Fermatevi. Per carità
Torna il linguaggio aggressivo, di guerra, balcanico, inconciliabile, da guerra civile
- Scritto da Umberto Minopoli
- Pubblicato in Politica
Pensavamo di esserci liberati dell’Italia plumbea del ventennio 1994-2014: una brutta Italia. Segnata dalla guerra civile tra berlusconismo e antiberlusconismo. Per me di centrosinistra ma riformista fu un’Italia peggiore di quella della “prima Repubblica” della Dc, del Pci e del Psi.
Nei vent’anni della seconda Repubblica l’Italia ha visto peggiorati tutti i suoi indicatori economici e sociali: il Pil è sempre declinato o ristagnato; la produttività e la competitività del paese sono peggiorate; la disoccupazione è cresciuta a livelli record; il debito pubblico è esploso; la spesa pubblica è andata fuori controllo; la tassazione è divenuta insostenibile; gli investimenti si sono fermati.
Ad un’economia in ristagno permanente si è accompagnato un degrado progressivo della qualità e dell’efficienza delle istituzioni pubbliche a tutti i livelli. La qualità media della vita degli italiani è peggiorata, i divari si sono accresciuti. E così le disuguaglianze. L’Italia ha perso peso internazionale e attrattività per investitori esteri. L’industria è arretrata: interi settori e specializzazioni industriali sono deragliati: tra crisi, vendite all’estero e delocalizzazioni.
La politica italiana, nei 20 anni in questione, ha perso autorevolezza e capacità di incidere. Nessuna grande riforma è stata realizzata (eccetto qualcuna del ministro Bersani ma poi, sempre vanificata). Le riforme istituzionali sono sempre state al palo. In cambio abbiamo avuto riforme elettorali che hanno solo aumentato l’instabilità politica.
La sinistra, nel ventennio, ha visto precipitare la sua crisi verticale. Si è trattato di una sinistra impotente, smorta e subalterna. E mai competitiva. L’Ulivo nacque per surrogare la crisi della sinistra. Ma l’Ulivo ebbe un tale elevato tasso di condizionamento della sinistra radicale e massimalista, da fallire del tutto sia come capacità di governo che come coalizione elettorale.
Al punto che la sinistra dovette inventarsi una nuova strada e un nuovo partito: il Pd. Che nacque, carissimo amico Bersani, abbandonando la sinistra radicale, l’Ulivo perdente e fondendo la sinistra di governo con la tradizione politica e culturale dei cattolici popolari. Per dar vita ad un partito non più di sinistra ma di centrosinistra.
Non bastò. Il Pd non riuscì mai a diventare veramente a “vocazione maggioritaria”. E a vincere da solo delle elezioni politiche. La cultura politica del Pd, infatti, era rimasta, patologicamente, prigioniera di “minoritarismo”: con le ideologie del ventennio imperanti, il giustizialismo, l’assenza di autonomia dalla magistratura come soggetto politico, culture bloccanti (l’ecologismo e l’ambientalismo antindustriali), il massimalismo e la paralisi sindacale).
Il Pd ha avuto gli stessi difetti, limiti e problemi della sinistra perdente che aveva sostituito il Pci. I cattolici popolari nel Pd si sono omologati alle mode di una sinistra minoritaria. E non hanno arricchito il Pd della tradizione moderata e di governo della cultura dei cattolici popolari.
Sia l’Italia che il Pd e la destra, tutti e tre in crisi profonda, avevano bisogno di una svolta. Il segnale della crisi verticale di destra e sinistra fu la nascita dei 5 stelle e di un’Italia politica esasperata, protestataria, ribollente di rabbia antipolitica.
La crisi è precipitata nel 2011: con lo spread dei tassi e al ciglio del collasso economico, del default e della cacciata dall’euro, ci salvò Giorgio Napolitano. E ci salvarono i governi tecnici. Che surrogarono l’impotenza della politica e ci portarono fuori dall’emergenza.
Nel 2012, usciti boccheggianti dall’emergenza, grazie a Napolitano e a Monti, destra e sinistra promisero di cambiare. E dissero: “mai più come nel ventennio precedente”.
Si promise di tornare ad una dialettica politica normale: non più da guerra civile paralizzante. Si promisero riforme e cambiamenti. Si promise una legge elettorale che desse stabilità ai governi. Il centrosinistra, tutto (compresa la minoranza Pd) propose Renzi. Con un nuovo programma di promesse di riforme e innovazioni. La destra, invece, si squagliava.
I primi due anni di Renzi hanno mantenuto, in parte, le promesse. Ci sono state riforme importanti. Il governo è apparso veramente nuovo e di svolta. Non siamo ancora alla crescita economica. Ma il peggio è alle spalle. Abbiamo una nuova legge elettorale.
Potremmo affrontare i due anni dalla fine della legislatura in tranquillità: il governo completando i suoi programmi di riforme e tornando ad occuparsi di più di economia; le opposizioni costruendo una alternativa competitiva alle elezioni; la minoranza del Pd incalzando il programma di Renzi nel partito senza compromettere la stabilità del “loro” (del Pd) governo.
Sarebbe un modo civile, europeo e normale di comportarsi.
Invece siamo di nuovo alla “guerra civile”. Sono tornati tutti i difetti del ventennio: rissosità, instabilità, estremismo delle opposizioni, protagonismo della magistratura, blocco di ogni opera perché’ utile al governo, della paralisi. Si vuole la crisi di Renzi subito e senza aspettare elezioni politiche. Per fare che cosa? Quale governo?
Torna il fantasma dell’emergenza, dei governi tecnici, delle manovre politiciste, degli accordi sottobanco. E torna il linguaggio aggressivo, di guerra, balcanico, inconciliabile, da guerra civile. In uno stesso partito l’uno delegittima l’altro con accuse da paese sottosviluppato e pre-moderno: “sei subalterno alle lobby”, ai poteri forti, ai petrolieri ecc. E, fino a ieri, alla Merkel, alla Banca di Francoforte, ai tedeschi ecc.
Un linguaggio da trogloditi: vecchio e noioso. Ma tale da rendere la politica ancor più paralizzata e impotente.
Fermatevi un attimo. E passatevi la mano sulla coscienza!
Articolo originale apparso QUI
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Umberto Minopoli
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Aggiornato al 31 marzo 2018
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