Tu scendi dalle stelle
Il piccolo stratega davanti al Fatto
- Scritto da Ernesto Consolo
- Pubblicato in Roma
Era ora che le bacheche social dei grillini tacessero. Fisiologico. Si avvicina il Natale e il sacro fuoco della lotta politica andrebbe messo da parte. Almeno fino a Capodanno.
Tutto era ben apparecchiato per gli ultimi post prima della Santa Pausa, per ripartire di slancio verso Palazzo Chigi. Il referendum vinto, la Costituzione un buon pretesto per ribaltare tavoli e progetti, la scrofa ferita e lo zampone nel frigo. La strategia degli assalti agli sgoccioli, prima di lasciare il posto a quella delle sortite della nuova gettonatissima pagina “Silenzi e falsità della stampa”.
Gli ultimi post stavano come al solito per prendere possesso delle tastiere, per scacciare via le ultime zecche dell’establishment e fare giustizia. Niente, silenzio tombale. In lunghe serate fredde, il leone da tastiera mette in mostra il cuore da pecora. Anche quelli che sono più presenti sui social, forse perché, per alcuni di loro, unica fonte di ostentata socialità.
Le bacheche grilline tacciono per giorni in una settimana spettrale. Potrebbe essere Facebook che dichiara guerra alle bufale: non è nemmeno questo, ma la giunta Raggi che boccheggia dopo soli sei mesi. Mai avrebbero pensato gli attivisti grillini di vedersi rovinato il Natale dalle intercettazioni di immobiliaristi con fedine penali di spessore, di finanzieri in congedo (con tutto il rispetto) e di “er Gnappa”, ex- gregario della banda della Magliana (con tutto il disprezzo).
L’onestà è perduta. E’ diventata uno zombie che danza, danza e danza ancora. Una fonte battesimale fragorosamente prosciugata. Mentre gli alleati in pectore, come Forza Italia e Fratelli d’Italia, si lanciano per riprendersi i consensi perduti. I voti da lì vengono e lì devono tornare. Per il principio dei vasi comunicanti.
In queste ore convulse il Fatto Quotidiano, ebbene sì proprio il giornale di Marco Travaglio, non prova a stornare l’attenzione dall’arresto di Marra. Anzi. Rincara la dose. Il Fatto parla di “tappo alle indagini” saltato dopo il referendum. In nome dell’opportunismo politico. Come se non bastasse il robusto silenziatore praticato la scorsa estate da Raggi e Di Maio. E con buona pace della “spiccata pericolosità sociale” di Raffaele Marra e della fiducia nella magistratura, sempre sbandierata dalle colonne del giornale di Travaglio. Che di Marra pare proprio un estimatore.
La Raggi ha certo controllato le parole meglio delle sue scelte. Nella conferenza stampa più calda, forse non a suo agio in orario mattutino, ha invece provato goffamente a cesellare responsabilità, isolandosi dentro le mura come un Cola di Rienzo qualsiasi. Col popolo romano come presunto braccio destro.
Anche Robespierre aveva un concetto assai vago del popolo: sconfisse tutti i nemici, ma rimase da solo. Dai presunti maestri della comunicazione ci si aspettava di più: è venuto fuori un sito che addirittura invita a trascorrere il Natale a Berlino oppure a Parigi, insomma altrove. E solo qualche ora prima dell’arresto di Marra, quell’imperdibile video notturno dal vago profumo beckettiano sulle dimissioni della Muraro. Definito mirabilmente “da decrescita felice a decrescita e psicofarmaci” dall’esperta di comunicazione Flavia Trupia (presidente di PerlaRe, Associazione per la Retorica).
D’incanto adesso sembra rinascere anche il direttorio, in nome dell’avversione alla Sindaca. E che proprio per lei era stato disperso. In questi frangenti qualcuno solitamente paga. Marra a parte, che tutto è tranne che uno qualsiasi dei 23.000 dipendenti del comune di Roma.
Pagano, conservando un assessorato, altri due grigi dirigenti. Salvi, per il momento, la Raggi e Luigi Di Maio, chiuso in un irreversibile mutismo e definito non a caso “piccolo stratega” dal collega di partito Giuseppe Brescia. Per un atterraggio più morbido del Movimento.
Casaleggio detta: “Salviamo Virginia, altrimenti affonda Di Maio”. Grillo – proprio quello di “andiamo avanti a colpi di magistratura” – si rifugia negli “atti dovuti” e nell’annuncio di avvisi di garanzia in arrivo. Agli strateghi e’ rimasta così solo la strategia.
Mentre Roma aspetta. La media di una delibera al mese (!) della giunta capitolina trascende la scappatoia della scelta sbagliata, dell’interim come fosse un governo democristiano balneare qualsiasi. Scomodando Winston Churchill, direbbe che potrebbe essere “non l’inizio della fine, ma la fine dell’inizio”.
La spina andrebbe staccata, certo, ma a nessuno è sembrata mai accesa.
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Ernesto Consolo
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Aggiornato al 31 marzo 2018
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