Le radici di una sconfitta. Ed ora ripartire senza più Bersani e soci. Ognuno per conto suo
Una prima analisi della sconfitta del referendum. Un voto contro il governo. Si è coagulato il malessere per la lunga crisi scoppiata nel 2008 e gli interessi colpiti dalla azione riformista. Renzi ha perso un battaglia ma non la guerra
La strategia riformista del governo Renzi è stata senza dubbio sconfitta.
Il referendum ha dato un esito, sul tema molto chiaro.
Ma nel voto solo in parte ha contato il merito della Riforma. E’ stato un voto contro il governo e contro Renzi.
La personalizzazione ci sarebbe stata comunque perché è evidente che da diversi soggetti politici e sociali l’occasione del referendum è stata vista come una occasione irripetibile per dare un colpo durissimo al giovanotto di Rignano sull’Arno.
L’intero arco delle forze politiche italiane, comprese le minoranze delle minoranze dem, si è schierata per il NO. E da tempo per me era chiaro che il risultato non poteva essere diverso.
In un periodo in cui fortissimi soffiano i venti dell’antipolitica, in cui tutti i governi del vecchio continente sono messi in discussione, era evidente che questi venti avrebbero toccato anche il nostro paese.
I dati e le cifre ufficiali stanno lì ad indicare che in questi due anni l’azione del Governo Renzi ha prodotto una inversione di tendenza. Ma molti commentatori fanno finta di non sapere che la crisi globale del 2008 è stata devastante, una crisi che in Europa ed in Italia ha bruciato milioni di posti di lavoro, ha visto un restringimento dei redditi, ha visto banche fallire, ha seminato sfiducia e paura. E fanno finta di non sapere che fino all’avvento del governo Renzi la ricetta applicata è stata quella del rigore e della austerità, una ricetta che, come dimostrano ormai una pletora di economisti di scuole anche diverse, ha aggravato la malattia facendo tra l’altro crescere un sentimento fortissimo contro le Istituzioni.
E quindi, malgrado i numeri positivi, (la disoccupazione è scesa dal 12,8 all’11,7, il PIL è aumentato dell’1,6%, ci sono 656.000 occupati in più di cui i 3/4 a tempo indeterminato, il reddito delle famiglie è aumentato del 3,6% e sono aumentati i consumi del 3,3%, il deficit è sceso dal 2,7 al 2,3, l’export è aumentato del 7,4%, la produzione industriale è aumentata del 2,3%) ancora non si ha la percezione di un futuro sereno e tranquillo, troppo alta ancora la disoccupazione, troppe le situazioni di crisi, troppo bassi ancora salari e stipendi per non parlare delle pensioni.
E’ questo il clima in cui per due anni e mezzo ha lavorato il governo Renzi, a cui un abile e non efficacemente contrastata strategia delle forze contrarie al riformismo del PD ha ricondotto tutte le responsabilità della crisi (esempio eclatante di questo ribaltamento della verità è stato il caso delle crisi bancarie, frutto di decenni di malapolitica e di mancati interventi, dove gli interventi razionali e giusti del governo Renzi sono stati letti come un favore ai banchieri ed agli speculatori, dimenticando che i governi precedenti, quando ancora era consentito, non sono intervenuti con soldi pubblici come fece invece la Germania per salvare correntisti e d obbligazionisti).
Una situazione oggettivamente non favorevole quindi ad una forza di governo riformista e non populista.
A questo dato strutturale ed oggettivo (gli effetti devastanti sulle famiglie della crisi del 2008) si aggiunge un dato soggettivo. Gli effetti di molte riforme hanno colpito interessi e categorie potenti.
Basti pensare alla potentissima (più di ogni politico) categoria dei Dirigenti ministeriali che con la Riforma della P.A. vedevano perdere moltissimo del loro potere assoluto e moltissimi dei loro privilegi.
Basti pensare all’enorme ruolo che il premier ha consegnato nelle mani dell’autorità anticorruzione di Cantone.
Ma non sto qui a fare l’elenco, è evidente che una strategia di cambiamento, in un paese cristallizzato e clientelarizzato e bloccato, provoca sommovimenti contrari molto forti.
A mio avviso persino gli ex giudici della Corte Costituzionale hanno agito sulla base di una paura di perdere i loro privilegi e le loro pensioni d’oro, una casta che al referendum (nascosta dietro il velo dei grandi principi) ha votato in gran parte NO.
