L’importanza dei numeri e la cautela nel giudizio delle riforme
I dati dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps resi noti ieri, aggiornati ad agosto 2016, hanno suscitato reazioni contrastanti
- Scritto da Annamaria Parente
- Pubblicato in Politica
Innanzitutto per sgombrare il campo da ogni equivoco va precisato che i dati dell’Osservatorio sul precariato dell’INPS considerano le posizioni contrattuali dal punto di vista fiscale a differenza dei dati ISTAT che sono indagini campionarie sul numero di occupati, disoccupati e inattivi in un determinato momento. Partiamo dai numeri e dalle buone notizie. Andando ad analizzare i dati si nota come nei primi otto mesi del 2016, nel settore privato, si registra un saldo, tra assunzioni e cessazioni, pari a +703.000, decisamente superiore a quello registrato nei primi otto mesi del 2014 (+540.000).
Certo c’è un lieve calo rispetto allo stesso periodo del 2015 (+813.000).
Ma continuiamo con i dati positivi, 120.000 licenziamenti in meno rispetto al 2014, crescono i contratti di apprendistato + 18,8%.
Su base annua il risultato incoraggiante del saldo tra assunzioni e cessazioni è imputabile alla crescita dei contratti a tempo indeterminato il cui bilancio ad agosto è pari a + 514.000.
Ora affrontiamo alcune criticità emerse dal dibattito pubblico: il minore aumento dei contratti a tempo indeterminato rispetto al 2015 e la crescita dei licenziamenti per giusta causa.
La prima importante lettura che va fatta è che, mentre nel 2015, primo anno del nuovo contratto a tempo indeterminato, l’incidenza delle assunzioni e trasformazioni agevolate era stata pari al 60,8%, nel 2016 si è ridotta al 32,8%. Questo dimostra che lo stimolo delle agevolazioni ha funzionato e inciso come prevedibile nel primo anno, ma che comunque nel 2016 circa il 70% dei nuovi contratti a tempo indeterminato è nato senza alcuna agevolazione fiscale.
Possiamo dire quindi che il contratto a tempo indeterminato comincia a “camminare con le proprie gambe” e che la fiducia delle imprese nell’assumere stabilmente i propri lavoratori sta crescendo. Per completare questo percorso orientato allo sviluppo occupazionale Governo e Parlamento avranno ora il compito di spostare le risorse destinate alle agevolazioni temporanee per le assunzioni, in via di esaurimento, all’abbattimento strutturale del costo del lavoro tra i più alti in Europa. Misura già prevista per il 2017.
Riguardo all’aumento dei licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo nel 2016 rispetto al 2015 avremmo certamente bisogno di informazioni più approfondite su dove questi sono avvenuti: in aziende sotto o sopra i 15 dipendenti.
Prima di passare a un giudizio sugli effetti del Jobs Act è bene ricordare che la fotografia fornita dall’Inps è passibile di cambiamenti perché i dati sono informazioni meramente amministrative e quindi possono subire variazioni per effetto di ritardi di comunicazioni o di rettifiche da parte di aziende o di accertamenti realizzati dall’Inps stessa.
Inoltre, questi numeri dell’Inps, che riguardano i dipendenti del settore privato, andrebbero letti in quadro sistematico insieme a quelli pubblicati dal Ministero del Lavoro, tratti dalle comunicazioni obbligatorie che comprendono tutti i rapporti di lavoro dipendente e parasubordinato, e delle cifre dell’Istat sulla forza lavoro, che considera l’occupazione nel suo complesso.
I numeri sono utili anche per noi decisori di politiche occupazionali e per l’opinione pubblica, se non sono parziali e se analizzati con la dovuta attenzione e con il necessario approfondimento al fine di migliorare il nostro agire per il bene del Paese.
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Annamaria Parente
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Aggiornato al 31 marzo 2018
Senatrice, promotrice della rete dei Comitati Basta un Sì per lo Sviluppo e il Lavoro
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