Ecco perché l’avventura di Renzi è solo all'inizio
La vera storia di Matteo Renzi deve ancora iniziare, è questo il motivo per cui è ancora sotto il fuoco incrociato, malgrado sia fuori da tutto. La estrema semplicità del suo messaggio odierno. La sua è una battaglia politica e culturale dal respiro lungo. “La signoria del tempo sulla politica è implacabile. Tutto muta freneticamente. Quando arriverà il momento del viaggio, ci saremo. Credono di averci seppellito e non hanno capito che siamo semi”.
Un fantasma si aggira per i talk show delle tv pubbliche e private. È il fantasma di Matteo Renzi, evocato ad ogni piè sospinto per continuare l’opera di demolizione della sua immagine iniziata quando, dopo la straordinaria vittoria delle Europee 2014, l’intero establishment italico cominciò a temere che quel barbaro di Rignano sull’Arno, avulso dai salotti in cui in Italia si “ruminava” da sempre il potere, potesse fare sul serio.
Ma perché, se Matteo Renzi è oggi fuori da tutti i centri di potere e si limita a svolgere diligentemente il suo ruolo di Senatore della Repubblica ed a dare, in questo ruolo, il suo contributo politico e culturale, perché ancora è sulla bocca di tutti e non c’è trasmissione politica in cui il suo nome non aleggi continuamente?
Noi una risposta a questa domanda ce l’abbiamo.
Sta avvenendo questo perché in tanti hanno capito che per questo giovane ormai adulto di soli 44 anni (che iniziò la sua avventura a soli 38) la vera storia deve ancora iniziare.
E che la sua avventura politica non è certo finita ma ha di fronte una lunga strada.
Bisogna solo dare tempo al tempo.
Di questo l’establishment, che con la sua sconfitta alle politiche del 2018 aveva tirato un sospiro di sollievo, ne è pienamente consapevole e quindi continua a bombardare imperterrito i suoi alloggiamenti.
E bombardano schiumanti di rabbia di fronte alla vitalità delle folle che accorrono alla presentazione del suo libro, di fronte al fatto che la TV francese lo chiama ad un contraddittorio con Marie Le Pen, di fronte al tutto esaurito a Londra per la presentazione di “Un'altra strada”, di fronte alle parole disinteressate di due grandi filosofi come Bernard H. Levy ed Umberto Galimberti che lo elogiano come un vero innovatore, di fronte alla annunziata nascita della sua Fondazione in stretto rapporto con la Fondazione di Obama e quella di Bil Clinton.
Qualche mese fa, rispondendo ad Umberto Contarello, uno dei più importanti sceneggiatori italiani, intellettuale raffinato e colto, che amichevolmente gli rimproverava l’assenza da protagonista sulla scena politica e lo invitava a riaffermare il suo “io” contro la melensa propaganda del “noi”, Matteo Renzi rispondeva con una lettera in cui si condensavano le sue intenzioni future.
Scriveva Matteo Renzi:
“In politica la memoria è fondamentale, ma la nostalgia è inutile, forse persino dannosa. Oggi è tempo di scrivere una pagina nuova.
Davanti agli sciacalli e ai prestanome che guidano questo governo, la battaglia è culturale. Figurati se ho paura, Umberto. E certo non mi dimetto dall’Io. In questi anni ho sopportato il silenzio davanti a servitori dello stato che dicevano “Dammi le prove per arrivare a Renzi, devo arrestare Renzi”. Ho sopportato la calunnia sui bambini dell’Africa e sui voli di stato, sui regali di Natale e sui dati del Jobs Act. Ho sopportato i voltafaccia di chi per anni si stendeva adorante al mio passaggio e oggi finge di non avermi conosciuto e i tradimenti di chi ha ancora un presente in politica perché ho combattuto a mani nude per lui. Ti immagini se posso avere paura di mettermi in marcia?
Lo zaino è lì, sempre pronto, come ai tempi degli scout quando bastavano una bussola e una borraccia per renderci autonomi. Abbiamo tante storie gonfie di fantasia da raccontare e soprattutto da scrivere. Ma bisogna saper scegliere i tempi. La signoria del tempo sulla politica è implacabile. Tutto muta freneticamente, specie in queste ore. Quando arriverà il momento del viaggio, ci saremo.”
Bisogna saper scegliere i tempi, appunto. Non bisogna avere, come amo dire io, “ansie da prestazione”.
Non c’è dubbio che le primarie del PD abbiano momentaneamente (ma solo momentaneamente a mio avviso) cambiato lo scenario dentro cui si fa politica nel centrosinistra.
