Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito

Per adesso insigni costituzionalisti, dotti commentatori, illustri saggi, famosi scienziati e statisti in pectore sono tutti lì fermi a guardare il dito, o il proprio ombelico che li soddisfa tanto, vediamo se tra un po’ alzano la testa per guardare la luna. A quel punto possiamo cominciare a ragionare di riforme costituzionali. Intano, la Costituzione è già stata più volte riformata e non se ne sono nemmeno accorti

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Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito

Siamo un paese di faziosi. Di una faziosità che rende decisamente tutti un po’ stupidi, anche quando ci si glorifica di titoli accademici. La dimostrazione la stiamo avendo in questi giorni e si presume che, nelle prossime settimane, con l’avvio ufficiale della campagna referendaria, andrà sempre peggio.

Ancora non si conosce la data, il o i quesiti (ne è stato chiesto lo spacchettamento e la Cassazione si pronuncerà in merito), devono iniziare la raccolta delle firme e la campagna referendaria vera e propria, e già i due fronti, pro o contro, sono certi della propria vittoria. Naturalmente tutta da dimostrare nelle urne, ma in questo Paese ci si accontenta di poco, ci basta un sondaggio di dubbia validità favorevole alle proprie idee e ci si sente già premier.

Sarebbe giusto, vista l’importanza della consultazione, entrare nel merito, ma al momento, tranne pochi casi isolati, siamo al proliferare di dichiarazioni tanto fumose, quanto inutili. Parole in libertà che stancano e allontanano quella nota, e fondamentale nelle urne, maggioranza silenziosa, affaccendata in ben altre priorità quotidiane, che presta poca o nulla attenzione alle scomuniche dei talebani dell’uno o l’altro fronte. Si potrebbe rispondere in termini aulici: un bel tacer non fu mai scritto… Soprattutto dopo avere letto i nomi e i cognomi di chi firma e lancia la fatwa del giorno.

Allora, molto meglio, ragionare con calma e cominciare a smontare le tante falsità che circondano la propaganda dei vari arruffapopolo che si affollano sulla scena, cominciando dalla prima: la Costituzione non si tocca perché e figlia della lotta della Resistenza e del sacrificio dei Partigiani.

Una vera e propria mistificazione, perché se è vero che la nostra Repubblica è nata dalla Resistenza e della lotta antifascista, lo è altrettanto affermare che tra i partigiani vi erano monarchici e repubblicani, preti, suore e anarchici, cattolici ed ebrei, e laici, e comunisti, e socialisti, e liberali, ufficiali dell’esercito e operai delle fabbriche.

La Lotta Partigiana fu una guerra di popolo in rivolta contro una sanguinosa dittatura, ma in cui confluivano diverse, e talvolta persino incompatibili, idee sul futuro della Nazione. La storia della Resistenza, per fortuna vittoriosa, finì il 1945. Il referendum Monarchia/Repubblica fu del 1946 e lo scarto tra le due ipotesi di circa due milioni di voti. Con la nascita della Repubblica, infine, venne eletta anche l’Assemblea Costituente nei quali i partiti del Comitato di liberazione nazionale cessarono di considerarsi uguali, e si poté constatare la loro rappresentatività.

Punto. La storia è questa. Nulla di più, nulla di meno.

La Costituzione italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, è:

Scritta

Rigida, ovvero le disposizioni aventi forza di legge non devono essere in contrasto con la Costituzione ed è necessario un procedimento parlamentare per la riforma/revisione dei suoi contenuti (art. 138)

Lunga, ovvero contiene disposizioni in molti settori del vivere civile, non limitandosi a indicare le norme sulle fonti del diritto.

Votata, perché rappresenta un patto tra i componenti del popolo italiano.

Compromissoria, perché frutto di una particolare collaborazione tra tutte le forze politiche uscenti dal secondo conflitto mondiale.

Democratica, perché è dato particolare rilievo alla sovranità popolare, ai sindacati e ai partiti politici.

Programmatica, perché rappresenta un programma ed attribuisce alle forze politiche il compito di rendere effettivi gli obiettivi fissati dai costituenti.

In nessuna parte della Carta è scritto che è perfetta e mai sono stati nominati i custodi dell’ortodossia costituzionale, tanto è vero che il tema ampiamente discusso delle riforme costituzionali parte dagli anni Ottanta del secolo scorso e giunge fino ad oggi.

Ma il dato più interessante è che la Costituzione è già stata più volte rimaneggiata e non risulta che si siano aperte le cataratte dei cieli per punire i blasfemi, né che si viva in un oscuro regime autoritario, anzi gli spazi di partecipazione democratica, la nascita di nuovi partiti e movimenti, la libertà di poter incidere direttamente sulla rappresentanza politica hanno di gran langa ampliato l’azione dei cittadini.

