Agenzia Entrate. Autonomia o malagestione?

La sentenza della Consulta sugli "incaricati" è l'occasione per rendere possibili i necessari processi di ricambio e più trasparente l'azione dell'Agenzia. Nell'interesse dei suoi addetti, ma soprattutto dei cittadini

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Agenzia Entrate. Autonomia o malagestione?

Da giorni la stampa nazionale e lo stesso dibattito politico è animato da quello che si può definire un vero e proprio conflitto istituzionale tra il Direttore dell’Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi e il Sottosegretario del MEF Enrico Zanetti.

Che, bisogna dirlo, non se le stanno certo risparmiando.

La prima fa sempre più trapelare la sua insofferenza per critiche che proverrebbero da un commercialista prestato alla politica, che quindi sarebbe (per usare un eufemismo) poco sensibile alle politiche antievasione. Il secondo, invece, è convinto che l’Agenzia abbia in questi anni occupato un ruolo diverso da quello che gli spetta, arrivando a formulare molte volte le leggi, o comunque ad interpretarle, oltre che applicarle, utilizzando allo scopo una strutture che, per quanto concerne la classe dirigente, si è formata sul campo o, per meglio dire, è stata “costruita in casa” senza procedure pubbliche e senza neanche percorsi interni aperti e trasparenti.

Ma siamo proprio convinti che sia una diatriba tra un Sottosegretario in cerca di visibilità e un Direttore dell’Agenzia, brava tecnica ma poco avvezza alle uscite pubbliche, o, invece, le questioni sono più generali e riguardano complessivamente il rapporto tra il Governo e il mondo che oggi la Orlandi rappresenta?

Le prime schermaglie risalgono a quasi subito dopo l’insediamento della Orlandi al vertice dell’Agenzia, quando in particolare emersero, non solo nelle sedi istituzionali, ma anche sulla stampa, critiche dell’Agenzia alle politiche fiscali e antievasione del Governo Renzi.

Ma sono esplose poi in modo crescente dopo la sentenza della Corte che ha dichiarato incostituzionale il sistema di attribuzione degli incarichi dirigenziali basato sul reitero, per più anni, di una norma prevista dal regolamento di amministrazione di Agenzia in sede di prima attivazione (2001) per far fronte ai primi adempimenti. Norma che prevedeva l’attribuzione provvisoria di funzioni dirigenziali con relativo stipendio e retribuzione di posizione e di responsabilità a funzionari interni in attesa dell’attivazione di specifiche procedure concorsuali.

Concorsi che in questi quindici anni non sono mai stati espletati perché bloccati da ricorsi che ne denunciavano l’irregolarità perché tagliati su misura proprio per sanare queste posizioni temporanee.

Subito dopo la sentenza l’Agenzia ha ricercato nuovamente (l’aveva più volte già fatto negli anni scorsi a seguito di diverse pronunce della magistratura amministrativa arrivando a proporre e a far approvare una specifica norma, poi dichiarata illegittima dalla Corte) una soluzione legislativa per continuare a mantenere al proprio posto gli incaricati, ma su questo il Governo è stato irremovibile.

Nessuna sanatoria, attivazione invece di un procedura concorsuale pubblica per il numero di posti già nel tempo autorizzati ma mai coperti per i ritardi e gli intoppi in cui come dicevamo sono incespicate le procedura delle Entrate.

A fronte di tale posizione il vertice dell’Agenzia invece di predisporre le azioni per lo svolgimento del concorso ha continuato a ricercare a tutti i costi una soluzione interna, contravvenendo alle indicazioni del Governo, cercando sponde sia da parte del fronte sindacale (quello meno libero e comunque interessato alla sanatoria) che su quello politico, proponendo di fatto emendamenti e facendo balenare sulla stampa la prospettiva che senza questa operazione di salvataggio l’Agenzia si sarebbe bloccata e non si sarebbero raggiunti gli obiettivi di recupero dell’evasione assegnati in Convenzione.

E tutto questo pressing, spesso sguaiato e demagogico, ha portato alla fine all’adozione di soluzioni transitorie, pasticciate e fortemente discutibili come quelle delle deleghe di firme retribuite (acronimo POT Posizioni Organizzative Temporanee retribuite come una posizione dirigenziale di quarta fascia).

Una fase che dura ormai da sette mesi e che non solo ha accentuato le distanze tra il Governo e l’Agenzia, ma ha contribuito a creare un clima interno all’Agenzia molto difficile in quanto la restante parte del personale (circa 39.000 di cui 25.000 funzionari) non ha accettato l’idea che a far funzionare la macchina siano solo i dirigenti generali e gli incaricati, quasi come se non fossero invece loro ogni giorno a garantire il funzionamento di una struttura complessa e articolata su centinaia di Uffici e migliaia di sportelli.

