Sporchi, cattivi, decisivi: i social media, gli intellettuali e il mondo nuovo

Conquistare tante persone è sempre più difficile che conquistarne poche. Si può fare, non semplicemente assecondando l'opinione più becera e istintuale, ma creando una comunicazione che porti quell'opinione becera a superare sé stessa, a emanciparsi da sé stessa

Letto 3825
Sporchi, cattivi, decisivi: i social media, gli intellettuali e il mondo nuovo

Il mondo va veloce e la comunicazione guida il cambiamento. Stranamente però, la classe dirigente, o buona parte di essa, lo nega. Forse perché non lo capisce, o forse meglio, perché non gli piace. E siccome non gli piace, lo cancella.

Anche di fronte al fatto, intuito da molti, accettato da pochi, che siano state le prime elezioni politiche vinte su internet, tendono a negarne l'influenza. Intendiamoci. Qui non si sostiene che i social media abbiano determinato gli esiti del voto, ci mancherebbe. Si dice una cosa diversa e in due punti:

  1. I social media hanno un potere d'influenza specifico, che non determina le maggioranze, ma sposta un numero consistente di voti,
  2. I social sono espressione e strumento di una rivoluzione generale, dove un mondo nuovo si è affermato e dove, a essere brutali e schematici, la "verità" non viene più dall'alto, ma dal basso. Cambiamento che ribalta consuetudini e prospettive, come meglio/peggio non potrebbe.

Sul primo punto, che piaccia o meno, tanti sono pronti a razionalizzarlo. Sul secondo, invece, l'ostracismo di comprensione e di accettazione è pressoché totale, tanto che si potrebbe dire, seguendo l'aforisma cinese: se capisci, le cose sono come sono; se non capisci, le cose sono come sono, e liquidare così la faccenda. Ma veniamo al primo punto.

Qualche numero è indispensabile. In Italia 43 milioni di persone hanno accesso a internet e 34 milioni ai social media. In sostanza, se escludiamo la televisione, nessun media è così potente, già oggi, come Facebook e compagnia. Con la differenza che i social coinvolgono, mentre la tv non produce "call to action" che in termini politici è una grande differenza.

Un altro passo ancora. Nell'ultimo anno in Italia gli utenti, sia su internet sia quelli sui social, sono cresciuti del 10%. Non c'è nessun mezzo di comunicazione, di nessun genere, capace di crescere a questi ritmi. Il che significa che si tratta di strumenti non "per i giovani" ma per tutti. In Italia le persone con più di 65 anni su Facebook sono in 2 milioni 200 mila!

Il dato però più eclatante è che ogni giorno si sta sui social media per circa due ore (esattamente un'ora e 53 minuti). Solo la televisione è capace di suscitare un'attenzione tanto prolungata e in maniera così massiva. Si sono diffusi in maniera molecolare proprio perché internet è passato dai computer ai telefoni, senza questo passaggio tecnologico, la diffusione di oggi sarebbe impensabile.

E veniamo all'effetto politico nelle elezioni. Incrociando le preferenze di voto e l'utilizzo dei social media si arriva a risultati eclatanti. Se avessero votato solo coloro che non sono iscritti ai social media, il Pd sarebbe il primo partito italiano. Ma ribaltiamo l'ordine con cui il voto e l'utilizzo dei social media sono considerati.

Fatto 100 il numero di elettori del Pd, si arriva al valore 122 fra quanti non accedono ai social media (significa che il Pd in questa categoria di elettori prende il 22% in più della sua media); fatto 100 il numero di elettori dei Cinquestelle, si arriva al valore 52 fra quanti non accedono ai social. Detto in altre parole, fra quanti non accedono ai social, il M5s ottiene circa la metà dei voti rispetto alla sua media.

Facciamo allora la sintesi sul voto ai partiti secondo l'uso dei social media. Fra quanti vi sono estranei, la graduatoria è Pd, Forza Italia, Lega. Fra quanti ne fanno un uso "moderato" è M5s, Pd, Lega. Fra quanti ne fanno un uso intenso, la classifica è M5s, Lega, Pd. Più evidente di cosi è difficile.

Possiamo allora passare al secondo punto.

L'avvento dell'intelligenza artificiale, il cui prodotto più clamoroso è l'algoritmo di ricerca di Google, ha spostato la conoscenza, anzi la gerarchia della conoscenza, dai più esperti ai più rilevanti. Una rivoluzione.

