Siamo tutti figliastri
I lavoratori pubblici non hanno più diritti di quelli privati. Vi spiego perché.
- Scritto da Sandra Pagani
- Pubblicato in Lavoro Pubblico
Seguito degli articoli I pubblici dipendenti un volàno per il rilancio del Paese e Lavoro Pubblico: il blog si anima
Caro Manrico, è sempre un piacere ritrovarmi nei tuoi scritti. La passione per l’alta funzione che il Costituente assegna ai pubblici dipendenti e alla pubblica amministrazione ci accomuna e ci entusiasma, certamente più che ai governi di questo paese che si sono succeduti negli ultimi decenni. Dici bene che nessun esponente dell’attuale esecutivo ha (ancora) definito fannulloni i lavoratori pubblici. Ma sei sicuro, aldilà del linguaggio politicamente corretto, che non lo pensino veramente?
Il dubbio sfiora la certezza quando leggo le dichiarazioni del Sottosegretario Zanetti (Sc), che il 17 marzo scorso definisce i pubblici dipendenti “figli” e i lavoratori privati “figliastri”, in quanto vi sarebbe un presunto (e come vedremo inesistente) privilegio legislativo a favore dei primi.
Quella di Zanetti, o del governante di turno, è la solita ignoranza legata ad anni di controinformazione massiccia, dove il privato è "bello" e il pubblico è “brutto”. Le ragioni di questa politica di comunicazione, purtroppo riuscitissima, è stata funzionale alla svendita delle aziende pubbliche a privati, per lo più stranieri, e alla esternalizzazione dei servizi pubblici a ditte private, alimentando i noti malaffari, soprattutto nei settori ambiente e sanità.
Ma i dati sfidano qualsiasi ignoranza e dimostrano che la situazione è esattamente opposta quella che si vuol far apparire, poiché oggi ci troviamo di fronte a un contesto normativo dove è evidente che i lavoratori del settore privato sono riusciti a mantenere saldi i loro diritti mentre i dipendenti pubblici, complici anche organizzazioni sindacali inadatte a rappresentarli con la necessaria efficacia, hanno perso proprio quei diritti che grazie alle lotte degli anni 60 e 70 avevano conquistato.
Per essere più precisa faccio alcuni esempi.
I lavoratori pubblici hanno i contratti bloccati dal 2009, i privati no;
Le donne del pubblico impiego possono andare in pensione, a parità di anzianità contributiva, più tardi di quelle del settore privato;
I dipendenti pubblici hanno decurtazioni stipendiali sui giorni di malattia, i privati no;
I privati hanno una tassazione ridotta sul salario accessorio, i lavoratori pubblici no;
I lavoratori pubblici devono aspettare 24 mesi prima di prendere la liquidazione, i privati no.
E queste sono solo alcune delle differenze, a scapito del settore pubblico, ma ve ne sono molte altre (lavori usuranti, previdenza complementare, fasce orarie di reperibilità in caso di malattia, etc…) su cui potremmo soffermarci a lungo.
L’obiettivo dell’operazione mediatica messa in atto penso sia ormai chiara: si continua ad affermare che i lavoratori pubblici sono dei fannulloni o dei privilegiati, per consentire di farne carne da macello, senza che la pubblica opinione si indigni, anzi!
D’altronde hai giustamente riportato i dati del CENSIS che certificano questa disaffezione diffusa dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione.
Quindi che fare? Come porre un limite a questa feroce e scientificamente pianificata operazione di comunicazione, per cui fa notizia solo la pubblica amministrazione che non funziona rispetto a quella che funziona?
Occorrerebbe cambiare prospettiva, occorrerebbe che ci fosse spazio, nei giornali, nei telegiornali e nei vari talk show, di articoli e servizi sulla pubblica amministrazione che è efficente, di impiegati che non prendono mazzette e per questo gli bruciano la macchina e vengono minacciati, di persone che non si alzano dalla sedia neanche per andare al bagno per consentire di rispondere alle richieste dell’utenza, del salario accessorio legato alle risultanze di indagini di customer satisfaction (ben prima che la norma le prevedesse), della pubblica amministrazione che si reca a casa del cittadino in difficoltà per consentirgli gli espletare le pratiche che gli necessitano.
Per aiutare a ristabilire una verità oggettiva sul pubblico impiego ci vorrebbe un modo di fare giornalismo che non voglia solo vendere e fare audience assecondando i luoghi comuni e la pancia della gente, un giornalismo che fosse veramente obiettivo e indipendente e magari anche un sindacato che ritorni a svolgere la propria funzione di difesa dei lavoratori pubblici e che sia portatore di proposte concrete volte ad un cambiamento reale. Un sindacato che non si nasconda dietro il motto gattopardesco “cambiare tutto per non cambiare nulla” per il timore di dover cambiare anche se stesso.
Possiamo solo augurarcelo.
Dati social all'8 febbraio 2016
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Sandra Pagani
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Aggiornato al 31 marzo 2018
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