Perché la sinistra ha sbagliato ed è diventata una forza con insediamento sociale minoritario?

Abbiamo creduto di avere ragione ma vedevamo vincere le destre, dappertutto. Provo a capirne il motivo, aiutandomi con le riflessioni di Franco Cassano. Gli avversari hanno saputo fare alleanze ed esprimere egemonia. La sinistra si è rintanata nel suo sempre più ristretto universo di riferimento

Letto 5414
Perché la sinistra ha sbagliato ed è diventata una forza con insediamento sociale minoritario?

Franco Cassano nel suo pamphlet “Senza il vento della storia” prova ad inquadrare gli errori della sinistra nella epoca de cambiamento e ci ricorda che uno degli effetti della globalizzazione e della conseguente iniziativa del capitale finanziario mobile ed appunto globale è stato il vorticoso allargamento oceanico del campo di gioco.

E che questo allargamento “ha messo in crisi tutti i riferimenti tradizionali della sinistra” a partire da quello Stato nazionale a cui la sinistra si era affidata per presidiare le sue conquiste.

La globalizzazione è stata una mossa del cavallo che ha ribaltato le antiche certezze: mettendo in crisi, proprio nel momento in cui la sinistra si era innamorata dello Stato, quello stesso Stato che fino a qualche decennio prima voleva abbattere e che considerava il cane da guardia del capitalismo.

E come ha reagito la sinistra a questo ribaltamento?

Cassano ci dice che di “Di fronte a questo radicale mutamento dell’orizzonte ed al sottrarsi dei movimenti del capitale ad ogni controllo, il riflesso prevalente della sinistra è stato quello difensivo”.

E che invece di elaborare un pensiero all’altezza del nuovo paradigma (che abbatteva diritti in Occidente ma metteva in moto miliardi di persone nel resto del mondo) la sinistra si è fatta prendere dalla paura (che aveva basi oggettive in occidente) che “tale universo liquido potesse travolgere ogni forma di protezione dall’incertezza e dalla precarietà.” E la paura gli ha fatto perdere lucidità.

E quella sinistra che aveva alla base una tradizione progressista e cosmopolita (proletari di tutto il mondo unitevi!) percepirono quel mondo che si allargava (perché anche questo è stata la globalizzazione) come qualcosa di cui aver paura. Tutto il contrario dell’internazionalismo della sua grande tradizione.

E la sinistra ha reagito in modi diversi a questa paura. Tutti sbagliati o inadatti alla sfida.

Ci fu chi reagì con una forte carica di utopismo e radicalismo altermondista guardando oltre la linea del presente e descrivendo il presente stesso come un breve momento di passaggio. Non tenendo conto, scrive Cassano, che “disdegnando tutto ciò che affolla il presente come un breve interludio, ci si condanna ad andare a sbattere continuamente contro gli spigoli della realtà e le sorprese che essa ci riserva.

Gli interludi si protraggono ben oltre previsioni e la maggior parte della vita la si passa aspettando l’arrivo di qualcuno che forse ha dimenticato l’appuntamento.”

Ed è una forma mentale propria non solo della sinistra più radicale (quella per capirci che si ispira alle teorie delle moltitudini di Tony Negri) ma anche di pezzi antichi della sinistra cosiddetta riformista che spesso sembrano anch’esse aspettare l’arrivo di qualcuno che forse ha dimenticato l’appuntamento.

Un'altra risposta, a sinistra, alla paura provocata dall’irrompere del nuovo paradigma mondiale della globalizzazione (economica, finanziaria, sociale, culturale tranne che politica) fu la scoperta delle radici territoriali, il ri-radicarsi nei luoghi senza progetti a lungo raggio.

Poiché la deterritorializzazione e la transnazionalizzazione dei poteri ha prodotto l’effetto, che è sotto gli occhi di tutti, di far passare il potere nelle mani di oligarchie inarrivabili ed invisibili, allora come risposta questa sinistra, dice Cassano, “preferisce le relazioni corte e calde come le uniche sulle quali è realistico investire fiducia, poiché permettono di poter tenere sotto controlli i mutamenti, nelle quali la responsabilità non è affidata ad interlocutori evanescenti, ma a gruppi sociali e persone concrete.

Il territorio appare come il legame più affidabile, come un oasi di terra stabile sull’oceano planetario, dove tutto muta continuamente seguendo linee imprevedibili.”

