Da Pertini a Nilde Jotti a Di Maio
Mafie e doverose dimissioni
- Scritto da Ernesto Consolo
- Pubblicato in Politica
Diceva Indro Montanelli che gli Italiani sono un popolo di contemporanei. Privi di qualsiasi memoria storica. Concentrati sulle news quotidiane, giusto il tempo dello scorrimento della striscia.
Eravamo a metà gennaio 2016, quando il Corriere della Sera pubblicava un'intercettazione telefonica dalla quale emergeva che Di Maio e i vertici del M5S erano a conoscenza delle infiltrazioni camorristiche nell'amministrazione grillina del comune di Quarto. E non avevano fatto alcunché; nessuna denuncia come dottrina grillina ed etica imporrebbe, invitando anzi i referenti locali a "tenere la vicenda bassa".
Quando qualche giorno fa Di Maio ha accusato il Governo di aver bloccato i fondi per le famiglie delle vittime di mafia, ha inevitabilmente attivato quel residuo di memoria storica di cui disponiamo. Il vicepresidente della Camera è riuscito a farsi smentire, in ordine alfabetico, da Alfano, Bindi, Boschi e Don Ciotti. Ed a dimenticare che l'anno scorso il fondo è stato potenziato del 40%.
Di Maio abbandona dunque la scuola da grand commis de l'état, che sembrava stargli su misura, per gonfiare un qualsiasi reparto vendite dello sciacallaggio. Sull'altare della lotta alla mafia.
Di blocco dei fondi gli rispondono che "non sa di cosa parla". Ma è il brand del Movimento nuovo, di trolley e di governo, prima paladino del senso civico, ora intento a fiutare col nuovo senso, però cinico. E in nome della velocità, ancor più sacrosanta come nella canzone dei Pan del Diavolo, via con nuove frasi ad effetto.
Di dimissioni invece, che sarebbero sacrosante, neanche a parlarne.
Di Maio può scivolare allo scranno che era di Sandro Pertini e Nilde Jotti. Tocca anche a lui rimpolpare il megastore del programma grillino, che ormai, se cerchi di definire, finisci come chi va dalla chiromante per sapere se l'omeopatia lo guarirà.
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Ernesto Consolo
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Aggiornato al 31 marzo 2018
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