La cassetta degli attrezzi che ci ha lasciato Bauman. Tredici noterelle

Il potere emancipato dalla Politica, la crisi della vecchia politica e la mancanza di nuovi attori. La mobilità e la velocità come fattore di stratificazione sociale. Extraterritorialità del potere e territorializzazione della vita intera. La nuova libertà del capitale, l’annullamento delle distanze spazio temporali e la polarizzazione della condizione umana. Nuova spaccatura tra elites e popolo. Bastano pochi minuti per far crollare aziende e Stati. Il nuovo ordine mondiale ha bisogno di Stati deboli. La difficoltà di tradurre le questioni sociali in azioni collettive

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La cassetta degli attrezzi che ci ha lasciato Bauman. Tredici noterelle

E’ scomparso Zygmunt Bauman, un gigante del pensiero di fine 900 con lo sguardo lungo nel nuovo millennio.

Giornalisticamente viene semplicisticamente ricordato come lo scopritore della società liquida. Ma è appunto semplicistico e sbagliato fermarsi a questo. Dietro quella sua intuizione c’è tanto altro.

Ma c’è soprattutto l’interpretazione di un mondo nuovo, figlio della globalizzazione e, soprattutto, della rivoluzione informatica.

Bauman era un freddo analista. Non amava questa realtà. Ne ha descritto, in decine di libri, i pericoli ma sapeva anche che indietro ormai non si può tornare e neanche lo auspicava. Non dava soluzioni ma ha consegnato a chi ha il dovere di trovarle (e per lui questo ruolo lo aveva senza dubbio la Politica) una cassetta degli attrezzi nuova e contemporanea, una lettura straordinariamente dirompente e spiazzante della realtà in cui viviamo (realtà economica, sociale, degli stili di vita).

Voglio ricordarlo su questo nostro blog. Ed ho scelto la strada della citazione guidata, diciamo così. Tredici brevi citazioni tratti dai suoi studi che ci danno il senso della potenza penetrante del suo pensiero.

1

IL POTERE EMANCIPATO DALLA POLITICA, LA CRISI DELLE VECCHIE AGENZIE E LA MANCANZA DI ATTORI.

Nella prima citazione Bauman affronta il tema del potere che ha preso il largo e che si è autonomizzato dalla Politica, da cui, con la finanziarizzazione dell’economia globale, si è emancipato facendone a meno.

“A parte certe frange pazzoidi riconosciute come tali, nessuno affermerebbe seriamente che è buono e utile inquinare l’atmosfera, perforare lo strato di ozono, come pure combattere guerre, incoraggiare la sovrappopolazione, privare le persone dei mezzi di sussistenza o farne dei vagabondi senza casa.

Eppure tutto ciò accade nonostante la condanna consensuale e clamorosa sia pressoché universale.

Il fatto che l’intollerabile consistenza sistemica del danno globale superi la compattezza dell’indignazione morale deve dipendere da fattori diversi dall’ignoranza dell’etica, 0, quanto a questo, dall’incapacità dei filosofi di mettersi d’accordo sui principi.

Si può ragionevolmente supporre che questi altri fattori siano radicati in aspetti della realtà sociali non toccati dall’etica oppure capaci di contrastarne efficacemente o ignorarne le pressioni o, meglio ancora, di portare le istanze etiche al di sotto della soglia dell’udibile o di renderle, se udibili, inefficaci.

Tra tali fattori il posto d’onore deve essere assegnato al mercato deregolamentato, svincolate da un controllo politico effettivo e guidate esclusivamente dalle pressioni della competitività.

Grazie a processi tecnici consentiti ed agevolati dal progressivo smantellamento dei vincoli politici, oggi il capitale è libero di muoversi ovunque ed in qualunque momento voglia.

Oggi i potenziali fautori e difensori della giustizia sociale sono stati privati pertanto del peso economico, senza il quali non è concepibile l’applicazione dei principi dell’etica.

