’anima dell’ascoltatore”.

Facciamo un piccolo salto di pagine e arriviamo al punto in cui nel libro ci si chiede di immaginare che l’algoritmo usato da Spotify “non sia usato da un operatore musicale, da un service provider che ha come obiettivo quello di farsi scegliere come disk jockey del pianeta, ma invece lo adotti, ad esempio, un partito, un progetto politico, ancor più semplicemente un candidato alla presidenza degli Stati Uniti. Cosa potrebbe avvenire? Forse un eccentrico miliardario, seducente e populista, potrebbe entrare alla Casa Bianca? O che qualche paese possa muover i suoi hacker per influenzare la scelta del popolo di un altro paese?”

Perché è questo che fa Spotify per i gusti musicali.

“Il nuovo algoritmo che ha accompagnato la quotazione in borsa di Spotify” - ci spiega Mezza – “nel marzo del 2018 si chiama Release Radar e lavora direttamente sull’ecosistema evolutivo della nostra personalità, precedendo di vari passi la nostra crescita e maturazione, predisponendo l’itinerario per farci giungere puntuali al punto di incontro con l’identikit della nostra futura personalità così come l’ha prevista Spotify”.

Ed è a questo punto che viene introdotta la sorprendente analogia con il curling, quel gioco in cui, come detto all’inizio, “il concorrente, dopo averla lanciata, facilita e guida l’itinerario della boccia lungo la corsia ghiacciata, spazzando la pista in modo che non vi siano ostacoli o attrito a deviare la traiettoria. Spotify gioca a curling con ognuno di noi grazie ai suoi algoritmi predittivi, eliminando l’attrito che devia la nostra rotta. Si tratta di una learning machine, macchina capace di apprendere, applicata alla crescita dei gusti, dunque della personalità e delle relazioni, di ognuno dei suoi utenti, che impara e prevede le caratteristiche dei gusti in base ad una poderosa massa di dati raccolti su ogni fattore che incide sulla nostra vita e, giocando sulle correlazioni, le assonanze e somiglianze di comportamenti di milioni di individui simili in ambienti simili, arriva a determinare schemi di evoluzione.”

La domanda da porsi (anche con la preoccupazione della possibile estensione di questo meccanismo alla evoluzione dei gusti e delle scelte politiche di milioni di persone) è su come “l’algoritmo interferisce sulla crescita dei nostri gusti e dunque sulle nostre esperienze emotive. Nella risposta a questa domanda entra in gioco l’etica del calcolo. Il dispositivo infatti non si limita a misurare e tipicizzare la proiezione di milioni e milioni di profili evolutivi dei suoi clienti, ma elabora, sulla base di schemi e obiettivi dell’algoritmo, un modello matematico in condizione di programmare la tipologia di quelle musiche, di quei ritmi, di quelle sensazioni che interferendo con la nostra personalità concorrono a determinarne l’evoluzione.

Spotify non è un osservatore neutro ma interviene nel disegno della nostra crescita agendo su un set di emozioni e sensazioni prodotte proprio dall’offerta musicale che integrano e correggono la naturale evoluzione.”

Difronte a meccanismi di questo genere che, come abbiamo già detto, possono essere estesi anche oltre il condizionamento dei gusti musicali ed interessare anche le scelte elettorali la domanda delle domande è la seguente, una domanda che riguarda direttamente la libertà ed il nostro libero arbitrio: “Chi condizione cosa? Sono i profili che Spotify riesce a tracciare della nostra evoluzione a condizionare la successiva fase creativa dei produttori di musica connessi alla app”, oppure con lo spazzamento tipo curling fatto dall’algoritmo è “il server provider che interferisce con la nostra evoluzione?”.

Dobbiamo essere consapevoli che non siamo di fronte solo ad un aspetto ingegneristico ma che l’algoritmo è “un sistema logico e linguistico che dialoga, a nostra insaputa, con la nostra mente”

E se è così, è evidente dice Mezza che c’è una asimmetria di poteri individuali che rischia addirittura di mettere in discussione la stessa democrazia.

Ed è a questo punto che il nostro autore affronta il tema delle interferenze di questi sistemi sui processi di formazione della pubblica opinione, sistemi che ormai, come dimostra l’esempio di Spotify per la formazione di gusti musicali, sono ormai molto collaudati.

Non dobbiamo farci distrarre dal problema delle Fake news ma è necessario “assestarsi su analisi più fondate e ponderate”.

Il New York times ed il Washington post hanno dimostrato che nel corso delle ultime elezioni presidenziali americane “non solo si è verificata una incursione poderosa di Nation cyber, ossia di hackerismo organizzato da uno Stato” (e di cui Mezza porta le prove) ma che invece “proprio il meccanismo di profilazione pervasiva costruito da Facebook è stato usato e collaudato per misurare i suoi effetti in campo politico.