Questa sinistra mette da parte ogni pensiero a largo raggio in quanto ha in sospetto ogni passaggio che trascende e va oltre le piccole comunità ed i territori, accusandolo di essere strumento delle elites globali sottratte ad ogni regola e ad ogni sanzione e che sottraggono sovranità ai territori.

E se è vero che “l’affermazione monetaria e finanziaria disegna un quadro di fronte al quale è difficile non sentirsi impotenti come di fronte al moto dei pianeti” è pure vero che “l’estensione del sospetto a qualsiasi prospettiva universalistica, vista come inevitabilmente consegnata alle manipolazioni dei poteri forti (se non addirittura come un loro diretto prodotto) recide un tratto essenziale della sinistra, il suo appello ad una fraternità larga ed alla costruzione di istituzioni capaci di garantirla.”

Quindi in questo mondo senza speranza, dove la felicità può essere raggiunta solo nelle piccole comunità omogenee avremmo da un lato oligarchie sconosciute ed inarrivabili che controllano uno spazio economico che non è alla nostra portata, lontano ed intangibile, dentro un mondo aperto ed indeterminato, dove la libertà è accompagnata dalla insicurezza, l’individuo dalla solitudine, dall’altro avremmo invece “una comunità calda, coesa, omogenea e attraversata da un sentimento di solidarietà e reciprocità, ma tanto più calda e solidale quanto più chiusa e diffidente verso l’esterno”

A questa critica qualcuno risponde dicendo che bisogna federare questi piccoli mondi ma ci ricorda Cassano che “per collegare mondi è necessario provare a pensarli insieme da subito, ad astrarre e rappresentare”

Perché il primo passo per costruire una relazione più larga è quello di capire che il prossimo non è solo quello che sta vicino a te, vive nello stesso luogo ed ha lo stesso tuo sentire.

E per compiere questo primo passo bisogna sapere che “l’astrazione non è soltanto allontanarsi dal proprio ma far entrare nel proprio campo visivo gli altri. Identificare l’astrazione, non solo quella delle istituzioni democratiche, con l’alienazione, guardare con sospetto qualsiasi tentativo di trascendere il mondo che ci circonda, ogni spinta alla mobilità tra i luoghi ed oltre i luoghi: è proprio questo pregiudizio a regalare il mondo ai poteri forti.

E chi pensa di poter riproporre da sinistra questo percorso come inizio di una nuova storia è condannato a ripetere la vecchia, piena di false partenze.

Si pensa di essere all’alba di un nuovo giorno che come Godot tarda ad arrivare. E si lascia un enorme campo libero all’avversario.

Non si dovrebbe mai dimenticare che la concretezza e la prossimità posseggono anch’esse un lato d’ombra.

Chi diffida del deserto di ghiaccio dell’astrazione dovrebbe allenarsi a diffidare anche del calore soffocante della concretezza e della prossimità.”

Franco Cassano dopo aver dimostrato i difetti di alcune risposte della sinistra (quella radicale ed altermondista e quella localistica, delle piccole battaglie comunitarie) analizza la questione da un altro punto di vista per capire errori e difficoltà della sinistra negli ultimi 30 anni.

Quello che è accaduto in questo lasso di tempo è stato descritto da tantissimi autori, sociologi ed economisti sia un forma apologetica che in forma molto critica.

Dopo l’esaurimento del grande compromesso tra capitale e democrazia, (l’era cioè delle grandi conquiste socialdemocratiche, quei “gloriosi trent’anni” di cui si parla spesso), per superare l’accumulo di domande che la democrazia aveva rovesciato sul sistema economico e per abbattere il peso di questo accumulo, furono avviate profonde riforme. Riforme con le quali “il capitale conquista una grande libertà di movimento smantellando con irridente leggerezza le rigidità, le libertà ed i diritti conquistati in precedenza attraverso l’espansione della democrazia: le nuove riforme procedono nella direzione contraria a quella che seguivano le vecchie ed il loro cuore è il ridimensionamento dei diritti conquistati.”

Perché la sinistra si è trovata impreparata a questa controffensiva e si è trovata isolata incapace di trovare una sua via?

Franco Cassano dà una risposta illuminante. La sinistra ha sbagliato e si è trovato impreparata perché ha trattato la nuova fase come fosse “una banale restaurazione” un ripristino delle condizioni esistenti prima del compromesso socialdemocratico in voga nei gloriosi trent’anni.

La sinistra non ha capito che il capitale ha usato i nuovi strumenti non solo per cumulare privilegi e rendite mai viste ma per allargare il campo di azione andando a cercare “nuovi profitti laddove nuove occasioni si profilavano”.