Le istituzioni politiche rimangono locali mentre i poteri reali che decidono la forma delle cose che sono e di quelle che saranno hanno acquisito una vera e propria extraterritorialità e, come dice Manuel Castells, il potere fluisce sotto forma di capitale, soprattutto finanziario, mentre la politica rimane inchiodata a terra e rimane sottoposta a tutti i vincoli determinati dal suo carattere locale.

Potremmo dire che il Potere è stato emancipato dalla politica.

Ma una volta che questo è accaduto tute le speranze di una giustizia di ispirazione etica diventano una astrazione velleitaria ed è sempre più difficile individuare una agenzia in grado di intraprendere o addirittura di portare a termine il compito di dare corpo ad un nuovo imperativo categorico, ammesso che un imperativo del genere possa essere trovato, formulato ed accettato universalmente.

La difficoltà dell’applicazione dell’etica ai problemi del mondo contemporaneo dipende in primo luogo dalla mancanza di attori”.

2

MOBILITA’ FATTORE DI STRATIFICAZIONE.

EXTRATERRITORIALITA’ DEL POTERE E TERRITORIALITA’ DELLA VITA INTERA.

Nella seconda citazione è presente un leitmotiv di Bauman, il ruolo della mobilità nell’azione di stratificazione sociale. Chi può muoversi e spostarsi liberamente acquisisce più ricchezza e quindi più potere. Il potere diventa extraterritoriale mentre la vita intera rimane legata al territorio.

“Nel mondo odierno la mobilità è diventata fattore di stratificazione più efficace ed ambito, la materia con cui sono quotidianamente costruite e ricostruite nuove gerarchie sociali, politiche, economiche e culturali di portata sempre più mondiale.

Attraverso la mobilità acquisita dai proprietari e dai gestori di capitali passa una nuova – e senza precedenti nella sua radicale categoricità – emancipazione del potere dai suoi obblighi: nei confronti dei dipendenti ma anche nei confronti dei giovani e più deboli generazioni e di quelle future e nei confronti dell’auto riproduzione delle condizioni di vita di tutti; in breve la libertà di contribuire alla vita quotidiana ed alla perpetuazione della comunità.

Si va affermando una nuova asimmetria tra la natura extraterritoriale del potere e la persistente territorialità della vita intera che i poteri ormai privi di ancoraggio ed in grado di muoversi con preavviso minimo o nullo, sono liberi di sfruttare ed abbandonare alle conseguenze di quello sfruttamento.

Non essere più responsabili delle conseguenze è il beneficio più ambito ed apprezzato che la nuova mobilità conferisce al capitale fluttuante e svincolato dalla dimensione locale.

I costi per la gestione delle conseguenze non devono essere più presi in considerazione nei calcoli sulla efficacia degli investimenti.”

3

LA NUOVA LIBERTA’ DEL CAPITALE.

La terza citazione fa pendant con la seconda ed illustra una delle caratteristiche principali del potere che si basa sulla mobilità e sulla extraterritorialità, il suo essere elusivo rispetto alle resistenze territoriali. Di fronte alle resistenze il capitale, grazie alla sua nuova e potentissima mobilità, leva le tende.

“La nuova libertà del capitale richiama alla mente i proprietari assenteisti di un tempo, famigerati per il modo in cui trascuravano, suscitando forti risentimenti, i bisogni delle popolazioni che li nutrivano.

L’unico interesse che il proprietario assenteista aveva per l’esistenza della terra che possedeva consisteva nel sovrappiù che se ne poteva scremare.

Ma nonostante le indubbie analogie, il paragone non rende pienamente giustizia al tipo di libertà dalle preoccupazioni e dalle responsabilità che il capitale mobile del tardo novecento ha acquisito e che il proprietario assenteista non poteva nemmeno sognarsi.

A differenza dei proprietari assenteisti della prima era moderna, il potere dei capitalisti e degli intermediari immobiliari (grazie alla nuova mobilità delle loro risorse ormai rese liquide) non conosce limiti sufficientemente concreti-solidi, forti, concreti – da non poter essere violati.

