Cosa è accaduto a Roma? La difficoltà a trovare parole giuste che lo spieghino.
Enzo Puro tenta una spiegazione e prova a porsi le domande giuste per arrivare a capire la logica di un cattivo rapporto instaurato sin da subito tra Ignazio Marino e la città di cui era Sindaco
E’ difficile davvero trovare le parole per spiegare innanzitutto a noi stessi cosa è accaduto a Roma e sul perché la situazione è precipitata fino alle dimissioni di Ignazio Marino.
Sgombriamo subito il campo da una interpretazione che va per la maggiore in certi circoli ristretti e che imputano la caduta di Marino alla azione dei grandi poteri di Roma che così si sono liberati di un incorruttibile baluardo della legalità, nemico di ogni inciucio sottobanco.
Non nego che alcuni poteri forti possano avere spinto per arrivare a questo epilogo, quei poteri che sicuramente hanno trovato, ed è cosa positiva, in Campidoglio la porta chiusa (anche se purtroppo quella porta non è stata chiusa solo per i potenti ma anche, per paura delle impurità, per molti altri semplici cittadini, a differenza ad esempio di Veltroni che ogni Venerdì riceveva cittadini e comitati che gli scrivevano).
Io credo che la domanda giusta da porsi per cercare una risposta che ci approssimi alla verità è invece la seguente: perché contro Marino si sono legati tanti interessi, non solo quelli illegittimi? Perché le persone normali da tempo avevano scaricato il Sindaco e non lo hanno difeso al momento dell’attacco, tranne qualche migliaio di aficionados accorsi in Campidoglio e mossi da motivazioni le più diverse (c’era chi vuole bene davvero a Ignazio e c’era chi intravede in questa vicenda una occasione per sferrare un colpo a Renzi oppure ad Orfini)?
Perché nei sondaggi, passati e presenti, Ignazio Marino sta dietro a tutti i suoi eventuali competitor?
A mio avviso la risposta a questo evolversi della situazione sta in due semplici parole: incapacità amministrativa e mancanza totale di empatia con la città.
Nel momento in cui è stato sottoposto ad un attacco mediatico furibondo da parte di tutti i media (quei media che oggi dopo averlo attaccato violentemente lo difendono dalle cattiverie di un PD renziano senza cuore e alleato, a loro dire, con il malaffare) Ignazio Marino si è trovato disarmato, senza alcuna rete di protezione, quella rete di protezione che ad un Sindaco viene soltanto dalle cose concrete che fa ogni giorno per migliorare la qualità della vita dei cittadini e dal legame empatico che un Sindaco riesce a stabilire umanamente con i suoi amministrati (Rutelli e Veltroni, in modi diversi, sono stati due Sindaci molto empatici e per questo molto amati dai romani).
Perché l’onestà è una dote indispensabile per un amministratore pubblico, è una precondizione, ma l’onestà da sola non serve a nulla.
Soprattutto quando praticare l’onestà porta soltanto a evitare di fare scelte ed a bloccare l’iter di molti atti importanti per la vita quotidiana di tutti noi.
L’onestà è una precondizione (e sfido chiunque a dimostrare che Rutelli o Veltroni siano stati Sindaci non onesti) ma accanto ad essa servono molte altre doti,
E lo dico, perché non saprei dirlo meglio, con le parole del giornalista del Post Francesco Costa:
“per amministrare una normale città – figuriamoci Roma – è necessario certamente essere onesti ma servono anchemoltissime altre qualità e ben più rare da trovare, oltre ad avere buone idee e buone intenzioni:
- serve avere una certa esperienza, cosa che Marino non aveva;
- serve avere un mostruosotalento di amministrazione, negoziato e gestione dei problemi, cosa che Marino non ha avuto;
- serve essere un politico esperto e capace, in grado di gestire – da solo o con uno staff – la sua presenza pubblica, le sue dichiarazioni e le pressioni sociali e mediatiche, interessate e disinteressate,che coinvolgono chiunque ricopra quell’incarico.
Marino ha dimostrato di non avere queste qualità.”