Se a questo si aggiunge che la parte che viene riformata è quella riguardante la forma di governo, mentre tutto il resto non viene toccato da una virgola è evidente che l’argomento della difesa ad oltranza del dettato costituzionale è sostanzialmente una bufala. Ben infiocchettata e con qualche bella bandierina intorno, ma pur sempre una bufala.

È dal 1982, con l’istituzione dei due Comitati (in seno alle Commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato) presieduti dall'on. Ritz e dal senatore Bonifacio, che si iniziò a studiare come si potesse cambiare la Costituzione con l'obiettivo di rafforzare l'Esecutivo (messo sistematicamente in discussione dalle coalizioni di governo costituite da una pluralità di partiti e di correnti), nel segno dell'efficienza e della trasparenza nei confronti dell'elettorato. Messa in disparte l’ipotesi presidenzialista, i due Comitati si espressero per il mantenimento della forma di governo parlamentare, con un rafforzamento della figura del Presidente del Consiglio, distinguendo più nettamente le sue funzioni da quelle del Parlamento.

Indicazioni che vennero raccolte dalla Commissione presieduta da Aldo Bozzi (1983), noto giurista e parlamentare del PLI, che doveva formulare concrete proposte di riforma. Il lavoro della Commissione bicamerale si concentrò soprattutto sui cinque articoli della Costituzione che regolamentano la nostra forma di governo: gli artt. 92, 93, 94, 95, 96 e il progetto consisteva nell'accordare al solo Presidente del Consiglio la fiducia preventiva (al momento della formazione della compagine governativa), consentendo allo stesso la facoltà di proporre al Capo dello Stato tanto la nomina quanto la revoca dei ministri (nella Costituzione l'art. 92 fa menzione del solo potere di nomina). Inoltre il Parlamento avrebbe accordato (e revocato) la fiducia al Governo sempre a Camere riunite. Tali proposte non raggiunsero mai le aule parlamentari, non riuscendo nemmeno a raccogliere il consenso della maggioranza che le aveva promosse, e non se ne fece nulla.

Dieci anni dopo la Costituzione italiana, sempre nella parte che riguarda la forma di governo, ricevette il primo radicale cambiamento e solo per merito del popolo italiano e non certo per il contributo dei saggi, di commissioni e di estenuanti discussioni parlamentari. Il punto di svolta fu l’esito del referendum del 1991 che, abolendo il meccanismo delle preferenze nelle elezioni, consentì, il 18 aprile 1993, la trasformazione del sistema elettorale da proporzionale a maggioritario, imponendo una complessiva revisione della materia elettorale (leggi nn. 276 e 277 del 1993). Uno degli effetti più evidenti dell’esito referendario fu, infatti, quello di smentire una fideistica ed acritica convinzione che la Costituzione avesse un senso solo se gemellata con il sistema elettorale proporzionale. Niente di più falso. La Costituzione non si occupa di sistemi elettorali, se non per specificare che Camera e Senato sono eletti a suffragio universale e diretto, e che il Senato è eletto su base regionale. Punto, nulla di più e nulla di meno.

Il mondo politico, preso atto che il “popolo sovrano” era sicuramente molto più innovatore e aveva velocemente superato il dibattito iniziato dieci anni prima, fu quasi costretto ad approvare la legge costituzionale istitutiva della Commissione per le riforme costituzionali, Commissione De Mita-Iotti, con il mandato di predisporre un progetto organico di revisione della seconda parte della Costituzione, con particolare riferimento alle materie della forma di Stato, della forma di Governo e bicameralismo, e del sistema delle garanzie. Il risultato fu un documento che sostanzialmente si ispirava al cancellierato tedesco. Anche questa proposta nasceva dalla necessità di garantire Governi molto più stabili, in grado di portare a compimento il quinquennato della legislatura, garantendo rappresentatività ed efficienza ai vari indirizzi politici che componevano la maggioranza. Finì che non se ne fece nulla.

Si arrivò così alla terza (fallimentare anche questa) Commissione, istituita legge costituzionale n. 1 del 1997, che operò dal 1997 al 1998, guidata da Massimo D'Alema. In sintesi i punti principali erano: elezione diretta del Presidente della Repubblica (con poteri di sola garanzia) il quale avrebbe potuto però vantare il potere di nomina e di revoca dei ministri (su proposta del Primo Ministro, nome assegnato al capo dell'Esecutivo nel sistema semipresidenziale). Eliminazione della fiducia preventiva e allo stesso tempo veniva rafforzamento della figura del Primo Ministro, non soltanto perché sarebbe stato il solo a poter presentare disegni di leggi alla Camera, ma altresì perché avrebbe potuto inserire determinati argomenti nell'ordine del giorno, chiedendo tempi certi di approvazione.

Dopo questo ennesimo fallimento, preso atto dell'incapacità dei partiti di condurre in porto riforme strutturali di ampio respiro, si optò per “i piccoli passi” come stabiliti dall’art. 138.

