L’Ammazzapensiero

Perché in Italia, dove il sessantotto non è mai iniziato, invece è ancora tanto diffuso il fascino delle parole e delle azioni dell’estremismo di sinistra rivoluzionario ed antisistema?

Letto 6108
L’Ammazzapensiero

Ieri mattina, in sequenza, sulla facciata del medesimo palazzo, ho fotografato questi tre graffiti o, se preferite, lapidi (nella foto)amm 01

Con la stessa esatta grafia e la medesima paranoica veemenza tutto il quartiere è costellato delle esaltate riflessioni di questo “libero pensatore”. E, se cercate bene nello stesso quartiere di Palermo, troverete pure un suo perentorio invito a stelle a cinque punte (che coincidenza) ad ammazzare quel giovane politico che sino ad oggi hanno tentato (pacificamente!) di accoppare gli alunni pallidi e confusi degli antichi “cattivi maestri”.

Tranquilli. Lo conosco, l’autore, da almeno 30 anni. È del quartiere. Ed è una delle centinaia di persone che era entrata nella sezione di partito del quale ero segretario tanti anni fa per chiedere la tessera. Frasi sconnesse e allucinate. Ai tempi studente, ora, cinquantenne, lo immagino disoccupato con sussidio o “PIP” con stipendio. Scoprii che la grafia dei dati da lui inseriti sulla tessera era identica a quella delle deliranti scritte sui muri. Gli telefonammo e gli rifiutammo la tessera. Ma è assolutamente innocuo. E penso che quei pochi euro di cui dispone finiscono nelle casse delle decine di sale gioco che affollano l’ottava circoscrizione di Palermo. Sarà per questo che è incazzato nero.

E allora perché vi sto raccontando questa trascurabile storia, direte voi?

Il fatto è che la chiamata all’opera delle Brigate Rosse, proclamata da un cittadino seppure disturbato, mi ha fatto subito tornare alla mente alcune considerazioni che Angelo Panebianco sul Corriere di qualche giorno fa ha fatto nell’articolo nel quale commentava la sua disavventura all’Università di Bologna. E terminava con qualche cascame residuo di quellinterminabile decennio è ancora tra noi.

E già. Perché? Perché l’Italia, tra tutte le democrazie progredite, conserva più di tutte questo reperto fossile dell’esaltazione della violenza come strumento della lotta politica? O, almeno, il suo simulacro, la sua versione edulcorata, la sua rappresentazione rituale? Perché questa “mummia del faraone” continua a perseguitarci? Dite di no?

E allora, avete fatto caso che esiste ancora una potentissima lobby sessantottosettasettina che, non solo ha voce, ma ha conquistato splendide tribune? Dalle quali magari non incita alla gambizzazione dell’avversario, magari non fa il segno della P38, magari non si cala il passamontagna, ma – in varie declinazioni – continua a predicare il vangelo dell’utopia politica, della purezza, del disprezzo per la politica borghese, della critica alla democrazia e alla sua “mollezza”.

Toni Negri insegna all’Università (è l’illustre collega cui fa riferimento Panebianco nel suo articolo), Scalzone e Battisti sono venerati dalla gauche francese e in collegamento con pezzi sparsi dei movimenti. Liguori (Straccio) dirige il TG5com, Erri De Luca pontifica, acclamato anche dalle Mamme NOMUOS di Gela, sul “diritto alla violenza” contro il TAV e a favore dello scartamento ridotto del tipo Palermo – Agrigento, Adriana Faranda è una voce autorevole nei Convegni Accademici sullo stato delle democrazie occidentali e, infine, un gruppo di una decina di latitanti ex terroristi vive in Venezuela e sono legati agli esponenti della criminalità organizzata, tra cui i fedeli del boss di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro.

Potrei continuare con i nomi dei molti reduci tranquillamente sulla scena, anche ammettendo che alcuni, come Paolo Mieli, non hanno fanno finta di niente e con onesta intelligenza hanno messo in soffitta quelle divise.

Ma il punto è: come mai in un Paese sostanzialmente conservatore, c’è un sistema di cultura politica anacronistica che blocca la crescita da circa 25 anni, in cui una cultura riformista e modernamente liberale non è mai riuscita ad andare oltre la testimonianza?

Perché in un Paese bacchettone, conformista, pigro, corporativo e familistico, in Italia quindi, vivono ancora i Collettivi Autonomi, i Centri Sociali, i riti delle bandiere rosse con nodosi bastoni, le messe cantate con il pugno chiuso, il chiamarsi “compagni” come esibizione della card del sinistro doc.? La risposta non è facile e, di certo, non sono io a poterne dare una definitiva.

Ma una cosa ho la presunzione di poter dire. Dalle nostre parti la sinistra non ha mai avuto il coraggio di adeguare la propria cultura politica, la propria visione del mondo, la propria sociologia ai cambiamenti geopolitici, che alla fine degli anni 80 hanno rivoltato la mappa terrestre, approdando alle conclusioni logiche già accettate in molte sinistre dei paesi sviluppati.

È, invece, rimasta stretta tra una sconfitta, che ha nascosto in un carsico senso di colpa, e un’infantile coazione a ripetere le estremizzazioni delle utopie rivoluzionarie, alla nostalgia delle sicurezze della “cortina di ferro”, alla cui tranquillizzante ombra poteva recitare la parte della sinistra democratica. Gli americani sono ancora i nemici. Il pacifismo a corrente alternata e “a convenienza” è un “vangelo”.

Dopo 27 anni questo ritardo storico ha dato luogo al fenomeno, anche semantico e idealistico, della “violenza giustificabile” (pensate a certe posizioni ambigue verso il terrorismo islamico), della diffidenza verso la democrazia in quanto tale, della necessità di – in mancanza di idee – coltivare ideologie, di cercare sempre strade plausibili per un “cambiamento generale del sistema”. Ma cambiamento in quale altro sistema è cosa che rimane nelle nuvole.

Questo in un tempo tanto lungo da portare anche alla modificazione genetica della qualità della sua classe dirigente, dei propri rappresentanti politici, intellettuali e sociali. Prima di eccellente livello, oggi composta da sbiadite caricature da colorare con retoriche e anacronistiche esibizioni di coerenze, allo sbandieramento di scarlatte bandiere, a una non meglio definita idea di sinistra storica. A scrivere quelle frasi sui muri della centralissima via Principe di Paternò a Palermo è stato un inoffensivo poveruomo che sfoga in rabbia il suo disagio.

Ad assaltare e zittire con la violenza Angelo Panebianco sono stati una ventina di ragazzotti fuori corso e fuori tempo, ma tollerati dall’Università. Ma all’interrogativo storico che si pone il Professore occorre che, a dare una risposta seria, dovrà essere proprio ora il mondo della sinistra italiana. Ora, proprio ora che avrebbe la possibilità di essere protagonista di un esperimento di governo moderno ed efficace della nostra bella e povera Italia.

Articolo originale apparso qui

Letto 6108

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Giovanni Rosciglione

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Aggiornato al 31 marzo 2018

 

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