I soli limiti che potrebbero farsi sentire e rispettare sono quelli eventualmente imposti dal libero movimento del capitale e del denaro, ma sono limiti scarsi ed infrequenti, tanto che i pochi che tuttora resistono sono soggetti a pressioni tremende in quanto suscettibile di essere cancellati o semplicemente gettati nel dimenticatoio.

Nel momento in cui i soggetti passivi – le vittime intenzionali o accidentali della ricerca del profitto – tentassero di mostrare i muscoli e di farsi sentire, il capitale non avrebbe difficoltà a levare le tende e trovarsi un pensiero più ospitale, cioè remissivo, malleabile, morbido.

Il capitale non ha la necessità di accettare il confronto finché la strategia elusiva funziona”.

4

L’ANNULLAMENTO DELLE DISTANZE SPAZIO TEMPORALI E LA POLARIZZAZIONE DELLE CONDIZIONI UMANE.

Nella quarta citazione si smentisce che la nuova tecnologia con il suo annullamento delle distanze spazio temporali sia di per sé portatrice di eguaglianza e maggiore giustizia. Semmai è il contrario. La condizione umana si polarizza sempre più tra chi è padrone pieno della creazione di significati e chi, rimanendo gioco forza legato al proprio territorio, è spogliato di ogni significato.

Per farla breve: l’annullamento tecnologico e politico delle distanze spaziotemporali tende a polarizzare le condizioni umane anziché a livellarle.

Mentre da un lato emancipa certi soggetti dai vincoli territoriali e conferisce extraterritorialità a certi significati attorno ai quali possono formarsi delle comunità, dall’altro spoglia il territorio, in cui altri continuano ad essere confinati, del suo significato e della sua capacità di costruire l’identità.

Ad alcuni preannuncia una libertà senza precedenti dagli ostacoli fisici ed una capacità inaudita di spostarsi e agire su lunghe distanze; ad altri fa presagire l’impossibilità di fare propria e addomesticare la località della quale hanno poche prospettive di potersi liberare per trasferirsi altrove.

Nel momento in cui le distanze non significano più nulla, o quanto meno non molto, perdono gran parte del loro significato anche le località che quelle distanze separano.

Ciò tuttavia preannuncia ad alcuni la libertà di creare significato, mentre per altri significa la condanna alla mancanza di significato.

Alcuni possono abbandonare il luogo in cui si trovano, qualunque esso sia, a loro piacimento; altri impotenti, si vedono sfuggire di sotto i piedi il solo luogo in cui hanno la possibilità di abitare.

5

NON SOLO SONO IN CRISI I VECCHI ATTORI. NUOVA SPACCATURA TRA ELITES E POPOLO.

Nella quinta citazione si aggiunge un altro tassello che rende più comprensibile il mondo in cui viviamo. Dopo il ruolo della mobilità estraterritoriale, la crisi delle vecchie agenzie e la mancanza di nuovi attori Bauman descrive cosa capita nel rapporto tra intellettuali e popolo a causa della spaccatura sempre più crescente tra le elites che creano significati e tutti gli altri.

“Si apre così una seconda lacuna accanto a quella della mancanza di attori.

E’ la spaccatura crescente e sempre più profonda tra le elites che creano significato e tutti gli altri.

Così come i detentori del potere ci ricordano, oggi, i proprietari terrieri assenteisti di epoca premoderna, le elites istruite, raffinate e culturalmente creative mostrano una straordinaria rassomiglianza con le elites scolastiche dell’Europa medievale, che scrivevano e parlavano in latino e che godevano di una analoga extraterritorialità.

Negli ultimi secoli il compito estremamente difficile di fondere il guazzabuglio di lingue, culti, tradizioni culturali, usanze e stili di vita in nazioni omogenee sotto una guida omogenea per qualche tempo portò le elites colte ad impegnarsi direttamente nei confronti del popolo (sia il concetto di popolo sia il concetto di intellettuale sono invenzioni moderne).

Essenzialmente, conclusosi questo episodio, almeno nella parte prospera del mondo dove risiede la parte più influente dell’elite culturale, sembra non esserci più una necessità evidente (oggettiva) di protrarre quell’impegno.