Si tratta di una pianificata utilizzazione dei sistemi inizialmente finalizzati alla comunicazione commerciale che nel social inevitabilmente sconfinano nella persuasione politica. Il meccanismo che Facebook classifica come dark post, ossia messaggi che sono visibili solo a specifiche categorie o famiglie di utenti. Una straordinaria e micidiale precisione nella selezione dei contatti – si parla di agopuntura comunicazionale ad opera di grafi mirati – che ci permette perfino di non esplicitare il suo bersaglio” senza neanche nominare un candidato presidenziale ma concentrandosi sulla “amplificazione di messaggi sociali e politici divisivi su tutto lo spettro ideologico, toccando argomenti come la questione LGBT, l’immigrazione, il diritto alle armi.”

Quello che viene fuori da questo ragionamento è un fatto incontrovertibile e cioè che “Facebook come Sistema è ormai in grado di processare e modificare le opinioni dei suoi utenti”.

E che questo ormai sia il livello dello scontro di potere mirante alla egemonia e al consenso lo dimostrano le parole di Brad Parscale, il guru quarantenne di Donald Trump che snocciola senza remore una serie di dati impressionanti: “230 milioni di profili di elettori, dettagliatamente georeferenziati strada per strada, città per città, villaggio per villaggio, con un grafo di dati sovrapposti ricavati da tutti social ed una potenza di produzione di notizie e contenuti nell’ordine di 1,5 milioni al giorno, per ogni singolo Stato federale bersaglio.”

Ed alla domanda che tutti avremmo voluto fargli e cioè “come si fa? ”Parscale anticipa beffardamente i suoi interlocutori: Facile, si prende un libretto degli assegni e se ne firma uno da 100 milioni di dollari per Facebook e altri in proporzione per gli altri social oltre che una quota robusta per una batteria di bot che automaticamente si intromette nei forum e nelle community.”

(Il BOT di cui parla Parscale è un programma automatizzato, programmato per svolgere determinate azioni in maniera regolare o reattiva. Tutto ciò senza dover far affidamento sull’intervento umano. Il bot analizza le circostanze e decide autonomamente quale azione eseguire. Sui social i bot che lavorano sia in maniera ripetitiva che reattiva: mettono “mi piace”, commentano, ritweettano e tentano di coinvolgere gli altri utenti nelle discussioni e di provocarli. Per cercare di far reagire gli altri utenti dissimulano il loro essere artificiali e si spacciano per utenti umani).

Spero che dopo tutto questo sia ora più chiara la tremenda verità di quella frase di Vladimir Putin che Mezza cita all’inizio del quarto capitolo: “chi sviluppa la migliore intelligenza artificiale governa il mondo”.

Inutile sottolineare che su questi temi la sinistra, non solo italiana, è indietro di anni luce ed ancora snobba la propria presenza sui social e non elabora una riflessione all’altezza di questa sfida (basta citare solo il fatto che la Madia, attuale responsabile comunicazione del PD, ottima persona ed ottimo ministro, non è assolutamente presente sui social).

Andiamo alla conclusione di questo mio articolo (vi invito a leggere tutto il libro, ricchissimo di analisi, di fatti e di citazioni) con l’illuminante citazione di Alain Touraine che parla di post socialità nel suo ultimo lavoro “Noi, soggetti umani” nel quale si evidenzia come al centro del conflitto c’è ormai la affermazione della dignità di ogni singolo individuo, in ogni singola azione sociale, con “la società che si è ridotta ad un ibrido dove i conflitti sono spostati fuori dal campo sociale” essendo la tecnologia che misura la scale dei poteri e delle relazioni, chiosa Mezza, da individuo a individuo con la rete che ne è i linguaggio ma anche il contenitore.

E, per ultimo ed alla luce di quanto detto sopra ed alla luce di quanto di più ampio e dettagliato troverete nel libro di Mezza, bisogna ora sottolineare e rileggere in maniera diversa  la classica definizione di media digitali che ci da Manuel Castells, per il quale i media non sono il quarto potere, sono molto più importanti: sono lo spazio dove si costruisce il potere in un gioco di relazioni tra soggetti politici ed attori sociali in competizione tra loro” e va riletta oggi “alla luce del protagonismo del calcolo: sono gli algoritmi in quanto tali, senza nessun altra mediazione linguistica, che costituiscono lo spazio dove si costruisce il potere in un gioco di relazioni fra soggetti politici ed attori sociali, in competizione tra loro. I termini di questa competizione individuano il nuovo spazio politico e geopolitico”

(post scriptum: contrariamente a molti autori che si limitano a fare solo una analisi dell’esistente segnalandone le criticità, Mezza invece si sforza di indicare soluzioni senza però cadere in un luddismo di ritorno e senza nostalgie per un passato, nella vita dei media, che non ritornerà.

Non vi dico quali sono le soluzioni perché penso davvero che questo libro lo dobbiate leggere.

Così come trovo molto suggestivo il discorso che Mezza imbastisce verso la fine del libro, una ventina di pagine, su una nuova forma Partito, pagine in cui ho imparato una espressione di cui mi sono innamorato e cioè che un Partito oggi deve essere capace di “orchestrare le differenze”. E non scrivo altro.

Letto 6620

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Enzo Puro

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Aggiornato al 31 marzo 2018

 

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