Cerchiamo di capire in che consiste e le sue conseguenze. Se digito qualunque cosa su Google (il farmaco migliore per un malanno, il miglior libro su un argomento, l'università migliore per la biologia) il motore di ricerca non studia la domanda valutando l'expertise di chi risponde, ma –ecco la genialità– presenta le risposte secondo la loro rilevanza, cioè li classifica secondo il gradimento che ricevono sulla rete da altri siti, perciò da altri utenti. Il migliore non è il migliore (se ci si permette questo gioco di parole), ma quello che tutti considerano il migliore.

D'altra parte non c'è un modo più semplice e più efficace di stabilirlo. Per dire qual è il farmaco migliore, si dovrebbero consultare esperti su esperti, compararli, giudicarli, fino al corto circuito di chi giudica chi, cioè: chi stabilisce chi è il migliore? Allora il migliore è quello che tutti considerano il migliore. Amen. Così è per tutto. Non c'è mai stato un tempo in cui "vox populi" (anzi "vox social") sia, ancora di più "vox dei".

Poi succede che i risultati di ricerca possano essere affiancati da quelli pubblicitari, cioè acquistati da chiunque. Allora se, ad esempio, voglio sapere di più sul Jobs Act, ne digito i termini sul motore di ricerca. Se per caso i "nemici" del Jobs Act avessero comprato proprio questi termini e li indirizzassero sui loro siti contrari al provvedimento, ecco che quel che saprò, a meno che non vada a scandagliare e fare una ricerca più complessa sarà tutto avverso a quella legge.

Se il mondo fosse rinchiuso dentro internet è probabile che l'indicizzazione perfetta di ogni termine in un verso o nell'altro, determinerebbe con grande probabilità, il pensiero generale su quell'argomento.

Non c'è niente di demoniaco. È il mondo di adesso che funziona così. Un tempo bastava orientare gli editorialisti dei grandi quotidiani nazionali, i direttori dei Tg e l'orientamento era fatto. Oppure, bastava che, pedagogicamente, le grandi macchine di consenso orientassero i loro aderenti in maniera convergente e si sarebbe ottenuto lo stesso risultato.

Mentre l'algoritmo di Google considera la rilevanza dei siti nel comporre la gerarchia dei risultati, nel caso dei social media il mondo è piatto. Ognuno esprime un'opinione e se quell'opinione è molto condivisa diventa molto rilevante.

Se un'opinione non è condivisa, è sostanzialmente sconosciuta. L'esempio è quello della distribuzione dei film. Se un film, anche un capolavoro, non è proiettato nei cinema, di fatto non esiste. E nel caso dei social media ogni utente è un cinema, cioè proietta quel che più gli piace.

Ed ecco che il ribaltamento della "verità" è compiuto: un'opinione diventa migliore di un'altra non per il valore in sé, non perché un drappello di esperti l'abbia valutata così, ma perché è la più rilevante, cioè la più condivisa, cioè sostenuta da un numero maggiore di persone.

Allora il problema di oggi è: l'intellighenzia accetta la sfida? È capace di cambiare linguaggio, atteggiamento, attitudini per conquistare rilevanza (anche) sulla rete, o semplicemente si rinchiude nel mondo dei suoi pari? Se sei un bravo scrittore, forse riesci a scrivere un post su Facebook che susciti emozione; se sei un grande regista forse riesci a creare un video che su Youtube batta lo Youtuber del momento, o no?

I giornali quando sono nati erano giudicati un mezzo "inferiore" rispetto ai libri, la televisione "inferiore" rispetto al cinema e il cinema rispetto al teatro. A mano a mano che la tecnologia e la democrazia sono andati avanti, il compito di chi produce senso collettivo (cioè forma l'opinione pubblica) si è spostato verso una sfida superiore.

Forse bisogna che si convincano che conquistare una fetta più larga di lettori, spettatori, ecc. è la sfida più grande e più bella che ci sia. Quale tristezza si stende, invece, quando l'obiettivo è (solo) quello di conquistare i propri cari e i propri pari. Conquistare tante persone è sempre più difficile che conquistarne poche.

Si può fare, non semplicemente assecondando l'opinione più becera e istintuale, ma creando una comunicazione che porti quell'opinione becera a superare sé stessa, a emanciparsi da sé stessa. E lo può fare (abbiamo fiducia nell'umanità) se l'autore entra in sintonia con il grande numero che vuole conquistare, non con il piccolo mondo da rassicurare e dire che ... niente è cambiato.

 

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Letto 3825

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Antonio Preiti

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Aggiornato al 31 marzo 2018

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