Così come non appare molto opportuna e corretta l’equazione, pure proposta, che la decisione del Governo di non aver voluto accedere all’idea della sanatoria abbia indebolito la lotta all’evasione.

Viviamo una delle fasi più difficili del rapporto fisco contribuenti per una normativa ancora farraginosa e spesso incomprensibile, un’azione mirata in questi anni a riscuotere a tutti i costi, ad un rapporto con Equitalia visto come braccio operativo dell’Agenzia che tutto si può dire tranne che abbia agito in sintonia con quello che doveva essere il suo nome.

E’ giusto quindi riprendere il rapporto fiduciario tra amministrazione e cittadino, evitare lungaggini e intermediari più o meno costosi e interessati, rendere facile l’assolvimento dell’obbligo tributario.

Coniugare il contrasto all’evasione con un fisco che non si attacchi ai formalismi, che non eserciti il suo potere per far sentire i cittadini deboli di fronte alla struttura è cosa giusta.

Chi scrive quindici anni fa partecipò alla fase progettuale e costitutiva delle Agenzie e condivise la bontà di un modello organizzativo che slegando l’attività operativa dalle pastoie e dai vincoli burocratici potesse permettere il dispiegarsi di un’azione antievasiva e di offerta di servizi ai contribuenti molto più efficace ed efficiente di quello che poteva garantire il modello ministeriale.

Così come ero e sono convinto che sia necessario distinguere le responsabilità tra chi decide le politiche fiscali, fa le norme e chi invece deve applicarle.

Quindi penso di poter dire la mia senza essere considerato un commentatore dell’ultima ora.

La distinzione tra politica e amministrazione è alla base del buon funzionamento delle democrazie.

Ma l’autonomia operativa dell’Agenzia non può essere slegata dal rispetto di alcune regole, in quanto poi si rischia l’autoreferenzialità.

Fare un accertamento o una verifica o un rimborso è questione delicata e quindi le regole che debbono presiedere alla gestione ed alla selezione della classe dirigente debbono essere trasparenti e soggette a verifica.

Non è detto che dal concorso pubblico arrivino da subito i migliori dirigenti, ma non è detto che dall’interno le scelte di chi chiama a dirigere Uffici o settori direttamente siano i migliori o soprattutto i più liberi da condizionamenti.

Specie se questa autonomia e questa libertà di azione i vertici la chiedono e la rivendicano solo per questo e non invece ad esempio per riconoscere la professionalità degli altri funzionari e degli impiegati, o per riconoscere incrementi salariali basati sul merito o ancora per evitare tagli.

Dalla situazione di questi mesi bisogna però uscire e al più presto.

Evitando che l’Agenzia delle Entrate diventi luogo di scontro politico, specie all’interno del partito di maggioranza, con un vertice che si schiera con pezzi di quel partito per essere tutelato nei confronti del Governo.

  • Si confermi l’autonomia organizzativa ma si ridefiniscano in modo chiaro le attività e gli ambiti dell’azione gestionale e operativa.
  • Si riconosca la necessità di un percorso dedicato per garantire agli addetti, a tutti gli addetti, la professionalità necessaria per svolgere una funzione così complessa, senza particolarismi o scorciatoie, chiudendo una volta e per tutte la stagione degli incarichi, delle posizioni attribuite senza interpello.
  • Si faccia chiarezza definitivamente sugli ambiti di azione dell’Agenzia dopo gli accorpamenti decisi a suo tempo in modo frettoloso dal Governo Monti per togliere ogni incertezza che a tutt’oggi impedisce una vera ed effettiva integrazione tra Entrate e Territorio.
  • Si riaffermi il ruolo di indirizzo e di governance del Ministero in questi anni assolutamente assente perché nonostante siano trascorsi 15 anni dalla nascita del Ministero dell’Economia e delle Finanze, il MEF resta ancora oggi essenzialmente il Ministero del Tesoro, con le Agenzia che in assenza di un vero referente politico hanno occupato lo spazio dell’ex Ministero delle Finanze senza però averne il ruolo e le prerogative.

Ma si faccia presto. Perché ogni giorno che passa rende più difficile l’azione di 40.000 lavoratori e lavoratrici e incrina sempre più il rapporto già difficile tra il fisco e i cittadini.

111 Dati social all'8 febbraio 2016


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Roberto Cefalo

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Aggiornato al 31 marzo 2018

 

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