Il ciberspazio, con i suoi capisaldi che sono i siti web di Internet, è l’equivalente contemporaneo del latino medioevale, lo spazio abitato dall’elite colta di oggi, c’è ben poco di cui gli abitanti di questo spazio potrebbero discutere con coloro che invece sono irrimediabilmente impantanati in uno spazio fisico fin troppo reale; tanto meno potrebbero trarre profitto da tale dialogo.

Non sorprende che la parola popolo vada scomparendo dalla terminologia filosofica in voga, riapparendo nel discorso pubblico al più durante le campagne elettorali”.

6

IL POTERE DELLE ELITES NON E’ PIU’ DI QUESTO MONDO

La sesta citazione è complementare a quelle precedenti. La collocazione di un corpo in uno spazio è ormai irrilevante per dare ordine a significati e relazioni visto che le informazioni ormai viaggiano indipendentemente dai suoi portatori.

“Non solo il capitale ma l’informazione stessa ora viaggia indipendentemente dai suoi portatori; lo spostamento e la risistemazione dei corpi nello spazio fisico sono meno necessari che mai per riordinare significati e relazioni.

Per alcuni – per l’elite mobile, l’elite della mobilità – ciò significa letteralmente defiscalizzazione, una inedita leggerezza del potere.

Le elites viaggiano nello spazio e lo fanno con una velocità senza precedenti, ma l’estensione e la densità della ragnatela di potere che intessono non dipende da quel viaggiare. Grazie alla nuova incorporeità del potere nella sua forma per lo più finanziaria, i detentori del potere diventano veramente extraterritoriali, anche se col corpo sembrano rimanere al loro corpo.

Davvero il loro potere non è di questo mondo, non del mondo fisico in cui costruiscono le loro case e i loro uffici ben sorvegliati, che sono essi stessi extraterritoriali, protetti dall’intrusione di vicini sgraditi, tagliati fuori da tutto quello che si potrebbe chiamare comunità locale, inaccessibili a tutti coloro che invece vi sono confinati”.

7

LE FUNZIONI CEDUTE O STRAPPATE ALLO STATO

Nella settima citazione si parla dell’abbandono forzato da parte dello Stato della maggior parte dei suoi poteri e soprattutto del potere di controllare e governare l’equilibrio tra crescita dei consumi e crescita della produttività.

“Dai nuovi Stati, così come da quelli già consolidati nella condizione in cui si trovano attualmente, non ci si attende più l’espletamento delle funzioni che una volta erano la ragion d’essere delle burocrazie degli Stati nazione.

Tra le più importanti funzioni cedute o strappate allo Stato in senso ortodosso, troviamo il mantenimento (nella terminologia di Castoriadis) di un equilibrio dinamico tra i ritmi della crescita dei consumi e la crescita della produttività, compito che indusse gli Stati sovrani a ricorrere in varie occasioni, alternativamente, a divieti di importazione o di esportazione, a barriere doganali o alla stimolazione statale, keynesiana, della domanda interna.

Ogni controllo di tale equilibrio dinamico va oggi al di là delle possibilità, ed in realtà anche delle ambizioni, di quasi tutti gli stati altrimenti sovrani.

E’ estremamente difficile conservare la distinzione tra mercato interno e mercato globale, o più in generale tra dentro e fuori dello Stato, se non nel senso più limitato di controllo del territorio e della popolazione”.

8

BASTANO POCHI MINUTI PER FAR CROLLARE AZIENDE O STATI

Qui (e poi nella citazione successiva, la numero nove) si spiega perché gli Stati cedono sempre più le loro originarie funzioni ai poteri extraterritoriali. Ai mercati bastano pochi minuti per far crollare le aziende e gli stessi Stati.

“Tutte e tre le gambe del tripode della sovranità – economica, militare e culturale – sono andate in frantumi. Non più capaci da sole a tenere il bilancio in pareggio, difendere il territorio e promuovere identità peculiari, gli Stati contemporanei diventano sempre più esecutori e plenipotenziari di forze che non hanno alcuna speranza di controllare politicamente.

