Obamacare

La nuova frontiera

Letto 5882
Obamacare

Quando Obama si è insediato, la più grave crisi economica dopo gli anni Trenta era al culmine. Un’inversione di tendenza appariva improbabile. Gli va dunque riconosciuto il merito di aver accompagnato gli States fuori dalla recessione, con la disoccupazione al 5%. E 14 milioni nuovi posti di lavoro. L’America ha riacquistato fiducia in se stessa: la ripresa ha coinvolto il mondo finanziario di Wall Street e il ceto medio di Main Street. Vari settori dell’industria sono ripartiti, le banche in difficoltà sono state salvate. Il deficit federale e’ stato tagliato di tre quarti. Il sistema fiscale e’ stato riformato, elevando il carico su classi abbienti e banche. Ed alleggerendolo sul ceto medio colpito dalla crisi.

Quando Obama si e’ insediato, circa 50 milioni di americani erano privi di assistenza sanitaria: i provvedimenti, denominati Obamacare, hanno combinato l’intervento pubblico con le assicurazioni private e circa venti milioni di americani possono curarsi. Non c’erano riusciti nemmeno Harry Truman e Lyndon Johnson. Con una politica sociale innovativa – assegni familiari e accesso ai community college – si è combattuta la disuguaglianza tra ricchi e poveri. In tema di diritti civili, all’inizio del secondo mandato, Obama era passato da una posizione attendista al sostegno esplicito al matrimonio gay: nel giugno 2015 ha raccolto un grande risultato con la sentenza della Corte Suprema che considera il matrimonio omosessuale un diritto costituzionalmente garantito.

In politica estera le esperienze negative di Vietnam e Iraq hanno spinto il nuovo Presidente su una linea prudente, ma non isolazionista. Assunta ancor più decisamente dopo gli errori in Egitto, Siria e con le primavere arabe. Seguendo i falchi di Cheney e Rumsfeld, gli States di George W. Bush si erano impantanati nella guerra irachena, ottenendo solo migliaia di morti e raddoppiando il deficit federale. Era arrivata secca la disillusione sul ruolo internazione degli USA: in uno scacchiere ormai unipolare, il sogno di Bush di “esportare” la democrazia coi carri armati si era rivelato impossibile ed impopolare. Al termine del suo mandato infatti, Bush jr. era sprofondato con un consenso addirittura del 22 %, esattamente la metà di quello di cui gode in questo momento Obama. La sua forte linea diplomatica ha così devitalizzato la crescente spinta anti-americanista ed ha potuto normalizzare i rapporti con Cuba ed avvicinarsi all’Iran.

E’ una linea di tradizione jeffersoniana che rompe con tutto il secondo dopoguerra americano e che ha trovato fieri oppositori tra gli americani integralisti. Per loro, Obama ha tradito la tradizione storica degli States: che, come una nuova Gerusalemme, dovevano rimanere uno stato eccezionale, alfiere della missione civilizzatrice della razza bianca superiore a tutte le altre. Il “peccato pacifista” di Obama è stato inevitabilmente spunto per attacchi personali di matrice razzista: si è dunque tornati a rimestare le sue origini keniote, nonché’ i suoi studi compiuti in Indonesia. L’ostilità dei suprematisti bianchi si e’ manifestata con epiteti quali “Obama l’estraneo”, “unamericaner”, oppure “l’Islamico travestito”. Contribuendo a far credere ancora al 25% degli americani, dopo otto anni di Presidenza, che Obama e’ davvero musulmano. E lanciando in orbita un personaggio come Donald Trump, sul quale molti repubblicani non avrebbero scommesso mezzo dollaro.

Nella fase di incertezza determinata dagli attacchi terroristici, Trump sembra recuperare quel gap che lo separava dalla Clinton. Due settimane fa Trump pareva infatti in difficoltà. Aveva smarrito il tradizionale humour. Le battute ad effetto non avevano effetto. Dopo Orlando, aver gridato “armiamoci tutti” non sembrava la soluzione, ma la gran parte del problema. Dopo aver epurato parte dello staff, ha rischiato il totale fallimento della convention di Cleveland, quella in cui è stata ufficializzata la sua candidatura: fino a dieci giorni fa rischiava di rimanere solo, perché mancavano le adesioni ufficiali.

Anche se qualcuno la considera una mossa tattica di Trump: la solitudine che prende il posto della paura della negritudine. E’ arrivato poi uno studio di un sito web accreditato, che ha preso in esame 163 dichiarazioni di Trump: solo 3 risultano vere, le altre totalmente o parzialmente false. Ma il clima da scontro razziale sembra averlo miracolosamente rianimato e l’esigenza del cosiddetto “uomo forte” potrebbe pesare sulla legge del pendolo. Il tycoon newyorchese ha incassato l’endorsement di Rudolph Giuliani e ha lanciato sulla scena sua moglie, che, con le origini slave, fa un po’ a pugni con il Ku Klux Trump e copia il discorso di Michelle Obama.

La strada fino a novembre e’ lunga e gli americani raramente hanno fatto una scelta solo “fisica”: non avrebbero eletto per quattro volte consecutive un uomo praticamente sulla sedia a rotelle. Anche se era tanto tempo fa.

Letto 5882

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Ernesto Consolo

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Aggiornato al 31 marzo 2018

 

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