E la Costituzione, per la seconda volta, ne uscì radicalmente cambiata. Furono ridisegnati gli assetti delle autonomie territoriali. Dapprima, con la riforma del sistema elettorale di Comuni e Province, si giunse all'elezione diretta dei rispettivi organi di vertice (Sindaci e Presidenti delle Province) con conseguente mutamento della forma di Governo, all'insegna del simul stabunt, simul cadent e successivamente, con la legge costituzionale n. 1 del 1999, si riconobbe una più ampia autonomia statutaria alle Regioni (scelta della forma di governo, elezione diretta del Presidente della Giunta ed estensione anche a livello regionale della regola sopra indicata). Seguì nel 2001 la legge costituzionale n.3, che completò quanto lasciato in sospeso: essa agì soprattutto sull'art. 117 della nostra Costituzione, ridefinendo e ripartendo la potestà legislativa tra Stato, Regione, Province e Comuni secondo il criterio di sussidiarietà. Vennero definite ed enucleate le materie di competenza Statale, mentre alle Regioni vennero affidate tutte quelle discipline non ricompresse all'interno dell'elenco regionale (la c.d. competenza residuale). È la cosiddetta riforma Bassanini che, tra l’altro, non pochi danni ha provocato al sistema Paese, aprendo contenziosi a non finire tra competenze delle Autonomie Locali e Stato Centrale, Un disastro su cui alcuni illuminati costituzionalisti avevano apposto la firma

Nel 2006, infine, sempre tramite referendum fu bocciata la riforma voluta dal Governo Berlusconi, i punti qualificanti erano:

Elezione diretta del Primo Ministro mediante collegamento a liste di candidati al Parlamento (un unicum in tutte le democrazie occidentali) che vincolava il potere di nomina da parte del Presidente della Repubblica ai risultati elettorali. Il Premier aveva il potere di nominare e revocare i Ministri, senza più l'obbligo di proporre la nomina al Presidente della Repubblica.

Scompariva l'elemento della fiducia preventiva

Il solo capo dell'Esecutivo (senza il coinvolgimento del Consiglio dei ministri) avrebbe inoltre potuto apporre la questione di fiducia a propria discrezione, con due uniche eccezioni inerenti le leggi costituzionali e quelle di revisione della Costituzione.

Il Senato avrebbe ricoperto il ruolo di Camera federale

Per quanto riguarda, infine, il potere di scioglimento delle Camere, questo sarebbe rimasto in mano al presidente della Repubblica ma vincolato ad una serie di ipotesi ben definite: su richiesta del Primo Ministro, in caso di dimissioni o morte dello stesso e in caso approvazione di una mozione di sfiducia da parte del Parlamento.

Se non era una dittatura soft, poco ci mancava.

Insomma, per farla breve, ai vari presunti custodi della Carta Costituzionale intoccabile faccio umilmente notare che la Costituzione è stata già cambiata più volte e spesso senza nemmeno pensare al minimo coinvolgimento dei cittadini.

L’ultimo importante cambiamento si è avuto pochi anni orsono con l’inserimento del Pareggio di bilancio in Costituzione. Introdotto con legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 è stato pertanto introdotto nella Costituzione, in coerenza anche con quanto disposto da accordi internazionali quali il cosiddetto Fiscal compact, il principio dell'equilibrio strutturale delle entrate e delle spese del bilancio. Sostanzialmente, un cappio al collo per le generazioni future, votato all’unanimità dalle forze parlamentari, unici voti contrari quelli della Lega e dell’Italia dei Valori.

Niente referendum, nessun dibattito nelle direzioni dei partiti, figuriamoci degli iscritti. Deciso, o imposto, e subito attuato. Uno stringato dibattito parlamentare e i principi fondanti della Costituzione* sono stati sacrificati al principio aureo che “Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”, attuale articolo 81 riformato.

Quanti illustri costituzionalisti, dotti, scienziati e sapienti hanno avuto almeno un sussulto di fronte a tutto questo? Vi do un’informazione: nessuno.

Ad ottobre, infine, voteremo sulle proposte di riforma Boschi-Renzi, di gran lunga molto più soft, democratica e moderata rispetto a quelle proposte e in parte approvate in questi lunghi trenta anni, eppure le vestali della Costituzione italiana, già bella che stracciata, sono tutti lì in trincea con l’elmetto in testa per difendere il tabernacolo vuoto.

Un detto popolare afferma Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito. Per adesso sono tutti lì fermi a guardare il dito, o il proprio ombelico che li soddisfa tanto, vediamo se tra un po’ alzano la testa per guardare la luna. A quel punto possiamo cominciare a ragionare sulle proposte di riforma. Le uniche che interessano i cittadini.

*art. 1, L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro; art. 3, È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese; art. 4 La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e  promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto; art. 9, La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione

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Bianca La Rocca

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Aggiornato al 31 marzo 2018

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