Azzurra nostalgia

Dal trono al predellino

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Azzurra nostalgia

L'ampio, quanto numericamente imperfetto, ventennio di Berlusconi viene spesso racchiuso in poche battute. Troppo facile. Nel suo primo, turbolento, anno, c’è già (quasi) tutto. Forza Italia nasce ufficialmente alla fine di gennaio 1994.

Ma alcuni individuano il big bang a luglio '93, nell'attacco frontale ai magistrati del pool di Milano da parte di un giornale di riferimento, su input proprio del primo Berlusconi politico. Che si scatena ogni volta che avvista all'orizzonte i bolscevichi: in questo riuscirà a rasserenarlo solo l'inconcludenza di D'Alema.

La vittoria elettorale del marzo 1994, più che da politologi e politici, viene preconizzata subito da un critico televisivo come Aldo Grasso: " Le prossime elezioni le deciderà la TV". Nonostante una campagna elettorale a colpi di cieli azzurri e prati verdi, la mediocrità confezionata dall'omologazione culturale delle reti berlusconiane avrebbe dunque avuto un ruolo determinante: plasmata dal basso, la ciurmaglia dei telespettatori si sarebbe rivelata più malleabile. Al punto da digerire la coalizione vincente, che coalizione non è. E che si sfalderà in meno di un anno.

Divenuto capo del Governo, Berlusconi offre perfino il Viminale a Di Pietro, proprio quello del pool di Milano: offerta cordialmente respinta. L'offerta a Di Pietro è solo una piccola contraddizione rispetto a quelle schizofreniche del cartello elettorale al governo. Dopo aver collezionato una irripetibile serie di insulti da Bossi, Berlusconi ricompone il quadro, operando alcune scelte indimenticabili: Francesco Speroni, che in quei giorni vuole cambiare il nome all'Italia, viene nominato ministro per le Riforme Istituzionali; Cesare Previti, poi finito in carcere, ministro della Difesa; Alfredo Biondi alla Giustizia, che col colpo di spugna a Tangentopoli, rischia di far cadere il governo dopo soli due mesi.

Ne passano cinque e la "triangolazione indiretta" – come la chiama Tatarella – va in frantumi. Berlusconi si rende conto che le contraddizioni della politica possono prevalere sulla perfezione della farsa. Bossi, autoproclamatosi erede dei partigiani (?), non solo non può convivere con "la porcilaia fascista", ma nemmeno con un capo del Governo "ex-piduista". Gli risponderà Berlusconi dicendo che "Bossi parla come un ubriaco al bar", ma il senatur chioserà che "detto da un venditore di fustini, è un complimento". Il programma col milione di posti di lavoro viene chiuso nel cassetto.

Evidente che senza la forza elettorale della Lega Nord non si va da nessuna parte. Solennizzando in un atto notarile - Magnifico Vespa – una serie di promesse agl'Italiani, Berlusconi vince solo nel 2001. Stavolta il milione di posti di lavoro diventa un milione e mezzo, ma ne abbiamo visti qualcuno in meno. Tra le promesse c'era quella di non candidarsi più in caso di fallimento del programma, ma il Caimano non mantiene nemmeno questa.

Sfruttando la legge del pendolo, torna in sella nel 2008, promettendo addirittura lotta all'evasione fiscale. Stavolta dopo due anni è il più fedele a sbattere la porta, Gianfranco Fini. Ma, a sentirlo, sembrerebbe più una defenestrazione, con tanto di rissa verbale in diretta.

La parola che rompe l'idillio la pronuncia Fini ed è legalità. Proprio questa. Mentre infatti il Caimano si dibatte in mezzo alle sue traversie giudiziarie, Fini sussurra che al governo del Paese c’è un soggetto che "confonde il garantismo con la pretesa di impunità e la leadership con la monarchia assoluta".

Rasserenando quelli che temevano che Berlusconi, in nome della forma che prevarrebbe anche sulla vergogna, confondesse la coccarda con la condanna e il governo della legge col governo degli uomini. Di questi il Caimano ne perde alcuni per strada: il suo numero due Claudio Scajola, recordman di dimissioni, che onora la memoria di Marco Biagi dandogli del rompicoglioni. Perde il ministro Pietro Lunardi, certo che "con la mafia bisogna convivere".

Ci conviveva Marcello Dell'Utri, condannato con sentenza definitiva per concorso esterno in mafia: quasi novello Goethe, Dell'Utri aveva contribuito a fondare Forza Italia, partendo dall'imprescindibile Sicilia. E che non riusciva a non frequentare Vittorio Mangano, capomafia, condannato per traffico di droga, duplice omicidio.

Berlusconi scioglie Forza Italia dal predellino della sua auto e rimane al centro della scena politica, ma come ripreso da un pallone ad elio, che si allontana sempre più. Mal sopportando il lungo politeismo degli ultimi anni, il Caimano ci riprova lanciando ossessivamente ricette come la flat tax, che ha avuto 9 (nove) anni di tempo per realizzare. Le grandi opere, a lui tanto care, sono state realizzate nella misura del 9 (ancora nove) per cento.

Dopo l'ultima incredibile condanna per compravendita di senatori (lo ricorda qualcuno?), risulta difficile capire che contributo possa aver dato Berlusconi alla legittimazione delle Istituzioni: anzi delegittimandole, coi continui attacchi alla Magistratura, il Caimano ha contribuito a legittimare chiunque a rappresentarle. Finendo così, nel "suo" modo di vedere la politica, col battersi per un trono di cartone.

Letto 4036

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Ernesto Consolo

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Aggiornato al 31 marzo 2018

 

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