Corrono in sei e vincerà Roberto

Roma è la sola città d'Italia che non abbia memorie esclusivamente municipali; tutta la storia di Roma, dal tempo de' Cesari al giorno d'oggi, è la storia di una città la cui importanza si estende infinitamente al di là del suo territorio; di una città cioè destinata ad essere la Capitale di un grande Stato. (Cavour, Discorso al Parlamento di Torino, 25 marzo 1861)

Letto 5763
Corrono in sei e vincerà Roberto

Alla fine, sono sei i candidati in cerca di voti alle primarie del centrosinistra a Roma. Il primo a partire, in solitario, è stato Roberto Giachetti, su richiesta diretta di Matteo Renzi. Qualche giorno dopo ha rotto gli indugi ed è sceso in pista Roberto Morassut. Poi sono seguiti Stefano Pedica, anche lui del PD come i primi due, Domenico Rossi di Centro democratico, Gianfranco Mascia dei Verdi e l'outsider Chiara Ferraro, una ragazza autistica che, con la propria candidatura, non si sa quanto consapevole, vuole accendere un faro sui diritti delle persone con disabilità psico-fisiche.

Una corsa a sei che, in realtà e senza nulla togliere alla validità e capacità di tutti i partecipanti, si riduce ai due Roberto. Ed è su questi due nomi che la militanza romana si sta confrontando e dividendo.

Con molto fair play, a dire il vero, un po’ perché entrambi sono persone molto riflessive e lontani da quella politica urlata e populista tanto in voga negli ultimi tempi, un po’ perché i due candidati sono in parte sovrapponibili, collocandosi sulla scia di quel rinnovamento preteso da Renzi da quando è diventato segretario nazionale, e contemporaneamente non possono essere considerati dei renziani ortodossi, anzi hanno sempre dimostrato una certa autonomia decisionale e di pensiero.

Inoltre, ambedue hanno una profonda conoscenza della città di Roma e delle sue problematiche, e non solo perché romani e romanisti, ma soprattutto perché hanno avuto una lunga e positiva esperienza nell’amministrazione capitolina. Giachetti come Capo Segreteria e Capo di Gabinetto con il sindaco Francesco Rutelli, Morassut come Assessore all'Urbanistica e a Roma Capitale con il sindaco Walter Veltroni.

Due esperienze che dimostrano quanto sia errato affermare che la politica non è in grado di affrontare situazioni complesse e gravi e che deve affidarsi ai tecnici e alla società civile. Anzi, è vero proprio il contrario. Il governo di una Capitale è principalmente un problema politico, perché va oltre la buona amministrazione del territorio comunale, coinvolge lo Stato e, nel caso di Roma, l’intera Europa.

A maggior ragione per Roma, Caput Mundi con le sue glorie e la sua grandezza, e le tante fragilità e che per essere rappresentata degnamente ha bisogno della politica e di politici che sappiano interpretarla nel migliore dei modi. Si tratta di comprendere quale politica si voglia attuare e a Roma; sin dalla proclamazione di Capitale (3 febbraio 1871), si sono fronteggiate due scelte antitetiche: una che ha privilegiato la rendita fondiaria alla qualità della vita dei cittadini ed ha instaurato un rapporto clientelare e di favoritismi, ed un’altra più virtuosa che ha tentato di correggere, non sempre riuscendoci, questa impostazione strutturale ed ha incoraggiato una nuova progettazione della città. È stato così per Ernesto Nathan (1907-1913), per Giulio Carlo Argan (1976-1979), Luigi Petroselli (1979-1981), Ugo Vetere (1981-1985) e, in anni più recenti, per i già citati Rutelli e Veltroni.

Giachetti e Morassut sono eredi di questa parte della storia di Roma. Quella che è stata in grado di esprimere governi politici che hanno impresso un segno indelebile nella carne viva della città. Un’esperienza non da poco, soprattutto dopo la crisi del Campidoglio, che ha travolto la traballante e deludente esperienza di Ignazio Marino, e il drammatico evolversi dell’inchiesta Mafia Capitale che ha coinvolto parte dei funzionari amministrativi e del ceto politico a destra, come, purtroppo, a sinistra.