In molti, come dicevamo qualche riga fa, suonano la fine politica di Matteo Renzi (soprattutto i conduttori di talk show e gli editorialisti, i quali però poi sanno che per fare audience nei loro programmi o per vendere qualche copia in più dei loro giornali hanno bisogno di invitarlo ed intervistarlo, perché è l’unico dei politici che alza lo share e che incuriosisce!!).
Dentro il PD invece, dopo le primarie, corre un brivido restaurativo che diventa sempre più fremente man mano che si scende giù per li rami. Ovunque riappaiono le terze fila di quella classe dirigente che, dopo aver dominato per un trentennio dentro il centrosinistra, si era dovuta fermare un giro e dare spazio ad una classe dirigente abbastanza nuova e giovane che quello spazio se l’era preso nell’unico modo in cui era possibile prenderlo e cioè a spintoni e rotture e che è stata vissuta come una classe dirigente usurpatrice.
Riprendono fiato vecchi dinosauri come il filosofo Cacciari che in preda ad un vero e proprio delirium tremens, urlano, come se fossero degli Sgarbi qualsiasi, contro Renzi ed i renziani chiedendone la messa al muro per fucilazione politica.
Il nuovo segretario del PD, immagine rassicurante contrapposta alla barbarie decisionista del fiorentino, da un lato lancia un segnale positivo ed importante, come ha apprezzato Matteo Renzi dalla Annunziata, andando a visitare come primo atto da segretario la Torino SI TAV di Chiamparino e delle “madamin” ed una fabbrica del frusinate salvata da un imprenditore illuminato che l’ha rilevata e rilanciata grazie al Jobs act ed al piano di industria 4.0, due capolavori, a mio avviso, del renzismo, dall’altro nelle interviste non sembra distanziarsi da quell’abitudine antica di parlare in sinistrese stretto, quel linguaggio che da decenni non parla più al popolo ma solo ad una élite di sinistra che analizza le parole come gli aruspici nell’antica Roma analizzavano le viscere degli uccelli.
Poi ci sono i seguaci di Renzi. Ed ognuno di loro, nel vastissimo mare dei social, si erge ad interprete del “renzipensiero”.
C’è chi lancia appelli alla fuoriuscita del PD, chi invece strizza l’occhio a Zingaretti, chi aspetta da parte di Renzi un via che, come la intendono loro, a mio avviso non arriverà mai.
Pochi di loro però si soffermano sulla semplicità estrema del messaggio che Matteo Renzi sta lanciando in maniera chiara con il suo libro “Un'altra strada” (messaggio che aveva anticipato nella illuminante risposta ad Umberto Contarello); messaggio poi chiosato e raccontato con i discorsi tenuti davanti ad affollatissime platee (folle molto diverse e più vere, meno interessate, di quelle che si affollavano quando il ragazzaccio di Rignano, sulla soglia dei suoi 40 anni, era l’uomo più potente d’Italia) e con le interviste televisive a raffica.
Provo a dirla così.
Viviamo un’epoca in cui il centrosinistra deve evitare, come amo dire spesso, le ansie di prestazione, un’epoca in cui per combattere e sconfiggere il pensiero dominante non serve urlare al fascismo imminente ed al cialtronismo di chi ci governa. Per riuscire a sconfiggere per sempre la bestia sovranista e populista è necessaria una battaglia culturale prima che politica condotta con il ritmo del passista, cioè di quei grandissimi ciclisti (penso ad Eddy Merckx ed a Felice Gimondi) che non vincevano con gli scatti improvvisi ma con la lenta e potente accumulazione di energia sui pedali.
Oppure, sempre per usare un'altra metafora sportiva, una battaglia culturale prima che politica condotta con la testa alta, con gli occhi che non guardano il pallone ma guardano l’intero campo da gioco (da tifoso romanista, un tempo molto acceso oggi molto meno coinvolto, amavo Paulo Roberto Falcao per questo).
E bisogna, appunto, saper scegliere i tempi.
Ecco, Matteo Renzi ha preso il ritmo del passista e sta con la testa alzata a studiare quello che avviene nel mondo (perché deve essere chiaro che la sconfitta del marzo non è avvenuta per colpa di un caratteraccio ma ha le stesse origini di altre sconfitte come quella dei democratici USA, quella inferta da Bolsonaro in Brasile, quella che ha visto la scomparsa di interi Partiti socialisti dalla scena, il greco, il francese, l’olandese, che ha visto i nazisti riaffacciarsi dentro il bundestag tedesco ed ha visto la rottura della Brexit).
E di fronte alla piena sovranista l’atteggiamento del ragazzaccio fiorentino non è come quello del giunco che si piega al passaggio della piena del fiume per rialzarsi come prima quando la piena è passata.