Grazie alla nuova porosità delle economie cosiddette nazionali ed al carattere effimero, elusivo e non territoriale dello spazio in cui esse stesse operano, i mercati finanziari globali impongono le loro leggi ed i loro precetti all’intero pianeta. Globalizzazione non è che una estensione totalitaria della loro logica a tutti gli aspetti della vita.

Gli Stati non hanno risorse o libertà di manovra sufficienti per resistere alle pressioni, per il semplice motivo che bastano pochi minuti per far crollare le aziende e gli stessi Stati”.

9

CABARET DELLA GLOBALIZZAZIONE E SPOGLIARELLO DELLO STATO

“Nel cabaret della globalizzazione lo Stato si esibisce in uno spogliarello al termine del quale con indosso lo stretto necessario: i suoi poteri repressivi. Distrutta la sua base materiale, annichilite le sue sovranità e la sua indipendenza, cancellata la sua classe politica, lo Stato nazione si riduce a null’altro che un servizio di sicurezza.

I nuovi padroni del mondo non hanno bisogno di governare direttamente, l’economia si svincola progressivamente dal controllo politico, anzi il significato primario del termine economia è oggigiorno quello di area della “non politica”.

Quello che rimane della politica è di competenza dello Stato come ai bei vecchi tempi, ma su tutto quello che ha a che fare con la vita economica lo Stato non può intervenire se non a proprio rischio ed a detrimento dei propri sudditi, ogni tentativo in questa direzione sarebbe punito da una subitanea e furibonda reazione delle banche, delle borse e dei mercati finanziari.

L’impotenza economica dello Stato sarebbe ancora una volta vergognosamente esibita per la costernazione della sua coerente squadra di governo.

Le transazioni finanziarie intervalutarie di carattere puramente speculativo raggiungono un volume totale di 1.300 miliardi di dollari al giorno, cinquanta volte di più del volume degli scambi commerciali e quasi pari al totale di 1.500 miliardi di dollari che costituisce la somma di tutte le riserve di tutte le banche del mondo.

Nessuno Stato è in grado di resistere per più di qualche giorno alle pressioni speculative dei mercati.

Il solo compito economico che lo Stato è tenuto ed autorizzato a svolgere è quello di garantire il pareggio di bilancio controllando e tenendo a freno la pressione sociale che auspicherebbe un più vigoroso intervento statale nella gestione delle aziende ed a difesa della popolazione dagli effetti più nefasti dell’anarchia del mercato.

Come ha recentemente messo in evidenza Jean Pual Fitoussi “un programma del genere non può essere attuato a meno che, in un modo o in un altro, l’economia non venga estromessa dal campo della politica.

Un ministero delle Finanze senza dubbio rimane un male necessario ma idealmente si potrebbe fare a meno di un ministero dell’Economia (cioè di governo dell’economia). In altre parole il governo dovrebbe essere privato delle sue responsabilità in materia di politica macroeconomica”.

10

IL NUOVO ORDINE MONDIALE HA BISOGNO DI STATI DEBOLI

Nella citazione numero dieci Bauman afferma un concetto che a sinistra non si è ancora ben compreso e cioè che le forze che dominano il mondo hanno bisogno di Stati deboli (ed anche di agenzie sovranazionali come la UE incapaci di prendere decisioni) e della separazione della economia dalla Politica (concetto affrontato nella citazione numero undici)

“La libertà di movimento della finanza globale, del commercio e dell’industria dell’informazione e la loro facoltà incondizionata di perseguire i rispettivi fini dipendono dalla frammentazione politica, dal morcellement della scena mondiale.

Essi hanno sviluppato, si potrebbe dire, un interesse particolare per la sussistenza di Stati deboli, vale a dire Stati che sono deboli ma nondimeno rimangono Stati.

Deliberatamente o in inconsapevolmente le istituzioni interstatali e sovra locali che si sono sviluppate e che sono autorizzate ad agire con il consenso del capitale globale esercitano pressioni coordinate su tutti gli Stati membri o dipendenti per la distruzione sistematica di tutto quello che potrebbe indebolire o rallentare il libero movimento del capitale e limitare la libertà del mercato.