In pratica per governare una città enorme come Roma (che ricordo è la piu’ grande città italiana con un territorio pari alla somma dei territori delle 9 città piu’ grandi d’Italia) serve una duttilità ed una flessibilità che Ignazio Marino non ha mai dimostrato di possedere, mancanza di duttilità che è esemplificata da un suo vecchio slogan tirato fuori all’epoca della sua corsa perdente per le primarie a segretario del PD: “i si sono si, i no sono no, il resto è del maligno”.
Questo è fondamentalismo puro, quel fondamentalismo che non ti predispone all’ascolto dell’altro, che vede la realtà in modo manicheo in una logica soltanto di amico-nemico, una realtà in cui non ci sono chiaroscuri.
Ed in un epoca liquida, in cui la città ha perso il suo originale potere ordinatorio di senso, quel potere che qualche millennio fa fece nascere borghi e piazze e luoghi di incontro, in un’epoca in cui i flussi (di merci, di informazioni, di persone) sono diventati più strategici dei luoghi, ecco in questa epoca pensare di governare un agglomerato umano chicchessia (figuriamoci un metropoli come Roma) con la logica dell’on/off significa andare incontro al fallimento, è come andare a caccia di farfalle con una retina dalle maglie molto larghe.
Lo dice molto bene un altro giornalista, Marco Esposito in un suo editoriale su Giornalettismo:
“Roma è una città enorme, fatta da mille interessi, mille problemi e mille criticità. Non è possibile governarla a dispetto di tutti. Dal Vaticano ai commercianti, dai vigili alla macchina del Campidoglio, dal proprio partito di maggioranza al Presidente del Consiglio, da Repubblica al Corriere della Sera. Questo è stato l’errore più grande del sindaco: aver portato avanti il suo mandato come fosse una sorta di guerra santa: trattando chiunque non fosse d’accordo con lui come un nemico, come un “impuro”, come un “mafioso” o un “fascista”.
Roma aveva bisogno, dopo il disastro Alemanno e dopo gli scricchiolii delle ultime fasi di un ormai esaurito modello Roma, di una accuratissima programmazione di interventi manutentori diffusi nella città, non solo le buche e le caditorie ma il decoro e la pulizia. E bisognava aprire la lente di ingrandimento sulle defaillances quotidiane del trasporto pubblico.
Il Sindaco Marino è stato invece individuato da subito come colui che pedonalizzava un pezzo dei Fori imperiali (con una soluzione tra l’altro che non è né carne né pesce creando soltanto, come dice qualcuno, una inutile grande corsia preferenziale senza anima) e non si occupava della periferia dove invece venivano chiusi (penso al teatro di Torbellamonaca) servizi culturali e sociali in piedi da tempo.
E Roma aveva bisogno di una nuova missione, di una nuova grande idea. Che in questi due anni è mancata. Certo alcune cose positive sono state fatte o sono state messe in cantiere (faccio fatica però a riempire l’elenco oltre le dita di una mano) ma governare una città non significa prendere provvedimenti spot uno slegato dall’altro.
Sul sociale ad esempio Veltroni e con lui i Municipi adottarono quello che chiamammo il “Piano regolatore sociale” della città che fu certo l’insieme dei servizi sociali aperti con i piani sociali di zona ma fu una logica di insieme che moltiplicò e rese quei servizi una rete che copriva l’intera città.
O l’idea delle Cento piazze di Rutelli con la quale si provò in molti quartieri a ricostruire una identità in un periodo in cui le identità cominciavano a frantumarsi; o la rete della Banche del tempo ed i concorsi dei balconi fioriti e il concorso ai tempi di Veltroni chiamato idee in Comune che vide il fiorire di una marea di microprogettazioni da parte dei cittadini. E l’azione straordinaria di una donna straordinaria come fu Mariella Gramaglia.
O l’Auditorium diventato un grande centro di propulsione culturale attorno al quale si sviluppava la cultura della città grazie al lavoro del grandissimo Gianni Borgna, lavoro, come mi dissero all’epoca un gruppo di operatori culturali, che portò Roma a surclassare Milano, diventata, prima dell’epoca Pisapia, una città di Provincia.
Ecco in questi due anni (dopo i devastanti 5 anni di Alemanno) si è perso quell’afflato.
E la città, questa grande immensa città che nella sua millenaria storia ha ruminato e metabolizzato tante cose e tante persone, lo ha avvertito. E nel momento del bisogno non si è stretta intorno al suo Sindaco.