In questo clima era evidente che dovesse avere la meglio chi chiedeva un voto di pancia, contro il governo, un NO che non era contro la riforma costituzionale ma contro chi da un lato veniva ritenuto responsabile dei propri malesseri e dall’altro veniva visto come un potenziale nemico dei propri privilegi.
Il voto del Sud è illuminante. Non credo che Siciliani e Calabresi siano diventati tutt’a un tratto dei difensori della Costituzione più bella del mondo. In Sicilia ad esempio ha votato NO lo stesso popolo che tanti anni fa elesse con il Mattarellum 61 parlamentari su 61 indicati da Berlusconi, non certo un campione ed amante della Costituzione italiana.
Anche qui è un intreccio tra malessere e paura di perdere i propri privilegi.
Pensate ad esempio al meccanismo, che ai più è sfuggito, dei Patti territoriali dove c’è una cogestione virtuosa, dove l’uno controlla l’altro, tra Governo e Regioni (le quali quindi non possono più gestire incontrollate i flussi di investimenti) e dove c’è un ruolo predominante dell’ANAC di Raffaele Cantone. O la paura dei Consiglieri Regionali siciliani che prima o poi l’ondata riformista avrebbe toccato anche le loro prerogative (ed i loro stipendi) da Regione a Statuto speciale. E la certezza dei Consiglieri delle altre Regioni meridionali che la Riforma avrebbe intaccato i loro emolumenti, diretti ed indiretti.
Ed è stato semplice per demagoghi meridionali vecchi e nuovi (dai grillini a Mastella e Totò Cuffaro, detto vasa vasa, passando per i silenziosi consiglieri del PD) soffiare sul malcontento (e caro Saviano non sbagliare un'altra volta analisi).
Di fronte a tutto questo ritengo inessenziali le quisquilie che parlano del carattere di Renzi, del suo egocentrismo, del suo aver personalizzato il referendum.
Quello che so è che oggi l’Italia è più debole e meno credibile in Europa, che senza Renzi non ci sarà più nessuno che sferzerà la UE ad essere rispettosa dei suoi valori fondanti e che si batterà contro gli egoismi nazionali. Vedrete come si ricomincerà con la dettatura dei compiti e con il “ce l’ha detto l’Europa”.
Per questo che non capisco l’esultanza ed i sorrisi stampati sulle facce della minoranza della minoranza dem.
Avete poco da ridere.
Perché questo risultato non certifica certo la fine di Renzi che ha solo 41 anni, ha tante frecce nel suo arco e soprattutto ha risvegliato un grandissimo entusiasmo per l’impegno politico in tanti suoi vecchi e nuovi sostenitori, un entusiasmo disinteressato e proiettato sul futuro.
Loro invece sono cupi e tristi. Isolati dalla base del PD (mi ha meravigliato tantissimo l’enorme massa di commenti negativi ad un post assurdo di Bersani sulla sua pagina facebook, senza una voce amica che lo difendesse).
In questi giorni sono come le mosche cocchiere che attaccati alla criniera del cavallo credono di essere loro a guidarne la corsa, o come il topolino che si infiltra nella corsa della mandria di elefanti e pensa di contribuire a quell’enorme fracasso.
Sono, però, molti i militanti del PD che non vogliono avere più nulla a che fare con questi figuri e che condizionano la loro permanenza nel PD alla loro espulsione.
Questa gente (gli Emiliano, I Bersani, i D’Alema, gli Speranza, i Gotor, i Di Traglia) ha consciamente lavorato per dare un colpo al governo riformista di Matteo Renzi.
E non si può fare finta di nulla.
Io stesso non rinnoverò la tessera del PD se questa gentaglia non sarà mandata via. Non abbiamo nulla in comune. Loro sono antropoliticamente molto diversi e lontani da me.
Quel PCI a cui loro dicono (a torto) di ispirarsi per molto ma molto meno, ai tempi di Longo e Berlinguer, espulse quelli del Manifesto.
Renzi ha perso il Referendum. Ha perso una battaglia ma non la guerra.
Ripartiamo da quei 13 milioni e mezzo di voti, elettori che certo hanno votato consapevoli di quello che votavano ma che sapevano in gran parte anche che il loro voto sarebbe stato un sostegno a Renzi e non si sono tirati indietro.
Alle politiche quelli del NO si divideranno in tante formazioni politiche contrapposte. Quelli del SI invece avranno un solo punto di riferimento, per riprendere il cammino.
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Enzo Puro
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Aggiornato al 31 marzo 2018
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