Spalancare le porte e rinunciare ad ogni tipo di politica economica autonoma sono le condizioni preliminari, mansuetamente subite, per essere ammessi a beneficiare degli aiuti finanziari delle banche mondiali e dei fondi monetari.

Gli Stati deboli sono proprio ciò di cui abbisogna il Nuovo Ordine Mondiale, che troppo spesso somiglia in maniera sospetta ad uno Disordine Mondiale, per sostenersi ed autoriprodursi.

I deboli quasi – stati possono essere facilmente ridotti al ruolo (utile) di distretti locali di polizia, assicurando quel tanto di ordine necessario per condurre gli affari ma non diventando freni temibili dalla libertà delle imprese globali.”

11

SEPARAZIONE TRA ECONOMIA E POLITICA

“La separazione tra economia e politica e l’esenzione della prima dall’intento regolatore della seconda, che ha come conseguenza l’inefficacia dell’azione politica, fa presagire molto di più di una semplice redistribuzione del potere sociale.

Come argomenta Claus Offe, ad essere messa in discussione è la capacità di operare scelte collettive vincolanti e di metterle in atto. Invece di chiederci, aggiunge Offe, quello che c’è da fare sarebbe più utile appurare se esiste qualcuno capace di fare quello che va fatto.

Poiché i confini sono divenuti penetrabili (senza dubbio in maniera assai selettiva) le sovranità sono solo nominali, il potere è anonimo ed al suo centro c’è il vuoto. Non abbiamo ancora raggiunto la destinazione finale. Il processo prosegue in maniera apparentemente inarrestabile.

Il modello dominante può essere descritto come un allentamento dei freni, deregolamentazione, flessibilità, fluidità crescente, agevolazione delle transazioni in materia finanziaria e di mercato del lavoro, alleggerimento degli oneri fiscali, etc. etc.

Quanto più questo modello è applicato con coerenza tanto minore è il potere che rimane nelle mani dell’agenzia che lo promuove, e tantomeno quest’ultima, nella sua crescente impotenza, può permettersi di smettere di seguire il modello su desiderio o pressione di altri”.

12

LA DIFFICOLTA’ DI TRADURRE LE QUESTIONI SOCIALI IN AZIONI COLLETTIVE

Tutto ciò che si è detto finora spiega perché è sempre più difficile fare Politica in maniera collettiva. E’ il tema della citazione numero dodici.

“Una delle conseguenze più fondamentali della nuova libertà di movimento globale è che diventa sempre più difficile, forse del tutto impossibile, tradurre le questioni sociali in azioni collettive efficaci ed inoltre i settori della società che tradizionalmente avevano il compito di operare questa traduzione guardano sempre più spesso dall’altra parte; nulla nella loro posizione e nella loro vocazione sociale li spinge a riprendere il ruolo lasciato cadere, o strappato dalle loro mani.

Queste due novità fondamentali rendono il mondo attuale ancor meno ricettivo nei confronti di ogni discorso etico”.

13

FINE DELLA STORIA E FINE DELL’ETA’ DELLE IDEOLOGIE?

“Le due novità (impossibilità di tradurre le questioni sociali in azioni collettive e la decadenza del ruolo della politica) sono state spacciate, con una miscela di stupore e soddisfazione) come fine della storia o fine dell’età delle ideologie.

La mancanza di programmi e di qualsiasi concezione della società giusta o modello di giustizia sociale – ossia di un modello di politica morale o di politica con orientamento etico che vada - è divenuta, in un curioso capovolgimento di valori, quasi un motivo di orgoglio per le elites colte; solo a rischio del ridicolo o dell’indignazione si può insistere (tranne che nelle campagne elettorali) che l’equità, la giustizia, il bene pubblico, la società giusta o la cittadinanza effettiva sono concetti ancora significativi e compiti per i quali vale ancora darsi da fare”.

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Enzo Puro

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Aggiornato al 31 marzo 2018

 

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