Un pensiero in libertà sulla riforma della Pubblica Amministrazione
Giacinto Fiore esamina la riforma della Pubblica Amministrazione. Cosa si è fatto, cosa si poteva fare meglio e cosa c’è ancora da fare
- Scritto da Giacinto Fiore
- Pubblicato in Lavoro Pubblico
Che la P.A. dovesse entrare nel secolo ventesimo (per il ventunesimo dovremo aspettare) è certo. Farragini burocratico-normative, commistione tra indirizzo e gestione, troppa regolazione, formazione trascurata, obsolescenza di strutture e strumenti, dirigenza deresponsabilizzata dalla politica e dalla propria sovrabbondanza, duplicazioni di competenze (si potrebbe continuare), sono freni allo sviluppo.
Per la prima volta non si identifica il lavoro come l’unico elemento che inceppa la macchina. Ricordate “statale uguale fannullone”, mentre si salvavano lobbies, potentati, controllate/partecipate, salvadanai della politica. Si illusero gli italiani che, bastonati i dipendenti, tutto avrebbe funzionato.
La riforma renziana approccia diversamente.
Taglia le controllate/partecipate, attraverso cui passano spreco, malaffare, corruttela.
Riforma il ruolo dei Prefetti e delle Camere di Commercio. Interviene sulle authority, meteore fuori controllo.
Riforma le dirigenze e responsabilizza i dirigenti.
Rende collegiali scelte di singoli ministri.
Avvia il superamento della pianta organica.
Per la prima volta dal 1981 vince le resistenze degli apparati dello Stato applicando punti importanti della riforma delle forze di polizia (sala operativa comune, 112, riduzione dei corpi, etc.).
Fa molte cose. Tutte perfette? No.
Alcune buone, altre da verificare. La riforma delle Camere di Commercio è monca senza quella di Unioncamere ed aziende speciali. L’ARAN nell’ultima contrattazione da soggetto contrattuale è divenuta passacarte acritico tra sindacato e MEF. Si poteva rivedere la struttura della contrattazione. Sarebbe più “normale” una contrattazione “privata” (nei limiti della legislazione di bilancio vigilata dal Tesoro) tra datori di lavoro (il Governo, le Regioni, gli enti locali, etc.) e sindacati. Un ruolo più partecipe dei Comitati di Settore – rappresentanti dei datori – era stato convenuto nel 2009. Perché nel privato Federchimica, che associa le aziende chimiche, può stipulare i CCNL in loro nome e l’ANCI, che associa i Comuni, non può?
In sintesi, mi pare una riforma importante, che si poteva fare meglio, ma non di molto. Anche un Governo del fare deve misurarsi con resistenze e conservatorismi.
Mentre i viet si divertono a discettare se ridurre le tasse sulla prima casa sia di destra (quindi da non fare) o di sinistra (quindi da fare), era difficile pretendere di più. Era importante aprire un capitolo che andrà completato, a partire da una semplificazione normativa.
Ed i lavoratori? A parte i dirigenti, cui era necessario ridare dignità, i lavoratori non sono particolarmente impattati dal contenuto della riforma, ma da ciò che non c’è: la contrattazione. Prima o poi, come Corte, equità e buonsenso vogliono, la contrattazione si riaprirà. Spero ci sia lo stesso coraggio. Si parta dall’accordo Governo-Sindacati (meno CGIL) del 2009 sul modello contrattuale, superando gli anacronistici istituti declaratoria e profilo, sostituendo molte dirigenze con i “quadri”, legando salario importante all’acquisizione di professionalità e formazione certificata, prevedendo “progetti speciali”, incentivando la mobilità dei civili alle funzioni amministrative nel comparto sicurezza recuperando così a costo zero migliaia di “poliziotti” ai compiti d’istituto. Si avvii la sanità complementare contrattuale bilaterale.
Si consenta a chi lo vuole di andare anticipatamente in pensione, anche con ragionevoli penalizzazioni, cominciando dal prolungamento dell’opzione donna.
Dati social all'8 febbraio 2016
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Giacinto Fiore
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Aggiornato al 31 marzo 2018