Volendo essere più espliciti potremmo affermare che, a Roma, tutto ciò che non è stato un errore progettuale, è stata una scelta politica ben precisa, che durante la gestione di Alemanno ha toccato il punto più basso e che con Marino, ormai poco lucido e animato solo da un livore personale, ultima dimostrazione, se ancora ce ne fosse bisogno, delle scarse capacità politiche e di amministratore, non si è mai stati in grado di sfidare e di intervenire in modo incisivo.

La vicenda di Roma senza Capitale, come titola felicemente nel suo ultimo libro-intervista Morassut, senza amministrazione, senza un programma di governo, senza un progetto politico, rischia di travolgere non solo il futuro sindaco, ma l’intera storia millenaria della città.

I due Roberto l’hanno capito perfettamente ed hanno parimente compreso che non vi è alcuna utilità nello stilare l’ennesimo elenco di ciò che non va nella città della grande bellezza, nota al mondo intero sia per i suoi fasti, sia per la sua decadenza. Così come è ancora più inutile, se non nocivo, continuare ad accusare altri di colpe che sono di tutti e, principalmente, proprio del Partito Democratico.

Il futuro sindaco di Roma dovrà affrontare mali antichi e disonestà moderne, come provano scandali piccoli e grandi che ciclicamente emergono dal sottoscala della mala amministrazione. Cui bisogna aggiungere le conseguenze di una crisi economica che, solo da pochi mesi, è stata messa alle spalle, ma ha lasciato la triste eredità di un impoverimento generale della popolazione e dei quartieri più fragili, soprattutto, ma non solo, nelle tante periferie romane.

Sull'azione del prossimo sindaco – ha affermato Roberto Giachetti il giorno della presentazione dei candidati alle primarie - credo debbano trionfare parole come onore, rigore, determinazione e onestà. Poi ci vuole competenza e grandissima umiltà. La città è in grandissima difficoltà e credo si debba ricreare un rapporto di fiducia”. È vero. Prima ancora dei programmi, sarà utile stipulare un patto chiaro con i cittadini, e non solo per riportare la legalità in tutti gli angoli delle strade e dell’amministrazione, ma per chiedere scusa di errori e di errate valutazioni ed essere pronti a impegnarci per cambiare le cose.

Roberto Morassut ha, invece, specificato che il Comune “così come l'abbiamo conosciuto non è più efficiente. Serve dare a Roma uno status diverso e speciale. Può essere una Regione nuova o una città metropolitana con poteri speciali”. Altrettanto giusto. Roma non è l’elenco dei misfatti quali il traffico, la corruzione, la criminalità, le periferie degradate, Ostia o Tor Bella Monaca, su cui si interviene in maniera estemporanea e disordinata, correndo da un’emergenza ad un’altra. Roma è tutti questi problemi e solo una proposta coordinata, fattibile e di alto livello potrà risolverli.

Insomma, fissate le regole e il tetto di spesa per la campagna delle primarie, presentati i candidati ora il compito più duro sarà convincere l’elettore di centrosinistra a recarsi ai gazebo il 6 marzo prossimo per votare il candidato sindaco che sfiderà la destra e il M5S. Compito difficile, ma non impossibile, soprattutto se si riuscirà a battere quel senso di disillusione e di disinganno in cui è precipitata la sinistra romana.

Roberto e Roberto sono le persone più indicate per riuscirci. Per questo non solo sono convinta che il candidato sarà Roberto, ma, malgrado tutti gli errori commessi dal PD romano, vi è più di una possibilità che anche il futuro sindaco si chiamerà Roberto.

L’omonimia aiuta a giocare con le parole, ma un dato è certo, chiunque dei due prevarrà lascerà la certezza agli elettori dell’altro che il centrosinistra a Roma avrà un ottimo candidato, dimostrando che la Capitale non è solo sfascio e mala amministrazione, ma possiede le risorse per invertire il declino, passando da quella politica sinonimo di affarismo e carrierismo, ad una Politica (con la P maiuscola) sinonimo di conoscenza e governo della Polis

Letto 5763

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Bianca La Rocca

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Aggiornato al 31 marzo 2018

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