Quando il populismo mina le basi della libertà
I populismi e alcuni partiti del fronte anti-renziano si sono opposti alle riforme costituzionali ed hanno indotto gli italiani, manipolandone le coscienze, alla bocciatura referendaria. Sommessamente, però, si prepara una riforma della Costituzione che trasformerà la nostra Repubblica Parlamentare in uno Stato giustizialista senza che la gente capisca come e perché
- Scritto da Fabrizio Pulvirenti
- Pubblicato in Politica
In questi giorni di concitata campagna elettorale per le regionali siciliane più volte, alcuni commentatori, hanno scritto su alcuni miei post frasi del tipo “temete la vittoria dei 5 stelle” oppure “la vittoria sarà a 5 stelle; tremate!”, ecc. Ho sempre risposto che, sì, temo la vittoria dei 5 stelle ma per motivi che nulla hanno a che fare con la campagna elettorale e con le elezioni regionali. Credo sia giunto il momento di spiegare perché.
Quando, alla fine del 2016, sono state rimesse alla volontà popolare con lo strumento referendario le modifiche alla Costituzione ideate dal Partito Democratico, tutti gli oppositori hanno sostenuto che Matteo Renzi avrebbe stravolto i princìpi fondamentali della Carta e a nulla (o poco) è servito chiarire quei princìpi non sarebbero stati minimamente alterati. Ho cercato di spiegare più volte che, paragonando i princìpi fondamentali alla concessione edilizia per edificare un palazzo, la riforma costituzionale proposta sarebbe equivalsa al regolamento condominiale che avrebbe consentito di amministrare quel palazzo senza nulla togliere al principio sacrosanto della necessità della concessione edilizia per poter tirare su quel palazzo. Ma a nulla è valso.
I diritti fondamentali della Costituzione, tuttavia, sono minacciati (sul serio, stavolta) da un’altra forza politica che ha in mente alcune modifiche della Carta che, davvero, potrebbero sovvertire l’ordine democratico del Paese.
Andiamo con ordine per cercare di capire.
Il primo articolo della Carta Costituzionale che si vorrebbe cambiare, l’articolo 27, fissa che: “La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva […]”. Strettamente legato alla presunzione di innocenza di ogni imputato è l’articolo 111 della Costituzione il quale stabilisce che “[…] Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata. […]”. Questo particolare aspetto del Diritto, sostanzialmente, sancisce che un processo di qualsivoglia natura, non può durare all’infinito ma deve avere tempi certi e, possibilmente, contingentati affinché il cittadino accusato possa riacquistare nel più breve tempo possibile, se innocente, la propria libertà personale (intesa ovviamente nella più ampia accezione, ivi comprese le libertà politiche e civili) oppure, se colpevole, conoscere la propria pena. A regolamentare tale diritto sancito dalla costituzione è l’articolo 157 del Codice Penale il quale impone la durata del processo per tutte le sue fasi; l’articolo in oggetto, infatti, stabilisce la prescrizione di un reato, ovvero lo estingue, se la durata del processo supera il tempo massimo della durata della pena per quel reato. La prescrizione, pertanto, costringe la Magistratura ad attenersi a tempi strettamente parametrati per completare il processo. Che cosa hanno voluto sancire i Padri Costituenti e il Legislatore con quanto è stato esposto? Si è voluto sancire il “diritto” di qualsiasi cittadino a essere considerato persona innocente fino a prova contraria e il “diritto” ai tempi certi della procedura di accertamento di un eventuale reato e della commisurazione della pena. Chiaro? Ma come cambierebbe tale diritto con le riforme proposte?