È anche questo sicuramente, ma è soprattutto l’auspicio di un lavorio costante, continuo, culturale che cambi addirittura il corso del fiume e lo indirizzi verso altri valori, verso l’apertura contro la chiusura, verso la verità contro le bugie, verso l’Europa contro i nazionalismi ed i sovranismi falsamente identitari.
Non serviranno le librerie nelle nostre sedi, non serviranno i co-working (iniziative utili ed auspicabili) se queste sedi non saranno in grado di interpretare il mondo che è profondamente cambiato da quando quelli della mia età cominciarono ad occuparsi di politica (e per non restare in superficie con la giaculatoria dei tempi che sono cambiati ho provato ad affrontare il tema negli articoli che troverete dentro questo link: Fordismo, post fordismo, società della informazione. La crisi epocale della sinistra di fronte ai cambiamenti. Capitolo 1 di 4).
Alla base dei ragionamenti di Matteo Renzi c’è la convinzione (che io ho da tempo) che le sorti future del centrosinistra e quindi del paese non si decidono ai Congressi del PD, assise che appaiono sempre più come il luogo in cui si dovranno consumare le piccole vendette tra capi corrente, ripristinando vecchi riti e vecchi linguaggi ed alzando ammuffiti vessilli senza più significato.
Renzi, sia a chi gli chiede pressantemente la creazione di una nuova forza politica sia a chi gli chiede un impegno in prima persona dentro il PD come leader, oggi, della opposizione interna, risponde con una mossa che sembra il “balzo della tigre”, rapido, veloce, scattante, inaspettato.
Non acconsente a nessuno dei due percorsi che giudica politicisti e troppo autoreferenzialii e punta invece ad un autonomo protagonismo in cui la sfida consiste nel “provare a ricostruire un senso di comunità. Siamo ad un bivio, in Italia deve rinascere la voglia di impegnarsi in politica ed a me oggi interessa accendere quel fuoco”.
Renzi prende atto che la sinistra è in crisi nel mondo, non solo in Italia. E prende atto che il PD non basta, aggiungendo che “la forma più efficace di opposizione viene da pezzi di mondo politico e culturale che non stanno nel Pd, che non stanno nei partiti. C’è un fermento della società civile: la marcia di Torino, le iniziative a Roma contro Virginia Raggi e l’amministrazione Cinque stelle. Le capitali del grillismo civico hanno mandato segnali fortissimi. C’è più energia in questi comitati che nei partiti tradizionali”.
Una lunga ed inedita battaglia politico/culturale.
E capisco chi si sente “stranito” da questa scelta, capisco chi non capisce che non è guardando solo la palla e non l’intero campo da gioco che si traccia il futuro, capisco meno chi si lamenta del fatto che Matteo Renzi non ha fatto una sua corrente per la quale chiedere posti e prebende. Lo dico a tanti miei amici, vecchi e nuovi, non è soffermandosi sull’oggi che troviamo la nostra strada.
Quando faccio questi ragionamenti c’è sempre qualcuno che mi dice “va bene, però nell’immediato che facciamo?”.
Ecco questa è una domanda sbagliata. La domanda giusta è un’altra: “cosa ci dobbiamo portare appresso, quali strumenti del nostro cassettino degli attrezzi dobbiamo mettere nel nostro zaino e quali provviste stipare sapendo che la strada è lunga e difficile?”
Ed a 44 anni si ha davanti a sé tutto il tempo per percorrerla questa strada soprattutto se, come dimostrano i contenuti del suo ultimo libro, si hanno le idee e la voglia di farle camminare.
Matteo Renzi, con il suo riformismo che rompe con le antiche abitudini di un paese invecchiato, è solo all’inizio del suo percorso politico.
E ciò che è stato seminato nei 1000 giorni è solo un primo, piccolo, pezzo di una lunga strada tutta da percorrere. Chi si affanna a dichiarare seppellito Matteo Renzi e noi tutti non ha capito che eravamo dei semi, ci metteremo tempo a diventare pianta ma alla fine saremo alberi e poi foresta.
E chiudo con una cosa che ho trovato in un post su facebook scritto da un tizio che lo aveva appena ascoltato alla presentazione del libro “Renzi sa che tornerà più forte che mai. Non gli interessa, ma lo sa. Ha previsto tutto il giorno che si è dimesso, istintivamente ha avuto la visione di quello che accadrà. Sa quello che fa, sa quello che non deve fare, sa quello che faranno gli altri. Renzi è in viaggio da tempo, insieme a tutti noi."
Post scriptum.
Per tutti quelli che sono appassionati delle analisi del voto e soprattutto dell’analisi delle sconfitte allego i link di alcuni articoli in cui vi potrete divertire con queste analisi (magari però non saranno le stesse che fareste voi).
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Enzo Puro
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Aggiornato al 31 marzo 2018
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