E lo dico ancora con le parole esaustive del giornalista Marco Esposito:
“Marino paga il non essere mai riuscito a creare un rapporto con la città e con i romani, sempre trattati con una certa sufficienza, come se fossero una sorta di scolaretti a cui fosse necessario insegnare non soltanto a comportarsi, ma anche a vivere. Le colpe dell’amministrazione diventavano colpe dei cittadini, la spazzatura non raccolta colpa dei romani che non fanno la differenziata, il traffico impraticabile, colpa dei romani che prendono la macchina. Mai un’ammissione di un errore, mai un “è colpa mia”, mai un gesto di umiltà.”
E’ vero, Ignazio è stato un Sindaco marziano. Ma non solo perché era fuori dalle logiche di potere che spesso hanno aggredito la nostra città (e ciò era sicuramente un merito e fu la caratteristica che ci consentì di frenare a Roma l’avanzata dei fondamentalisti a 5 stelle).
E’ stato un Sindaco marziano anche perché caratterialmente lontano dalla energia che attraversa quotidianamente la nostra città, lontano dalla vita quotidiana della gente, privo di quella capacità empatica che portava ad esempio Veltroni ad essere accanto sin dal primo minuto alle famiglia di via Ventotene dopo l’esplosione che abbatté i loro palazzi o che lo portava, senza grancasse e stampa al seguito a partecipare alle esequie di quel ragazzino che si era suicidato gettandosi dal terrazzo di un palazzo di 12 piani.
Privo di quella empatia che nel 1994 portò me, da giovane Presidente di Circoscrizione appena insediato insieme ad un giovane Amedeo Piva, assessore al sociale di Rutelli, a citofonare ad una ad una alle famiglie di via della Stazione Prenestina e ad essere accolti nelle loro case sotto i cui balconi c’era un insediamento abusivo di nomadi con oltre 1500 persone in quello stesso luogo dove Petroselli aveva abbattuto le baracche del vecchio borghetto prenestino messo su negli anni 50/60 dagli immigrati meridionali che non trovavano un alloggio nella nostra città.
In qualsiasi attività e molto di più quando si governa una città per raggiungere gli obiettivi che ci si è prefissi è necessario mettere insieme un sistema di alleanza. E quando si iniziano battaglie contro poteri consolidati (può essere il ras delle discariche o i camion bar dei Tredicine) bisogna tenere bassi altri possibili conflitti.
Perché se si confligge con tutti, dai dipendenti del Comune alle operatrici dei nidi comunali, dagli autisti metro (con tutte le buone ragioni che il Comune poteva pur avere) a quelli di ATAC, dai lavoratori dell’AMA ai Vigili Urbani etc. etc. al momento del bisogno non ti trovi intorno nessuno a difenderti. Anzi in molti faranno a gara per affossarti. Senza essere per forza mafiosi o fascisti.
Non so adesso cosa riserva il futuro alla nostra città e se il Pd di Roma, accogliendo l’appello del Presidente Zingaretti, riuscirà ad alzare la testa sopra i recinti delle correnti che lo hanno in questi anni dilaniato esponendolo all’infiltrazione di cui sono state piene le cronache dei quotidiani.
Ma siano di viatico le parole del sociologo Franco Cassano che in una intervista recente, parlando dell’intreccio tra politica ed attività di governo diceva:
“……per me c’è un punto dirimente: bisogna evitare la via di fuga di una purezza che rifiuta di misurarsi con la prova del governo. Anche Pisapia inizia il suo recente libro rievocando come grande insegnamento della sua esperienza il confronto con la prova del governo, quella prova che ti consente di cambiare il mondo, anche se non quanto vorresti e quanto hai sognato, ma che ti fa dire: valeva la pena di fare politica. Accetto qualsiasi critica, ma rifiuto anche ogni ginnastica etica che si tenga lontana dalle prove, che scorra parallela alla realtà, che giudichi senza provarsi, a metà tra l’anima bella di Hegel e quella macchietta di Bracardi che ripeteva sempre e soltanto: in galera!”
Dati social all'8 febbraio 2016
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Enzo Puro
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Aggiornato al 31 marzo 2018
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