In pratica non è stato fermo né ha ripristinato la situazione precedente la seconda guerra mondiale ma “ha cambiato il gioco, mutato tutti gli schemi, allargato il numero dei partecipanti, ha costruito alleanze, ma anche avviato nuovi conflitti.”

In pratica ha trasformato il suo vantaggio di parte (conseguente all’abbattimento dei vincoli imposti dalla Democrazia) in benefici anche per altri ed il gioco a somma zero tra il capitale ed i suoi storici competitori è diventato un gioco a somma positiva tra molti, in una parola, dice Cassano, “ha fatto alleanze ed egemonia”.

E non capire questo ha reso difficile per la sinistra (riformista o radicale che fosse) organizzare una controffensiva.

E non è sufficiente, per quanto necessario, denunciare come una liturgia ripetitiva l’indecenza dei nuovi “privilegi e la crescita vorticosa delle disuguaglianze” ed è insufficiente perché “il capitale ha saputo intrecciare ad essi una rete larga di figure cointeressate alla possibilità di sviluppo ed alle vie di ascesa sociale aperte dalla nuova dinamica della globalizzazione, le mille facce di una rivoluzione passiva, una forma della rivoluzione che si rivela molto più frequente e facile di quella attiva.”

Questa intelligente attività egemonica ha schiacciato sempre più la sinistra sul suo vecchio insediamento sociale, quello legato alle conquiste del compromesso socialdemocratico e lo ha fatto “acutizzando la contraddizione tra chi di quelle conquiste usufruisce e chi invece ne rimane per via di fatto o di diritto escluso.”

Cosa deve fare allora la sinistra di fronte ad un mondo che ha mutato profondamente le proprie coordinate adottando paradigmi radicalmente altri rispetto a quelli su cui essa “aveva costruito il proprio insediamento sociale”?

Per provare a rispondere a questa domanda cruciale bisogna innanzitutto prendere atto che il mondo scaturito dalla globalizzazione (sociale, economica finanziaria) non è frutto di un “banale e retrivo processo di restaurazione del mondo precedente” e che per giunta “il capitale ha saputo fare egemonia incrociando il proprio interesse alla spinta dei paesi emergenti”.

Naturalmente capire tutto ciò non significa dover considerare gli equilibri raggiunti come gli unici possibili e non significa rinunciare alle critiche sistemiche sui costi umani e sociali prodotti (bisognerebbe farlo con gli strumenti giusti e non con le categorie analitiche che si usavano per la precedente formazione economico sociale).

Significa semmai che “alla egemonia del capitale bisogna invece tentare di opporne un'altra, costruendo un blocco sociale capace di tenere insieme, in una fase storica diversa, le ragioni dei diritti e quelle della competitività, superando vecchie polarizzazioni ed invitando giocatori abituati a contrapporsi a giocare insieme per produrre un vantaggio comune.”

La sinistra deve cambiare il gioco, rovesciare sull’avversario quello che invece è il proprio isolamento e per fare questo si deve partire da “una ricognizione disincantata della condizione di logoramento alla quale la base sociale della sinistra storica è esposta ormai da tempo”.

Il suo insediamento è ormai minoritario e da molto tempo il popolo (nella sua nuova configurazione frammentata e prismatica) ha scelto altre vie e “non si può proiettare il film all’indietro, riguadagnare una identità che si è venuta logorando.”

Si rende necessario allora, per abbandonare una fase solo difensiva, contemperare il mondo dei diritti con il mondo dell’impresa e fare interagire il mondo della cultura con il mondo della produzione. E questo per allargare lo spazio politico del proprio insediamento guardando oltre la propria storia.

E non ci sono diritti che possono essere difesi se non si allarga l’area delle figure che la sinistra ambisce di rappresentare.

“Costruire un blocco sociale nuovo e più largo – afferma con forza Cassano -- non è come aggiungere sulla stessa scacchiera nuove pedine a quelle vecchie: richiede una mutazione profonda e impegnativa, una temporalità più complessa, uno sforzo più generoso. Non è una mossa tattica, comporta ricavi ma anche costi.

Bisogna resistere alla patetica tentazione di scomunicare il mondo che viene, di sublimare una vecchia gioventù a danno di quelle successive.

Solo chi si impegna in modo radicale ad apprendere dal mondo ha il diritto di insegnare qualcosa e di provare a mutare il corso del letto in cui esso scorre.”

Letto 5414

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Enzo Puro

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Aggiornato al 31 marzo 2018

 

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