Perché sto con i Mazzalupi di Ferie d’Agosto
Il popolo non vota la sinistra. Perché sente di essere schifiltato dalla sinistra a trazione radical chic. E perché di quella sinistra non ama la supponenza, la boria, il complesso di superiorità. E tutto il mondo è paese, “Gauche caviar” in Francia e “Toskanafraction” in Germania, “Smoked salmon socialist” in Irlanda “sinistra del vino rosso” (rodvinsvanster) in Svezia, la”esquerda festiva” in Brasile e “l’aristerà tu saloniu” (sinistra da salotto) in Grecia
Domanda: perché la sinistra che teoricamente è per definizione dalla parte dei più deboli e del popolo non è votata proprio da quelli che dichiara di voler difendere?
Al di là di ogni raffinata e necessaria analisi sulla composizione di classe contemporanea, sul carattere prismatico che ha assunto la nostra personalità, sulla frammentazione di ogni aggregato sociale, sulla ormai dominante reversibilità di senso e sulla perdita del valore ordinatorio e classificante di ogni significato, ecco al di là di tutto questo, nel farmi questa domanda di base, mi viene in mente Ferie d’agosto il bellissimo film di Paolo Virzì che credo tutti a sinistra conoscono.
E’ un film che ho rivisto di recente in TV.
E l’ho rivisto registrando un mio mutato stato mentale.
In passato nella contrapposizione tra la famiglia intellettuale e di sinistra che ruota attorno al personaggio di Silvio Orlando e la famiglia romana e caciarona, plebea e non impegnata dei Mazzalupi ho sempre tifato per la prima.
Qualche settimana fa invece mi sono scoperto a tifare per i Mazzalupi e capire tutti i limiti dell’intellettualismo di sinistra radical chic che negli ultimi 25 anni è stato il punto di riferimento della sinistra italiana sia riformista che gruppettara.
Limiti che in un bel post sul suo blog Umberto Minopoli riassume così: “La sinistra perde perché è antipatica, sovrappone al senso comune i propri precetti. Crede di incarnare per decreto i valori della civiltà. Tratta i sentimenti popolari come arretratezza primitiva. Le piace essere pedagogica. E perde”.
Indelebile nel film di Virzì è la scena in cui Silvio Orlando come protesta alla caciara popolaresca e vociante dei vicini Mazzalupi si mette a recitare a voce alta Riviere di Montale,“ bastano pochi stocchi d'erba spada penduli da un ciglione sul delirio del mare…….”.
E bene stanno a commento di questa scena quanto scrive sempre Minopoli e cioè che “con la sinistra elitaria supponente, conservatrice arrendevole a tutti i cascami del politicamente corretto, pedagogica e senza popolo, la democrazia rischia di doversi chinare ai demagoghi.”
E non c’è alcun dubbio che l’atteggiamento irridente e supponente di certa sinistra nei confronti del ragazzotto della provincia fiorentina che, fregandosene del politicamente corretto, ha rotto gli schemi e si è divincolato da questa classica tipologia di uomo progressista (e non per caso non viene considerato tale), dicevo appunto che quell’atteggiamento irridente ha le sue basi in questo elitarismo supponente.
Ma non voglio parlare di Renzi.
Voglio supportare invece la mia tesi ed il sostegno che ho dato questa volta alla famiglia Mazzalupi con quanto scritto tempo fa da Ritanna Armeni che analizzò l’antropolitica di certa sinistra, largamente egemonica per anni e che spero, dopo l’uscita di scena di Berlusconi, esca di scena anch’essa (anche se a tutt’oggi occupa pienamente l’informazione televisiva e non).
Una sinistra che esiste in tutto il mondo e di cui la Armeni elenca i diversi modi con cui, da paese a paese, viene indicata: è la “Gauche caviar” in Francia e “Toskanafraction” in Germania, sono gli “Smoked salmon socialist” in Irlanda e la “sinistra del vino rosso” (rodvinsvanster) in Svezia, la”esquerda festiva” in Brasile e “l’aristerà tu saloniu” (sinistra da salotto) in Grecia.
E la Armeni in questo suo vecchio articolo ci racconta una verità scomoda e cioè che il “popolo non ama la sinistra, anzi gli sta abbastanza antipatica. E del resto neppure la sinistra ama così tanto il popolo ed i poveri”.
E quando diciamo popolo o poveri il riferimento non è certo ai mendicanti ai disperati o per altro verso agli operai sindacalizzati.
Il popolo che la sinistra di un certo tipo odia è, riassume la Armeni, “quella famiglia che all’Autogrill si ingozza di panini e parla con un tono di voce esagerato”.
Popolo sono “quei giovinastri che tengono l’autoradio a tutto volume e se ne sbattono del fracasso che provocano, le donne con la busta della spesa che sgomitano in autobus, tutti quelli che vanno al cinema solo a Natale e non sanno fare alcuna distinzione fra il gusto dell’aspirina e quello del tartufo.
Popolo sono quei “tanti che bevono il vino meno costoso del supermercato e non lo trovano così diverso dal Barolo più raffinato, che si fanno prestare il giornale dal vicino solo per sfogliare le pagine sportive.
Popolo sono le donne che tengono la televisione accesa tutto il giorno, le ragazze che aspirano al top leopardato, la casalinga che strilla al mercato perché l’hanno fregata sul peso della verdura.
Lo incontriamo questo popolo e ci pare cafone, maleducato, aggressivo, malvestito. Sgomita e strilla, rubacchia allo Stato quando può, non rispetta le file, si arrangia in tutti i modi, anche non sempre legittimi, e tira avanti
Per questo la sinistra non li sopporta e cerca di dimenticarli.
O meglio, li dimentica fino alle elezioni quando si accorge che “il popolo” non vota più per lei. Che si è rotto qualcosa, e questo ha ripercussioni anche sui consensi.”
Fu verso gli inizi degli anni 90 che cominciammo a percepire questa distanza e fu quando ci accorgemmo che gli operai delle fabbriche del nord votavano Lega Nord ed erano iscritti magari alla Fiom Cgil.
Ma questa giusta percezione non ci portò ad una revisione radicale dei nostri paradigmi e del nostro senso di superiorità. Anzi l’aristocraticismo elitario da ceto medio riflessivo si accentuò maggiormente, sotto l’egemonia culturale dei maitre a penser di Repubblica e del gruppo De Benedetti.
E sta qui il segreto per cui ci siamo tenuti Berlusconi per oltre un ventennio, quel popolo lo votava ogni volta, soprattutto perché, sottolinea la Armeni, “èdifficile pensare di essere rappresentato da chi ti sta antipatico e che – lo senti – nutre per te un malcelato disprezzo”.
E siccome, come ci insegna Drew Westen, il neurologo della mente politica, è difficilissimo estirpare una sinapsi neuronale che si è formata nel tempo; è evidente che per la sinistra, oltre al rinnovamento di uomini e programmi, si pone il tema di ribaltare questa sua immagine tanto radicalmente odiata e sostituire la sinapsi esistente con una nuova, più empatica, meno supponente, meno aristocratica.
Credo sia questo uno dei compiti che si è assegnato Matteo Renzi.
E ad oggi, a meno che non nascano nuove figure di leader, è l’unico che ce la può fare.
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Enzo Puro
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Aggiornato al 31 marzo 2018
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