La deriva populista e giustizialista, impressa con pericolosa accelerazione negli ultimi anni soprattutto da alcune forze politiche che hanno fatto proprie le tesi visionarie di taluni alti esponenti della magistratura, vorrebbe che qualsiasi cittadino venisse considerato colpevole fino a prova contraria; chi pensa, infatti, che “l’imputato assolto non è un innocente ma un colpevole che l’ha fatta franca” introduce, con toni morbidi (mica tanto, poi) e la sua faccia pulita, proprio quella inversione del diritto che dicevamo prima giacché, in tale visione, basta già il sospetto per rendere colpevole qualsiasi cittadino. Per fortuna, in questo tema, ci vengono in aiuto le parole di Giovanni Falcone il quale, quasi a smontare questa ipotesi visionaria, ha detto che “la cultura del sospetto non è l’anticamera della verità; è l’anticamera del khomeinismo”. Qui non c’entra nulla l’etica, la morale o altri bei concetti tra il filosofico e il teologico; ciò che è importante mettere a fuoco è qualcos’altro, è il potente strumento che si vorrebbe mettere nelle mani della magistratura per assecondare quella voglia di inversione (se non di sovversione) perseguita per anni da molti. Infatti, se un qualsiasi cittadino può essere considerato colpevole fino a quando le prove non siano contrarie e se si dovesse abolire del tutto la prescrizione (si consideri che il più recente provvedimento “sospende” la prescrizione per un tempo massimo di 18 mesi dopo la sentenza di condanna in primo grado) un qualsiasi magistrato potrebbe perseguitare all’infinito quel cittadino. Proviamo a immaginare un’arma del genere nelle mani di un qualsiasi politico di un qualsiasi partito o movimento cui un qualsiasi magistrato possa essere solidale o amico che voglia iniziare a perseguitare per un qualsiasi reato (presunto o vero, non importa) un qualsiasi suo avversario; cosa succederebbe? Quella persona, fino a prova contraria, sarebbe considerata colpevole e – in questo modo – automaticamente esclusa da qualsiasi competizione. Ma anche per il cittadino comune le cose non sarebbero affatto semplici. Immagino un qualsiasi torto fatto a un magistrato (per esempio un accidentale graffio da parcheggio alla sua auto, giusto per piacere del paradosso): con uno strumento del genere in mano potrebbe quel magistrato essere legittimato a perseguitare praticamente all’infinito il malcapitato cittadino; con buona pace dell’imparzialità.
L’altro articolo che si vorrebbe sovvertire è il 67, quello relativo alla libertà del parlamentare; l’articolo recita “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Questo aspetto è molto controverso ed è altrettanto delicato. Imporre a tutti i parlamentari, per norma e regolamento, di non potere essere liberi, di essere vincolati al “ducetto” che ne ha consentito l’elezione è un modo velato di “blindare” il Parlamento che in questo modo diventerebbe la longa manus di chi stabilisce le linee politiche; imporre il “vincolo”, pertanto, equivale a trasformare il Parlamento in un mero esecutore di ordini che provengono da parti terze, verosimilmente nemmeno presenti in aula, che dirigono da lontano l’azione politica. Certamente il “vincolo di mandato”, fortemente voluto dai sostenitori di queste riforme, eviterebbe i cosiddetti “cambi di casacca” e le “maggioranze fluide”, ma – ed è utile soffermarsi un momento sull’argomento – in quali sistemi non vi è contraddittorio? In quali sistemi non vi è la possibilità di esprimere opinioni diverse da quelle del leader? In quali sistemi la “voce del padrone” deve essere una e una soltanto? Siccome mi piace il gusto del paradosso faccio un esempio limite. Mettiamo il caso che la linea politica dettata a un dato gruppo o partito o movimento sia l’approvazione della pena di morte per i furti d’auto; mettiamo il caso che un gruppo di parlamentari – per motivi etici, filosofici, religiosi e perfino personali – siano contrari a tale provvedimento e vogliano opporsi a un tale disegno. Con il vincolo di mandato tali parlamentari sarebbero costretti (fine della libertà di pensiero; amen!) alla dimissione; a quel punto sarebbero sostituiti da chi? Probabilmente da altri parlamentari “più fedeli alla linea” e, in tal modo, coloro che pilotano da remoto le scelte politiche avrebbero l’assicurazione di vedere approvati tutti i provvedimenti per i quali si stanno impegnando. Quello raccontato è, naturalmente, un caso limite; ma siamo davvero certi che il tutto funzionerebbe meglio con il “vincolo di mandato”? Sia chiaro che i “cambiacasacca” non piacciono nemmeno a me; tuttavia non mi piacciono nemmeno le limitazioni del pensiero e dell’azione politica ed è pertanto necessario trovare altri sistemi per evitare oscillazioni delle maggioranze senza limitare in alcun modo la libertà personale e politica del parlamentare.
Le riforme che taluni vorrebbero, come si vede nella pur breve e incompleta esposizione, sono quelle che (davvero, questa volta) potrebbero sovvertire i princìpi fondamentali della Carta Costituzionale, primo tra tutti il diritto a essere liberi. Ma davvero vogliamo trasformarci in una Repubblica Popolare? Pensiamoci!
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Fabrizio Pulvirenti
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Aggiornato al 31 marzo 2018
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