Referendum: l’alternativa al SI non è semplicemente un NO!
Tutti sappiamo cosa succede se si afferma il SI; pochi sanno le conseguenze di un NO alla riforma costituzionale; come dice Napolitano “LA FINE”
- Scritto da Francesco Coraggio
- Pubblicato in Politica
Innanzitutto la riforma costituzionale, che il Parlamento ha approvato con 3 letture alla Camera e 3 al Senato (come prescrive l’attuale costituzione), non riduce o comprime le funzione di alcuno degli strumenti di controllo fondamentali (Presidente della Repubblica, Corte Costituzionale, potere giudiziario, ne quello popolare).
In estrema sintesi gli obiettivi della riforma sono:
- rendere il processo legislativo più rapido ed efficiente abolendo i ritardi del bicameralismo perfetto;
- la riduzione del costo della politica, del numero dei politici e delle poltrone; i senatori si riducono a 100 (215 in meno) saranno espressione territoriali delle Regioni e dei comuni;
- le province saranno abolite e con esse le cariche elettive; le competenze passeranno a regioni e comuni. I consiglieri regionali non potranno guadagnare più del sindaco del comune capoluogo della regione;
- modifica del titolo V della costituzione, definendo meglio le competenze fra regioni e Stato, eliminando gran parte della conflittualità attuale;
- abolizione del CNEL, un ente inutile.
La conferma referendaria della Costituzione, automaticamente confermerebbe alche la nuova legge elettorale, approvata dal parlamento, l’Italicum che darebbe stabilità al sistema politico.
L’alternativa al SI, naturalmente è il NO, ma sarebbe la FINE (come dice Napolitano).
Vuol dire che nulla delle riforme che il Parlamento ha approvato entrerà in vigore; tutto sarà come prima, due anni di lavori parlamentari buttati al vento; ma soprattutto non potrà entrare in vigore la nuova legge elettorale, l’italicum, condizionata all’abolizione del Senato elettivo.
Si tornerà a votare con il mattarellum; una legge elettorale che non garantisce la governabilità; ci sarebbe il serio rischio di tornare ai governi balneari.
Sarebbe bene ricordare che dal 2011 l’Italia è un Paese sotto osservazione per via del suo debito pubblico.
La fiducia dei mercati verso l’Italia era ai minimi, lo spread dei BTP su Bund tedeschi supera i 700 pb (cioè i BTP a 10 anni pagano un interesse del 7% superiore ai Bund a 10 anni).
Una situazione insostenibile, che richiedeva misure urgenti ed inderogabili.
Solo la credibilità del Presidente della Repubblica Napolitano, presso l’Europa e le istituzioni straniere, consente all’Italia il tempo per fare riforme incisive con un nuovo governo, il governo Monti.
Monti pone in essere velocemente la riforma delle pensioni (riforma Fornero), la riforma del lavoro (indebolimento dell’art. 18), ed altri provvedimenti che vanno ad intaccare la spesa; lo spread rientra, ma si determina anche una contrazione consistente del PIL, tale che il rapporto debito/PIL continua a salire.
Si va ad elezioni, non esce una maggioranza chiara; si crea una coalizione a guida Letta che ha come obiettivo quello di porre in essere un programma di riforme tale da rendere il Paese più competitivo. Il governo Letta, però, si dimostra poco incisivo su questo fronte. Si arriva, quindi alla svolta, con il governo Renzi, che intanto aveva vinto le primarie del PD e ne era diventato segretario.
Al centro del programma Renzi ci sono le riforme, le stesse che saranno oggetto di referendum in ottobre.
Quelle riforme che il mercato e le istituzioni internazionali ci chiedevano, e per le quali, hanno concesso all’Italia il tempo necessario; attualmente l’Italia paga un interesse solo dell’1% bp più dei bund tedeschi.
Se vincesse il NO, non sarebbe bocciato solo il governo Renzi (che tra l’altro le riforme le ha fatte) ma verrebbe bocciato il Paese Italia.
La situazione rimarrebbe invariata, si andrebbe alle elezioni con il mattarellum, una legge elettorale che nella situazione politica italiana non riuscirebbe ad esprimere una maggioranza, e di conseguenza andremmo incontro ad anni di instabilità politica.
L’instabilità è il segnale peggiore che si possa dare a chi ci guarda. Crollerebbe di colpo la credibilità e quindi la fiducia verso il Paese.
Facile immaginare cosa potrebbe succedere, lo spread schizzerebbe di nuovo a 700 bp, le imprese italiane con questi tassi sarebbero ancora meno competitive sui mercati, si bloccherebbero i mutui, diventerebbe concreta l’ipotesi “troika” per l’Italia.
Per tenere in rotta la nave nel mare in tempesta, bisognerebbe intervenire con una cura da cavallo (immaginate la Grecia), tagli alle pensioni, tagli al welfare, aumenterebbe la disoccupazione, potrebbe essere necessaria una sostanziosa patrimoniale.
Dopo aver fatto tutto ciò, sarebbe comunque necessario rimettere mano alle riforme e alla legge elettorale.
Insomma, ci sarebbe un altro governo tecnico con l’ingrato compito di fare macelleria sociale per ridimensionare il debito pubblico.
Il nome del tecnico che avrebbe questo ingrato compito, probabilmente c’è già, si chiama Mario Draghi.
E’ questo che i fautori del NO alle riforme vogliono? Ne sono consapevoli?
Il prezzo per il No è troppo elevato; solo politici irresponsabili possono vendere la pelle dei cittadini per una lotta politica fine a se stessa.
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Francesco Coraggio
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Aggiornato al 31 marzo 2018
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